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Autore: Mirella Mazzarini

Presidente dell'Unicef Marche ed ex dirigente scolastica. Da anni è impegnata nel campo del volontariato e della pedagogia.

Non solo Marie Curie!

La scienza e il gender gap tra uomini e donne

Favorire l’uguaglianza di genere è uno degli Obiettivi Fondamentali di Sviluppo, obiettivo che si impone in modo trasversale, nella consapevolezza del vivere responsabilmente il nostro tempo, per favorire il riconoscimento del ruolo della donna nella vita sociale, culturale e politica.

In particolare, dal 2015, l’ONU ha istituito la Giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza, da celebrarsi ogni anno l’11 febbraio. Questa giornata nasce proprio con la finalità di colmare il divario di genere e promuovere uguaglianza e parità di accesso nei settori della ricerca e negli ambiti di lavoro relativi alla scienza.

La celebrazione vuole promuovere così il programma d’azione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, programma sottoscritto dai 193 Paesi membri dell’ONU, impegnati a ridurre disuguaglianze sociali, culturali ed economiche che impediscono la crescita equa e organica del pianeta.

IL GENDER GAP NELLE DISCIPLINE SCIENTIFICHE

Le disparità di genere in ambito scientifico si riferisce in modo più generale anche ai campi compresi nelle cosiddette STEM, vale a dire le discipline scientifico-tecnologiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). I dati a disposizione rivelano che negli ultimi anni il numero delle donne che si dedicano e si distinguono in tali discipline è aumentato considerevolmente; tuttavia, le donne rappresentano solo il 30% dei ricercatori nel mondo, con percentuali più basse nei livelli decisionali più alti.

Si può affermare che il gender gap tra uomini e donne è circa 10 a 1, dato da leggere in chiave socio-storica per le ridotte opportunità che hanno avuto le donne nel conseguire idonei titoli di studio e poter accedere ai laboratori di ricerca e alle cattedre universitarie. Così si è radicato il pregiudizio per cui le donne sarebbero più adatte alle materie letterarie e linguistiche, piuttosto che a quelle scientifiche. Donne famose in passato, tranne casi eccezionali, pensiamo a Ipazia, sono state scrittrici, poetesse, pittrici più che scienziate.

A livello globale, il dato positivo è che le donne che decidono di studiare discipline scientifiche sono aumentate in proporzione più degli uomini (+5,1 per cento contro +3,3 per cento nell’Unione Europea), e questo non solo in ambiti in cui la presenza femminile è sempre stata relativamente elevata, come medicina e biologia, ma anche in discipline quali ingegneria e informatica, finora appannaggio quasi esclusivamente maschile. Ci sono stati anche progressi concreti nel riconoscimento del lavoro delle scienziate, sia a livello nazionale che internazionale; nel 2014, per esempio, la prestigiosa medaglia Fields per la matematica è stata assegnata per la prima volta a una donna, l’iraniana Maryam Mirzakhani (1977-2017).

Il Premio Nobel è un indicatore significativo a riguardo. Tale Premio assegnato per la prima volta nel 1901, evidenzia una fortissima sperequazione fra i generi, in particolare, nell’ambito della fisica, sono stati premiati 206 scienziati e soltanto 4 scienziate; più numerose le premiate per la chimica: 7 donne e 160 uomini; per la medicina, infine, risultano soltanto 12 premi assegnati a donne, tra le quali, nel 1986, di Rita Levi-Montalcini (1909-2012), mentre gli uomini sono stati ben 207.

 

NON SOLO MARIE CURIE!

Perché la scienza è stata declinata al maschile e il contributo delle donne non è stato valorizzato? La Giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza vuole combattere pregiudizi e stereotipi e ricordare che tante sono le donne che hanno contribuito al progresso dell’umanità in campo scientifico, superando difficoltà e scetticismi.

Tra loro la matematica Elena Lucrezia Corner (1646-1684); Laura Bassi (1711-1778), prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria, si dedicò alla fisica sperimentale. Per la sua attività le vennero dedicati un asteroide e un cratere su Venere. Molta fama per Marie Curie (1867-1934), una delle prime scienziate riconosciute a livello mondiale e per la figlia Jréne Joliot-Curie (1897-1956). Le ricerche sulle radiazioni e sui materiali radioattivi valsero a Marie Curie due Premi Nobel: per la Fisica nel 1903 e per la Chimica nel 1911, in seguito alla scoperta del radio e del polonio. Madame Curie fu anche la prima donna ad insegnare alla celebre Università Sorbona di Parigi.

Barbara McClintock (1902-1992) studiò la struttura e il funzionamento dei cromosomi, guardata con diffidenza da parte dei suoi stessi collaboratori.

Vinse il Nobel per la Medicina nel 1983, tre anni più tardi rispetto a Rita Levi-Montalcini.

TROTULA DE RUGGERO E MARGHERITA HACK

“E dal momento che taluni malanni si manifestano nelle zone più intime, le donne non osano per riserbo e per fragilità della loro condizione, rivelare al medico i tormenti provocati dal dolore. Per questo motivo, io, mossa da tali compassionevoli circostanze, sollecitata soprattutto da una nobildonna, presi a riflettere più attentamente sulle malattie che assai spesso affliggono il sesso femminile” (De Passionibus Mulierum Curandarun, di Trotula de Ruggiero).

Il passo citato permette di conoscere una donna che è stata capace di offrire un grande contributo alla scienza: Trotula de Ruggero, vissuta intorno alla metà dell’XI secolo nella Salerno normanna. Figlia di una potente e ricca famiglia, poté studiare alla Scuola Medica per occuparsi della salute delle donne, ed affermarsi tanto da diventare una leggenda. Con lei nascono la ginecologia e l’ostetricia.

Nonostante siano scarse e incomplete le notizie sulla sua vita e sui suoi scritti, Trotula può essere ricordata come prima “medica” d’Europa, impegnata a migliorare le condizioni di salute e di vita delle donne con passione e sensibilità. Un esempio di donna che ha saputo fare della scienza un valore con radici nelle sue scelte esistenziali e con prospettive aperte al benessere di tutte le donne.

Con un balzo di secoli, va riconosciuto un grande merito a Magherita Hack, donna che ha saputo rappresentare in modo egregio la comunità scientifica italiana. La sua attività di ricerca è legata alla scienza astrofisica mondiale. Prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, ha approfondito la classificazione spettrale di molte categorie di stelle, riuscendo a diffondere interesse per la sua disciplina anche con una intensa attività di divulgazione.

Vuoi parlare della Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza in classe?

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Educare alla pace e allo sviluppo

Giornata internazionale dell’educazione

L’educazione è un diritto umano, un bene sociale e una responsabilità pubblica.
L’iscrizione nelle scuole primarie nei Paesi in via di sviluppo ha raggiunto il 91%, ma 57 milioni di bambini ne sono ancora esclusi. Si calcola che il 50% dei bambini e delle bambine che possiedono un’età per ricevere l’istruzione primaria ma che non frequentano la scuola vive in zone colpite da conflitti. Nel mondo, 103 milioni di giovani non possiedono capacità di base in lettura e scrittura, di cui oltre il 60% donne (dati UNICEF).

La giornata internazionale dell’educazione, che si celebra il 24 gennaio, secondo la determinazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rappresenta un appuntamento istituzionale di grande rilievo per riflettere sul ruolo dell’educazione alla pace e allo sviluppo nel mondo.

L’educazione si può definire, secondo parametri aperti e interrelati, come diritto dell’individuo, come bene della comunità e soprattutto come responsabilità politica. L’educazione, come finalità, definisce, oltre l’orizzonte della formazione e dello sviluppo della personalità, traguardi irrinunciabili connessi alla di tutela e alla protezione dei minori e dei soggetti più vulnerabili. I rischi sono quelli dell’esclusione, della marginalizzazione, dello sfruttamento e della violenza.

Il diritto all’istruzione è stato disciplinato per la prima volta a livello internazionale, al di là di quanto già previsto dalle normative statali, nell’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948.  In tale articolo viene affermato che ogni individuo ha diritto all’istruzione e che tale istruzione deve essere gratuita per alcuni gradi, obbligatoria e alla portata di tutti.

Chi non ha accesso all’istruzione non sa nemmeno quali sono i propri diritti, né sa come difenderli. Così la mancanza d’istruzione è alla base di molte violazioni dei diritti umani, tra cui il diritto al lavoro.

 

ALCUNI DATI
Oggi 258 milioni di bambini e giovani ancora non frequentano la scuola; 617 milioni di bambini e adolescenti non sanno leggere e fare matematica di base; meno del 40% delle ragazze dell’Africa subsahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa quattro milioni di bambini e giovani rifugiati non vanno a scuola. Il loro diritto all’istruzione viene violato e negato.

Questi dati sono confermati dall’Istituto di Statistica dell’UNESCO (UIS) che rileva come i numeri si riferiscano, nel 2018, ai bambini e agli adolescenti esclusi dal sistema sia per l’impossibilità di accesso, sia per abbandono scolastico. Di questi, 59 milioni di bambini sono esclusi dalla scuola primaria, 62 milioni dalla secondaria inferiore e 138 milioni dalla scuola secondaria superiore, e tra essi, la maggioranza viene rilevata nell’Africa subsahariana.

Tale situazione è stata ulteriormente aggravata e compromessa dai cambiamenti che la pandemia da covid-19 ha prodotto a livello sociale imponendo la chiusura delle scuole e la didattica a distanza.

A parte alcuni margini positivi nei dati che riguardano la diminuzione del gender gap, è ipotizzabile che negli anni la situazione non supererà quelle criticità che riguardano la possibilità di frequentare la scuola e avere accesso all’istruzione. Si prevede, anzi, che peggiorerà a causa della crisi in corso. Nel 2020 si è infatti calcolato come il 90% degli studenti sia rimasto a casa in ottemperanza alle misure preventive anti-contagio e che almeno 500 milioni di studenti siano stati, e siano tuttora, privi di accesso alla didattica a distanza. 

L’iscrizione nelle scuole primarie nei Paesi in via di sviluppo ha raggiunto il 91%, ma 57 milioni di bambini ne sono ancora esclusi.

Si calcola che il 50% dei bambini che possiedono un’età per ricevere l’istruzione primaria ma che non frequentano la scuola vive in zone colpite da conflitti

Nel mondo, 103 milioni di giovani non possiedono capacità di base in lettura e scrittura, di cui oltre il 60% donne.

Questi due dati bastano a rendere chiaro quanto sia a rischio il futuro di milioni di bambini, bambine, ragazzi e ragazze, per cui la garanzia del diritto all’istruzione rappresenta l’ultimo riparo contro esclusione, marginalizzazione, sfruttamento e violenze.

 

IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE NELLA SCUOLA
Caratteristiche fondamentale del diritto all’istruzione, assunte come standard minimi che non devono essere violati riguardano la disponibilità delle strutture e dei materiali, l’accessibilità, l’accettabilità, l’adattabilità dell’educazione nel suo complesso, perché l’istruzione non può essere un qualcosa di statico, ma necessita di un adattamento costante ai bisogni e ai cambiamenti della comunità e della società in cui opera, e degli studenti a cui si riferisce, sia sotto il profilo culturale che sociale. 

A partire da questi principi si è giunti nel 1989, per successivi sviluppi normativi, all’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia che prevede il rispetto e la tutela del Diritto all’Educazione con l’art. 28 e l’art. 29.

 Dall’affermazione del diritto all’educazione che vede la scuola come luogo istituzionalmente riconosciuto per l’affermazione dell’istruzione obbligatoria, oggi la valenza del concetto di educazione si è ampliata fino a comprendere obiettivi di inclusione, di accoglienza, di promozione del benessere psico-sociale ed emotivo.

L’alfabetizzazione da strumentale, definita dalle competenze del leggere, scrivere e far di conto, si è arricchita di aspetti legati allo sviluppo sociale e tecnologico, con l’affermazione della necessità di un’alfabetizzazione tecnologica e digitale.

Educare nel nostro tempo è educare alla creatività, al pensiero critico, alla relazione, alla capacità di essere resilienti, dando forza agli obiettivi dell’Agenda 2030.

Il Goal 4, infatti, recita: “Assicurare un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti.”.

Una serie di parole chiave che non possono rimanere definizioni, anzi, costituire le priorità dell’agenda politica.

La giornata internazionale dell’educazione deve servire a sottolineare i traguardi da raggiungere entro il 2030.

L’educazione, preclusa a molte bambine e a molti bambini, soprattutto nei paesi più poveri, è fondamentale non solo per la crescita dei singoli individui, ma anche per lo sviluppo dell’intera società, perché rappresenta lo strumento più valido per combattere povertà, disuguaglianze, emarginazione e sfruttamento.

L’istruzione è l’arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo. È grazie all’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione.

Nelson Rolihlahla Mandela, (1918-2013), primo Presidente nero Sudafrica, Nobel per la pace 1993

Desiderare è camminare tra le stelle

Il desiderio è un dono importante da fare alle bambine e ai bambini

Il desiderio è il regalo più importante che l’insegnante può fare ai suoi allievi e alle sue allieve!
Per questo dicembre 2022 la proposta è un invito a riflettere su una parola carica di significati importanti per andare verso il futuro, la parola “desiderio”, intesa come un sentimento tutto da esplorare e come un dono da vivere.

CHE COS’È IL DESIDERIO?
Il termine desiderio può assumere una molteplicità di significati, tanto la parola è ricca emotivamente, allusiva, densa dal punto di vista valoriale, attraente e misteriosa.

Canta Lorenzo Jovanotti:

 “… Vedo un turbinio di gente colorata
Che si affolla dietro a un ritmo elementare
Attraversano la terra desolata
Per raggiungere qualcosa di migliore…
Ogni cosa è illuminata
Ogni cosa è, nel suo raggio, in divenire
Vedo stelle che cadono nella notte dei desideri…”.

Testo e musica esprimono la forza del desiderio, soprattutto quel divenire che esso può alimentare!

Le stelle sono un perfetto richiamo per afferrare lo splendore e il fascino del desiderio…

La parola, letteralmente, significa “mancanza delle stelle”, dal latino desiderium (composto di de e sidera). Desiderare è percepire la mancanza delle stelle, un sentire che induce alla ricerca di stelle che possano illuminare il percorso. Desiderio è ’ il “sentimento di ricerca appassionata o di attesa del possesso, del conseguimento o dell’attuazione di quanto è sentito confacente alle proprie esigenze o ai propri gusti” (Devoto Oli).

In apertura del sito ufficiale di Massimo Recalcati si può leggere:
“… Avete agito conformemente al desiderio che vi abita?”

“La forza del desiderio” è il titolo di un libro pubblicato (2014) da Massimo Recalcati in cui l’autore presenta il desiderio come chiamata della vita, dilatazione della vita stessa, possibilità di renderla più piena e intensa.
Per la psicoanalisi desiderare è un imperativo che spinge l’individuo fuori da se stesso, una possibilità di vita che, se nascosta a se stessi, conduce alla sofferenza psichica.

In altro modo si potrebbe scrivere che il desiderio dilata l’orizzonte di vita e permette all’esistenza umana di essere più intensa e ricca. È “…… ciò che muove l’aspetto più intimo del proprio essere. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

In tal senso il desiderio è il regalo più importante che un maestro o una maestra può fare al suo allievo/a. Non si tratta, infatti, di “riempire” le teste di nozioni ma di testimoniare, di passare il desiderio di sapere. Socrate, in modo emblematico e universale, è il maestro che insegna non le cose ma il desiderio di sapere. Così attraverso la parola si realizza l’accensione e la trasmissione dei desideri.

DESIDERARE SIGNIFICA CAMBIARE
La lampada di Aladino, la celebre fiaba della raccolta Le Mille e una notte, racconta magicamente la forza del desiderio di cui la lampada è metafora. La storia narra delle vicende di Aladino e del potere di una lampada capace di soddisfare ogni desiderio di chi la possiede. Ma è proprio così? È il possesso della lampada che consentirà al protagonista della storia di raggiungere la felicità o l’uso che egli saprà farne? Aladino, presentato inizialmente come soggetto senza prospettive, diventa via via sempre più capace di esprimere il suo progetto di vita, pronto a lottare per ottenere i risultati che desidera, e proprio per questo la fiaba avrà il suo lieto fine.

Il desiderio come moto proprio dell’animo umano (che aspira a raggiungere ciò che considera un bene) è ben evidente nei bambini e nelle bambine anche quando non sanno ancora distinguere un bene immediato, un oggetto, capace forse di soddisfare semplicemente un capriccio, da una meta intesa come traguardo da conquistare e come realizzazione personale. Chiedere di esprimere un desiderio può essere la chiave per capire cosa sta vivendo un bambino/a, ma anche un adulto, perché ci sono desideri che cercano argini per ansie e preoccupazioni così come desideri che rivelano più o meno palesemente il bisogno di cura, di socialità, di comprensione. Sorprendente è scoprire il desiderio come ricerca appassionata in cui è possibile coinvolgere gli altri per camminare in un orizzonte pieno di stelle.

“In ciò concorrono anche i genitori. Ai genitori gli direi: primo, quando avete bambini piccoli non riempiteli di giochi di cui – tra l’altro – non gliene frega niente. Perché i giochi che gli date… non so se avete visto i bambini a Natale quando aprono i giochi con un nervosismo, devono strappare tutta la carta, vedere il gioco, esprimere un urlo, poi metterlo là: finito, morto. Già morto. Perché gli regalano dei giochi che i bambini, magari, non hanno neanche desiderato. E quando tu hai delle cose che non hai neanche desiderato non valgono niente perché è solo il desiderio che dà una carica di valore alle cose”.  (U. Galimberti,2018)

Quando arriva un desiderio, si verifica un’invisibile espansione di quello che si è, un’espansione che permette di scorgere nuovi confini e, dentro questi, di conoscere qualcosa in più di sé stessi.

“La vita non ha un senso: è desiderio. Il desiderio è il tema della vita” (Charlie Chaplin)

I mediatori didattici

L’insegnante come mediatore didattico

Considerare la parola mediatore, a partire da un’analisi etimologica (dal lat. tardo “mediator-oris”) significa valutare il termine nel suo significato di “interporsi”, per favorire una scelta o un accordo. La parola ha un’ampia gamma di usi e di applicazioni a livello culturale, sociale, economico, giuridico. Certamente alcune di queste sfaccettature possono costituire apporti significativi per interpretare la complessità della funzione docente. Non possiamo tuttavia considerare l’insegnante un mediatore nel senso a cui ci ha introdotto il termine riferito alle nuove figure professionali che agiscono in quanto facilitatori di relazioni e di integrazioni, come il mediatore culturale. Né è proprio del docente agire in modo imparziale come avviene nella mediazione propria dell’ambito giuridico.

Possiamo affermare senz’altro che l’insegnante, per lo status che identifica il suo operato, per il profilo di responsabilità che lo rappresenta, è garante dell’educazione, attore nel processo di insegnamento-apprendimento che si realizza nella scuola.

Il concetto di mediatore, in particolare l’esame della specificità del ruolo, può essere utile per riconoscere al docente la capacità di utilizzare i mediatori didattici, secondo la valenza che la ricerca psicopedagogica ha elaborato a livello concettuale e operativo.

Alle insegnanti e agli insegnanti spetta considerare e configurare la scuola come “ambiente di apprendimento”, secondo una definizione propria del linguaggio specialistico della pedagogia e della didattica. Non si tratta semplicemente di insegnare ma di costruire, osservare, valutare situazioni di apprendimento, per avere cura di ogni singolo alunna e alunno, organizzando e animando situazioni specifiche di apprendimento. A tal fine l’insegnante si avvale dei mediatori didattici, vale a dire di strumenti e procedimenti che rendono maggiormente funzionale la comunicazione, che stimolano e potenziano il processo formativo.

La tematica è stata affrontata in modo organico e puntuale dal pedagogista Elio Damiano, autore del libro “La mediazione didattica”, in cui definisce il mediatore didattico come “ciò che agisce da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di conoscenza, sostituisce la realtà perché possa avvenire la conoscenza, ma non si sostituisce alla realtà esautorandola, pur richiedendo di essere trattato come se fosse la realtà, ma sempre, in quanto mediatore, conservando lucidamente la consapevolezza che la realtà non è esauribile da parte dei segni, quali che essi siano”. (E. Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Franco Angeli Editore, 2013)

Damiano rimanda all’indagine sulla conoscenza di Piaget, di Brofenbrenner, alle forme rappresentative esecutiva, iconica e simbolica, studiate da Bruner, alla teoria dell’oggetto transizionale di Winnicott, per analizzare i mediatori didattici definiti: attivi, iconici, analogici, simbolici.

Rispetto agli stessi l’insegnante saprà effettuare le scelte più adeguate e opportune per alunne e alunni, saprà utilizzare mediatori caldi oppure mediatori freddi, come abile manovratore del termostato che regola la temperatura e il clima della classe.  

I DIVERSI TIPI DI MEDIATORI

  • I mediatori attivi sono quelli che fanno riferimento all’esperienza diretta, all’esplorazione, dall’azione in contatto con la realtà fino all’esperimento scientifico, programmato nella dimensione laboratoriale.
  • I mediatori iconici utilizzano il disegno spontaneo, le immagini, gli schemi, le mappe concettuali, il linguaggio delle icone, valorizzando la dimensione grafica e spaziale.
  • I mediatori analogici sono chiamati “ludici” poiché si basano sulle dinamiche del gioco, della drammatizzazione e della simulazione.
  • I mediatori simbolici utilizzano la narrazione, i concetti astratti, i simboli, i codici linguistici, le figure retoriche, la riflessione sul linguaggio e sulle regole.

LA DIDATTICA RETICOLARE E LA DIDATTICA A DISTANZA

La didattica che si avvale dei mediatori didattici è una didattica reticolare, nella prospettiva di una didattica per competenze. Usa in modo integrato tutti i percorsi e le strategie possibili, con l’attenzione ai singoli alunni e alla classe. Variabili importanti sono, infatti, lo stile cognitivo di ogni alunno, la sua storia, la composizione della classe, la realtà extrascolastica.

Non si tratta quindi di variare modalità di presentazione dei contenuti, si tratta di sollecitare l’interesse e la motivazione, di facilitare l’apprendimento con percorsi specifici e integrati. La scelta dei mediatori può offrire risposte alla necessità di differenziare gli interventi, di rispettare le tappe evolutive degli alunni, di valorizzare azioni didattiche coerenti con i molteplici aspetti dello sviluppo della personalità.

Le insegnanti e gli insegnanti utilizzano i mediatori didattici spesso in modo spontaneo, ovvero condizionati dalle risorse a disposizione. La loro attenzione è rivolta a creare occasioni produttive nello svolgersi della programmazione didattica, consapevoli dell’importanza che rivestono mezzi, strumenti, metodologie differenziate nel migliorare la gestione della classe e la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento. La riflessione è aperta sull’impatto dei linguaggi digitali, che in tempo di didattica a distanza hanno cambiato profondamente l’azione didattica e la funzione stessa dell’insegnante e dei mediatori. Il computer permette di differenziare la didattica in classe, favorisce un uso da parte dell’alunno non semplicemente strumentale se gli insegnanti possono utilizzarlo come risorsa finalizzata a superare disabilità, sviluppare l’osservazione, consolidare abilità, sviluppare pensiero critico e creatività. La didattica a distanza ha contribuito a definire l’insegnante un mediatore egli stesso, oltre un professionista capace di utilizzare i mediatori didattici, ha innovato il ruolo focalizzando il suo porsi come “interfaccia”, facilitatore, nella relazione con gli alunni attraverso lo schermo. La trasmissione a distanza implica modi nuovi, molti da esplorare, riguardo la cura degli aspetti affettivi ed emozionali delle situazioni di apprendimento, finalizzate alla elaborazione del sapere e alla strutturazione di percorsi di maturazione dell’identità e dell’autonomia.

Considerando, tuttavia, che la formazione avviene dentro e fuori la scuola, la mediazione didattica deve riguardare anche modalità di intervento della famiglia e degli ambiti sociali di appartenenza, come processo che interessa gli individui nella pluralità e nell’integrazione dei contesti di vita in cui avviene la formazione stessa. Si tratta di rafforzare il confronto, il dialogo e la condivisione, nell’ottica di una consapevole alleanza educativa.

Imparare ad imparare

L’apprendimento e le strategie metacognitive

Nel percorso scolastico di ogni alunno e alunna un nodo spesso problematico riguarda il rendimento, sia quello accertato e verificato, sia quello percepito, correlato alla motivazione ad apprendere.

È nel sentire comune l’esperienza di constatare che i risultati conseguiti nello studio spesso non corrispondono alle aspettative. Capita di ascoltare docenti sconfortati dall’esito delle prove somministrate in classe, studenti e studentesse deluse dalla valutazione ricevuta in un compito, genitori preoccupati del rendimento scolastico dei figli.

Spesso, purtroppo, si consolida l’idea che la difficoltà del compito è insormontabile, che non si hanno capacità adeguate a portarlo a termine.

Si tratta, invece, di riflettere sull’insuccesso, di analizzarne aspetti e manifestazioni, per individuare nuove modalità di avvicinarsi al sapere e all’apprendimento. Così è importante chiedersi se le conoscenze sono state utilizzate in modo efficace, soprattutto se sono state organizzate in modo strategico rispetto ai risultati attesi. Si tratta di avere consapevolezza del funzionamento cognitivo, di poterlo autoregolare rispetto a un compito dato.

Obiettivo formativo per gli insegnanti è guidare l’alunno a diventare capace di migliorare il proprio apprendimento con strategie metacognitive.

Come dimostrano le ricerche condotte a livello di disturbi specifici di apprendimento, esistono correlazioni tra prestazioni cognitive e consapevolezza del funzionamento della propria mente. Ecco che studente e insegnante dovrebbero impegnarsi a individuare strategie per riflettere sulle operazioni mentali svolte per controllarle ed eventualmente modificarle al fine di avere prestazioni migliori. Si tratta di stimolare abilità metacognitive, di attivare la mente a lavorare su se stessa. A livello di metacognizione si considerano, ad esempio, riflessioni dettate dalla volontà di migliorare, quali: “Di quanto tempo ho bisogno per svolgere questo compito?” “A quali difficoltà devo fare attenzione in questa prova?” “Come considero lo svolgimento della prova che mi è stata assegnata?” “In passato ho svolto un compito con difficoltà simili?” Questi interrogativi non sono altro che strategie o conoscenze metacognitive.

La consapevolezza di come si svolge e come può modificarsi il processo conoscitivo è il presupposto per costruire l’abilità fondamentale dell’imparare ad imparare. La psicologia dell’apprendimento usa il concetto di autoregolazione, considera l’importanza di assumere limiti e risorse come sfide positive, considera la valutazione essenzialmente nella dimensione di autovalutazione.

 

LE MAPPE CONCETTUALI

Per imparare ad imparare ed essere capaci di riflettere sulla conoscenza, strumento utile sono le mappe concettuali, che rappresentano e comunicano sapere e processi di apprendimento. Approfondire la tematica prevede di differenziare mappe di tipo concettuale, mentale e strutturale, secondo gli orientamenti propri della ricerca a riguardo. Tuttavia, per quanto riguarda l’uso delle mappe a scuola è importante sottolineare il loro potenziale di risposta ai problemi scolastici degli alunni e delle alunne con difficoltà di apprendimento, con bisogni educativi speciali.

Le mappe concettuali (teorizzate da Joseph Novak) hanno un valore cognitivo, possono definirsi l’individuazione e l’organizzazione dei concetti chiave e delle loro connessioni; possono essere usate sia nelle fasi di studio, sia come schema finale delle conoscenze acquisite. Contribuiscono alla realizzazione di un “apprendimento significativo”, contrapponendosi ad un tipo di apprendimento prevalentemente mnemonico.

La mappa concettuale non rappresenta uno schema sintesi, è una rappresentazione che favorisce la comunicazione, stimola la riflessione, potenzia l’attività cognitiva, genera creatività.   

Le mappe rappresentano uno dei possibili modi di comunicare la conoscenza, una rappresentazione per chiarire, illustrare, esplicitare il sapere su un argomento, una disciplina, un progetto, attraverso relazioni che vengono poste in evidenza. Può essere definita una strategia di tipo organizzativo nel processo di apprendimento. Importante sarà perciò considerare i legami individuati e considerarli nessi di scoperta di relazioni e significati.

 

ALTRE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E LA META-MEMORIA

Altre importanti strategie metacognitive con valenza didattica riguardano la selezione, l’elaborazione, la memorizzazione delle informazioni. Gli insegnanti e le insegnanti possono guidare gli alunni e le alunne ad evidenziare informazioni importanti in un testo stimolando la capacità di scegliere dati pertinenti, essenziali, centrali. Anche leggere un sommario rappresenta una strategia funzionale a poter padroneggiare conoscenze, oppure provare a costruirlo a partire da materiali a disposizione. A livello di elaborazione del sapere una modalità che può sembrare ovvia, spesso sottovalutata, riguarda la capacità di porre attenzione ai legami fra le conoscenze, il saper collegare un nuovo concetto a quanto si è già appreso. Non ultima la memorizzazione, considerata, a livello di ricerca sui processi di apprendimento, meta-memoria.    

Si riferisce alla possibilità di sviluppare la memoria considerandola una capacità da potenziare. Significa superare l’idea che si possa avere buona o cattiva memoria e far uso di strategie di ripetizione efficaci, riuscendo a trovare modalità personali di ripetizione che implicano, ad esempio, la visualizzazione dei dati e delle conoscenze da assimilare.

La didattica metacognitiva contribuisce a stimolare un atteggiamento attivo e responsabile rispetto all’apprendimento. L’alunno impara ad imparare e costruisce il suo metodo di studio. Matura uno stile cognitivo che privilegia la capacità di porre domande, di evidenziare analogie, di astrarre, di stabilire relazioni, di valorizzare la creatività nei problemi da risolvere e nelle attività da svolgere.

Giornata Mondiale degli Oceani in versi

Le più belle poesie dedicate al mare

L’8 giugno è la Giornata Mondiale degli Oceani, giorno dell’Anniversario della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro, un’occasione preziosa per riflettere sul dovere di ogni individuo e della collettività di tutelare questa risorsa preziosa, così che possano goderne a pieno le generazioni future.

Quest’anno abbiamo deciso di celebrare questa giornata con la poesia: il mare, l’acqua, le profondità dell’abisso hanno da sempre affascinato poeti e poetesse di tutti i tempi, leggiamo insieme quattro bellissime poesie da leggere in riva al mare, lasciandosi cullare dal rumore delle onde.

 

Conchiglie

Eternamente giace e splende piano
sotto l’enormi tempestose ondate
e sotto le minute onde beate
che il Greco antico un tempo ha nominato
crespe di risa.
Ascolta: la conchiglia iridescente
canta nel mare, al più profondo.
Eternamente giace e canta silenziosa.

Katherine Mansfield (1888-1923)

 

Le isole fortunate

Quale voce a noi giunge con il suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché noi abbiamo ascoltato.
E solo se, in dormiveglia,
senza sapere di udire udiamo,
ci mormora la speranza
alla quale, come bambini
addormentati, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre senza luogo,
dove dimora nell’attesa il Re.
Ma, se incominciamo a destarci,
tace la voce e non c’è che il mare.

Fernando Pessoa (1888-1935)

 

Il mare è tutto azzurro

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

Sandro Penna (1906-1977)

 

L’uomo e il mare

Uomo libero,
sempre tu amerai il mare!
Il mare è il tuo specchio:
contempli l’anima tua
nell’infinito srotolarsi
della tua onda,
e il tuo spirito
è un abisso non meno amaro.
Ti diletti a tuffarti
nel seno della tua immagine;
l’abbracci con gli occhi
e con le braccia,
e il tuo cuore si distrae
talvolta dal proprio battito
al fragor di quel lamento
indomabile e selvaggio.
Entrambi siete
tenebrosi e discreti:
uomo,
nessuno ha sondato
il fondo dei tuoi abissi;
mare,
nessuno conosce
le tue intime ricchezze:
tanto gelosamente serbate
i vostri segreti!
E tuttavia da secoli innumerevoli
vi fate guerra senza pietà nè rimorsi,
tanto amate la strage e la morte,
o lottatori eterni,
o fratelli inseparabili!

Charles Baudelaire (1821-1867)

Maria Montessori: educazione e pace

70 anni dalla morte di Maria Montessori

Maria Montessori (Chiaravalle, 31 agosto 1870 – Noordwijk (Paesi Bassi) Olanda, 6 maggio 1952)

Il 6 maggio 2022 ricorrono 70 anni dalla morte di Maria Montessori.
Fu candidata per tre volte al Premio Nobel per la Pace nel 1949, nel 1950 e nel 1951. Morì a Noordwijk (Paesi Bassi) il 6 maggio 1952.

 

Io prego i cari bambini che possono tutto di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo

Queste parole, scritte sulla tomba di Maria Montessori a Noordwijk, rappresentano il senso dell’intero progetto montessoriano.

Ma quale educazione può davvero creare le premesse per un mondo di pace?

Quando, nel 1932, per Maria Montessori vivere ed operare in Italia era diventato difficile per le mutate condizioni culturali e politiche, quando il suo nome si andava affermando più all’estero che in Patria, la grande pedagogista non esitò a guardare oltre i confini italiani per rimanere fedele al suo ideale di educazione e di società. L’ispirazione antidogmatica e antiautoritaria che contraddistingue il suo pensiero non poteva accettare la deriva verso la negazione dei principi di libertà che la dittatura imponeva.

Visse in diversi luoghi in Europa prima di far ritorno in Italia dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale.

Fuori d’Italia aveva provato l’angoscia della guerra, ma continuò a impegnarsi con sempre maggiore tenacia nella ricerca di verità fondamentali per l’umanità.

Costruire la pace è l’opera dell’educazione, la politica può solo evitare la guerra

Questo assunto è il messaggio centrale che scaturisce dai discorsi pronunciati dalla grande pedagogista in Europa e nel Mondo, in occasione delle Conferenze che l’hanno vista protagonista nella disseminazione di principi di formazione libera, per una vera e propria crociata dell’educazione.

Il testo “Educazione e Pace” del 1949 raccoglie una serie di conferenze tenute da Maria Montessori sul tema della pace a partire da quella di Ginevra del 1932, presentata al Bureau international d’éducation. Il tema fu successivamente sviluppato con interventi che l’hanno vista a Bruxelles nel 1936 (Congresso europeo per la pace), a Copenaghen, per molte occasioni pubbliche, tra cui il Congresso internazionale Montessori del 1937, fino al discorso pronunciato a Londra, al World Fellowship of Faiths, nel 1939.

Il testo stesso è stato in più occasioni ripubblicato e riproposto all’attenzione di educatori e politici con la volontà di continuare ad affermare e rilanciare un tema nuovo nella storia del pensiero educativo, un tema che Maria Montessori ha considerato non solo fondamentale ma costitutivo dell’azione educativa stessa.

Rileggendo pagine così fondamentali per i giorni che attraversa l’umanità in questo tempo di atrocità, di guerra, di negazione di valori di umanità, colpisce la capacità profonda di Maria Montessori di indicare la strada della libertà, della salvezza, dell’affermazione della dignità umana.

 

“Sembra singolare e non consono ai nostri tempi, in cui è così vivo il culto della “specializzazione”, che io sia chiamata a parlare della pace; della pace che, se fosse elevata a disciplina, nessuna ve ne sarebbe di più alta, poiché da essa dipende la vita stessa del popolo e forse il progredire o lo sparire di tutta la nostra civiltà.”

(Maria Montessori, Preambolo, La Pace, in Educazione e Pace)

“La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo, e due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, vale a dire di eludere le guerre; l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini. Ora evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione.”

(Maria Montessori, Per la pace, in Educazione e Pace)

“L’educazione assume oggi, nel particolare momento sociale che attraversiamo, un’importanza veramente illimitata. E questa accentuazione del suo valore pratico si può esprimere con una sola frase: l’educazione è l’arma della pace.” “Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione.”

“Oggi il bambino è un “cittadino dimenticato”: la società deve ormai ricordarsi di lui e preparargli un ambiente adatto alle sue esigenze vitali ed alla liberazione spirituale.”

“Il bambino che ha sentito fortemente l’amore verso l’ambiente e gli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo.

La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.”

“L’Educazione che preparerà un’umanità nuova ha una finalità sola: quella che conduce insieme all’elevazione dell’individuo e della società.” “L’uomo così preparato, conscio della sua missione cosmica, sarà capace di costruire il nuovo mondo della pace.”

(Maria Montessori, Educate per la pace, in Educazione e Pace)

Celebrare Dante il 25 marzo

Un viaggio che dura sino ad oggi

inferno william blakeDante e Virgilio entrano nella foresta – Illustrazione di William Blake della Divina Commedia

Perché leggere dante o tornare a leggerlo?

In un momento in cui le celebrazioni dantesche assumono molteplici forme culturali e Dante diventa un’immagine di forte richiamo promozionale per pubblicazioni, iniziative accademiche e sui social network, ci chiediamo se è possibile trasferire la sua poetica anche in una canzone pop, in un prodotto pubblicitario o in un gadget. Quale forza attrattiva è connaturata alla scrittura del Sommo Poeta? 

Nel caso della Commedia, opera che possiamo senz’altro definire “patrimonio dell’umanità”, si tratta di riprendere in mano un canto perché si serba il ricordo di personaggi che sentiamo vicini per la loro storia e la loro sensibilità, per rituffarci in descrizioni che fanno parte del nostro bagaglio immaginario, o affidiamo la scelta alla suggestione di proposte mirate alla riscoperta del valore linguistico dell’opera? Intrigante e interessante l’iniziativa dell’Accademia della Crusca che ogni giorno ripropone una parola “fresca di giornata”. Qualunque sia la spinta iniziale per leggere la Commedia, scopriamo che Dante ci appartiene, fa parte di noi e continua ad alimentare i nostri pensieri e le nostre emozioni in modo profondo.

L’esperienza di viaggio nella Divina Commedia

Dante, nella Commedia, inizia un viaggio a cui è predestinato ma il senso di tale viaggio, pur se dichiarato, è tutto da esplorare.

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra 
da le fatiche loro; e io sol uno                                         
m’apparecchiava a sostener la guerra 
sì del cammino e sì de la pietate, 
che ritrarrà la mente che non erra.
” (Inferno, II, 1-6)

Non si tratta di un viaggio ameno ma di un cammino irto, difficile, in cui l’uomo deve essere pronto a sopportare la “guerra” fatta di dramma e di sofferenza. Ne sarà all’altezza? Ecco emergere aspetti del sentire che ci rendono vicini al poeta: il dubbio, lo smarrimento, l’insicurezza. Dante riesce a superare la sua paura elevandosi dalla condizione di uomo solo “nella selva oscura”, per diventare disponibile all’incontro, aperto alla ragione e alla grazia, capace di osservare e di indagare le miserie sue e quelle del modo. Dante non è ripiegato su se stesso, assorbito dai suoi dubbi, distaccato, è invece ricco di umanità e mai in solitudine.  Questa è una prospettiva etico- morale di grande valore, una prospettiva in cui troviamo una motivazione forte per avvicinarci alla Commedia.

“Leggere” Dante vuol dire innanzi tutto lasciar parlare Dante e cogliere il valore simbolico del suo poema e del suo viaggio. Accanto ai dannati che incontra e verso i quali dimostra sempre autentico coinvolgimento, ci sono figure come Virgilio e Beatrice che rappresentano, in modo allegorico, le vie della salvezza: la ragione e la fede.

Da un punto di vista formale e letterario la Commedia è la narrazione del Viaggio nei Regni dell’Oltretomba e la descrizione della condizione delle anime dopo la morte. Dante non è un osservatore privilegiato, è soggetto protagonista di un’esperienza di valore universale. Dante considera il viaggio una missione capace di indicare all’umanità la via della rigenerazione e della perfezione.

L’esilio di Dante e l’incontro con Cacciaguida

Il suo viaggio può essere considerato paradigma dell’esilio che il poeta vive mentre scrive l’opera ma che immagina gli verrà annunciato al termine dello stesso viaggio quando, in Paradiso, (Canto XVII) incontrerà Cacciaguida, suo avo. Questi gli spiegherà che grazie ai meriti poetici e intellettuali, Dante è stato scelto dalla mente divina per l’altissimo fine di andare nell’Oltretomba da vivo affinché, una volta tornato in terra, possa raccontare la sua esperienza ai contemporanei, senza omettere nulla, senza essere “timido amico” della verità. Dante è preparato ad ascoltare e verso le parole gravi dell’avo “avvegna ch’io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; “è pronto a reggere la sventura, a lasciare ogni cosa cara”.

Tu lascerai ogne cosa diletta 
più caramente; e questo è quello strale 
che l’arco de lo essilio pria saetta.                               

Tu proverai sì come sa di sale 
lo pane altrui, e come è duro calle 
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
” (Paradiso, Canto XVII, 55-60)

La realtà dell’esilio diventa simbolo di una condizione universale dell’uomo. Dante è poeta e profeta, pellegrino e uomo politico.

Le parole che prevedono il futuro di Dante sono versi famosissimi, ricchi di figure che sono entrate a far parte del linguaggio vivo della comunicazione. Un linguaggio denso di simbolismi ma anche di espressioni concrete e realistiche come nel verso con cui Cacciaguida sollecita Dante a parlare in modo trasparente e veritiero:

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’ è la rogna
.” (Paradiso, Canto XVII, 127-129)

Mario Lodi e Gianni Rodari: un’idea di scuola

Quale idea di scuola li unisce?

Mario Lodi e Gianni Rodari possono essere valorizzati con una sensibilità illuminata se si sceglie, nei loro riguardi, un approccio di conoscenza che considera il forte rapporto di amicizia e di stima che li ha uniti.

Una ricchezza di testimonianze e documenti, molti riferimenti nell’ambito del Movimento di Cooperazione Educativa, consentono di conoscere la loro figure di scrittori, insegnanti, pedagogisti nell’orizzonte dello slancio creativo, della tensione alla ricerca e all’impegno etico che hanno contraddistinto la loro vita e la loro attività.

C’è una idea di scuola che hanno condiviso?

Lodi e Rodari, partendo da esperienze personali autonome di studio e di operatività, hanno condiviso, soprattutto, quei valori di democrazia che li ha portati a elaborare concetti e proposte propulsive per una idea di scuola nuova, finalizzata a offrire a ogni individuo l’opportunità di sviluppare la propria personalità, nel rispetto della dimensione sociale di vita.

Così la scuola del nostro tempo deve a Mario Lodi e a Gianni Rodari un patrimonio di conoscenze e di esperienze che alimenta il fare scuola di ogni giorno, che definisce i tratti fondamentali della formazione dei docenti e delle docenti e, soprattutto, illumina il potenziale di crescita e di apprendimento di ogni bambino/a.

Non conosce Gianni Rodari chi pensa sia uno scrittore per bambini, pur se ai bambini ha dedicato testi originali, ormai “classici” della letteratura infantile. Per l’insieme della sua produzione ha ricevuto nel 1970, da una giuria internazionale, quel Premio Andersen che viene definito “il Nobel della letteratura infantile”. Alla cerimonia per la consegna del premio, Rodari ha detto: “Si può parlare agli uomini anche parlando di gatti e si può parlare di cose serie e importanti anche raccontando fiabe allegre. Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire ad educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo…”.

Rodari ha scritto “Grammatica della Fantasia”, con il sottotitolo Introduzione all’arte di inventare storie. Un testo che tutti i docenti dovrebbero leggere e non solo, un testo per genitori, intellettuali, politici. Una proposta con cui rivendica all’immaginazione lo spazio che deve avere nella vita di ciascuno

Nella sua premessa all’edizione “Scuola di Fantasia” (Lodi, La scuola di Rodari, in Rodari, 1992) Mario Lodi scrive:

“L’attenzione di Rodari per le scuole si collocava nell’analisi di una società che, uscita dalla dittatura fascista e dalla guerra, cercava in se stessa le forze vitali per ricostruire sui valori della Costituzione un nuovo modello di vivere”.

In modo parallelo, Lodi, nel suo ruolo di Maestro, ha anticipato l’idea di scuola come “comunità educante” organizzando la classe non in modo rigido e gerarchico, secondo il modello tradizionale per cui il maestro/la maestra insegna e gli alunni/alunne imparano, ma come comunità aperta, in cui sono compresi alunni, territorio, insegnanti, genitori, per realizzare l’esperienza di un organismo vitale per la costruzione della società democratica.

Entrambi hanno testimoniato l’idea di un’educazione nuova, non autoritaria, finalizzata ad una società nuova.

Gianni Rodari e Mario Lodi pensano a una scuola che abbia come fine la formazione del cittadino, che sia luogo aperto alla dimensione sociale, in cui trovano spazio, in modo consapevole, ricerca e pensiero critico. La scuola palestra di democrazia e di cultura è il concetto che integra e unisce la visione dell’educazione e della funzione docente dei due grandi interpreti del discorso pedagogico del nostro tempo.

Lodi e Rodari sono gli ispiratori del messaggio di “liberazione” dell’uomo e del bambino che assegna alla scuola, agli insegnanti, agli alunni la responsabilità di cambiare il mondo.

“Subito il primo giorno, devi decidere di fronte ai bambini come impostare il tuo lavoro: per asservire o per liberare. Da questa scelta dipende tutto il resto, anche la tua dimensione umana. Se scegli il metodo della liberazione senti nascere dentro di te una grande forza che è l’amore per i ragazzi, lo stesso amore che non può non trasferirsi sul piano sociale con l’impegno civile. […] Se non sei per la liberazione, porti a scuola la tecnica del padrone, duro o paterno a seconda dei casi: apparentemente è il sistema più facile e comodo ma alla fine trovi un vuoto morale enorme e la noia”
(Mario Lodi, Lettera a Katia in Il paese sbagliato, Torino, Einaudi, 1970)

“È difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo
mostrare la rosa al cieco.

Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi.”

(Gianni Rodari, Lettera ai bambini in Parole per giocare, Manzuoli Editore 1979)

La scuola ha bisogno di “maestri ignoranti”

La pedagogia rivoluzionaria di Mario Lodi

Mario Lodi, straordinaria figura di Maestro, è stato protagonista del rinnovamento pedagogico della scuola italiana, illuminato e appassionato interprete delle tensioni e delle aspirazioni dell’Italia post-guerra.

Celebrare Mario Lodi come maestro, scrittore, pedagogista, vuol dire riconoscere l’importanza e l’attualità del suo pensiero e della sua opera. Riferimenti ideali per cogliere il suo impegno sono Don Lorenzo Milani, Gianni Rodari, Loris Malaguzzi. Il Maestro di Piadena ha saputo comunicare la centralità della Scuola nella società democratica affermando il valore dell’alunno: il bambino e la bambina da accogliere e promuovere come persona. 

MARIO LODI AGLI INIZI DELLA CARRIERA

Esponente del Movimento di Cooperazione Educativa, ha ottenuto premi e riconoscimenti che attestano la sua influenza sul dibattito politico e culturale che ha interessato, in passato, e continua a influenzare, oggi, il cambiamento della scuola e la formazione dei docenti.

Mario Lodi inizia il suo mestiere di maestro in una scuola che definisce classista, autoritaria, trasmissiva, rispetto alla quale saprà affermare una strada nuova, un modello educativo capace di rispettare la personalità delle bambine e dei bambini, in una società del dopoguerra profondamente mutata nei bisogni e negli ideali. Diventa maestro di ruolo nel 1948 a San Giovanni in Croce nel cremonese, dove inizia una esperienza innovativa, focalizzata sulla scoperta delle capacità creative dei bambini e delle bambine.

IL PENSIERO E IL FARE SCUOLA

Il maestro Lodi ascolta, stimola, aiuta, narra e registra in un diario, mantenendo viva l’attenzione alla centralità dell’ambiente interno ed esterno alla scuola, in cui bambine e bambini vivono e si esprimono. Soggetti protagonisti, che hanno la possibilità di attivare (sentendosi liberi e libere di esprimersi insieme agli altri) fantasia e creatività, impegno e responsabilità, gioco e scoperta, apprendimento e sviluppo della personalità.

Il fare scuola di Mario lodi è al tempo stesso “agire educativo” e “documentazione di percorsi”, un itinerario in cui trovano spazio riflessioni, appunti, giornalini di classe, verbalizzazione di scambi comunicativi degli e con le alunne e gli alunni, narrazioni. Un processo che si trasforma via via in proposta educativa capace di allargare l’esperienza originale e personale di Mario Lodi per diventare “metodo”, strategia didattica valida in altre realtà italiane della scuola dell’obbligo.

IL MESTIERE DI MAESTRO

Nel suo primo giorno di scuola, come maestro di ruolo, a San Giovanni in Croce, negli anni 50, Mario Lodi racconta di un alunno che si alza dal banco per andare a guardare fuori dalla finestra. La finestra è aperta. Lasciar fare o reprimere? “Mi alzai e mi misi a guardare il mondo dalla finestra”. La scelta è stata decisiva, ha prefigurato l’orizzonte della professione di maestro, quella professione che egli definirà Mestiere, il più difficile ma il più importante.

Nel testo “Guida al mestiere di maestro” (1982), Mario Lodi esprime un concetto fondamentale per capire il suo pensiero e la concezione di quella specifica professione “mestiere”. Nel concetto di mestiere egli rappresenta la competenza operativa, l’originalità e l’innovazione. Parlare di mestiere vuol dire pensare alla scuola come a un laboratorio in cui ogni giorno è possibile migliorare l’attività didattica, la capacità di essere in relazione, la possibilità di realizzare una comunità di apprendimento.

Per Mario Lodi la scuola ha bisogno di “maestri ignoranti, insegnanti che sappiano imparare con i bambini e dai bambini, motivati a capire il loro modo di leggere il mondo.

Non avrei mai pensato di diventare maestro di scuola. Volevo fare il falegname, vivere una segheria tra trance e pialle, sgorbie e lime. Il mio modello era Geppetto, l’artigiano di Collodi. Sì, volevo essere come Geppetto con Pinocchio”.

Nella scuola di Mario Lodi bambine e bambini imparano attraverso il gioco, attraverso l’esperienza che coinvolge tutti i sensi, imparano insieme agli altri. Seguendo i principi della Pedagogia di Célestin Freinet, la scuola è un laboratorio di idee, una tipografia in cui si stampa il giornalino della scuola, una palestra di discussione sui principi della Costituzione.

Con la spinta ideale a valorizzare la ricchezza delle attività realizzate, dopo il pensionamento, nel 1989, Mario Lodi fondò la Casa delle Arti e del Gioco, un laboratorio, trasformatosi poi in Associazione, di sperimentazione di tutti i linguaggi espressivi. Queste istanze hanno portato a definire l’azione educativa di Mario Lodi “pedagogia rivoluzionaria” e a coniare per lui la definizione di “maestro del fare insieme”, “maestro della Costituzione”.

“Occorre credere nel bambino come persona e soggetto culturale, e come cittadino alla pari, la cui esperienza ha, al suo livello psicologico, la stessa dignità dell’adulto scrittore, artista, scienziato e filosofo…”.

Queste parole sono riportate in A&B, giornale che nasce nel 1983 come inserto mensile del giornale di Cremona Mondo Padano. Un piccolo giornale che rappresenta il sogno di Mario Lodi: dare la parola alle bambine e ai bambini, per conoscere chi sono, come vivono, cosa fanno per migliorare il mondo.

” … i bisogni dei bambini di oggi sono per molti versi differenti da quelli dell’Italia degli anni Cinquanta, eppure uguale è il loro bisogno di autentica felicità. A questo deve mirare una buona scuola”.

(C’è speranza se questo accade al Vho, Einaudi, 1972, Prefazione di Mario Lodi)

 

Mario Lodi scrive il motto che fu di Don Milani “I care” (foto di Attilio Rossetti)

L’abbraccio: un gesto unico con mille significati

Giornata Mondiale degli Abbracci

La Pandemia da Covid-19, l’esperienza più lacerante di questo tempo, arrivata in modo imprevisto a trasformare le nostre vite a livello personale e sociale, ha proposto l’abbraccio come simbolo capace di raffigurare dolore e gioia nel loro intrecciarsi e nel loro opporsi. Sofferenza, solitudine, isolamento, speranza, hanno trovato nell’abbraccio la rappresentazione dell’inquietudine, della disperazione e del coraggio. L’abbraccio come forma di tensione verso la vita mai sperimentata, prima della Pandemia, in modo tanto drammatico. Così abbiamo riscoperto il valore profondo di un gesto, immaginato naturale e spontaneo, reso, dalla Pandemia, “immagine” di una esperienza “impossibile”.

Abbiamo conosciuto l’abbraccio commovente nelle foto che hanno fatto il giro del mondo, diffuse dai social e dai mezzi di comunicazione, scattate per raccontare di vissuti toccanti, quando l’abbraccio era tra infermieri e pazienti, bambini, anziani, in situazioni di non contatto corporeo. Abbiamo ascoltato il desiderio dell’abbraccio comunicato attraverso le parole “a distanza”, la disperazione per un abbraccio negato e reso inattuabile dalla morte. Abbiamo imparato a misurare il tempo dell’attesa di un abbraccio reale e a riscoprirne l’importanza per la vita.

L’abbraccio come vicinanza, affetto, condivisione, solidarietà, è diventato ricorrenza con la Giornata Mondiale degli Abbracci, istituita negli Stati Uniti nel 1986, celebrata, ogni anno, il 21 gennaio. La ricorrenza è nata a Clio, paesino nel Michigan, per iniziativa del pastore della chiesa locale Kevin Zaborney. Una giornata che sancisce il valore umano, sociale, culturale dell’abbraccio, esperienza connotata di positività a livello emotivo.

L’ABBRACCIO NELLA LETTERATURA

Famoso l’abbraccio che ci presenta Dante Alighieri nella Divina Commedia quando incontra, nel canto II del Purgatorio, il suo amico Casella, musico e cantore. Questi si fa avanti verso di lui “con sì grande affetto” e Dante è mosso ricambiare, “a far lo somigliante”; tenta di abbracciarlo per ben tre volte ma inutilmente. Il suo amico è un’ombra e le mani di Dante avvinte per ben tre volte, si richiudono sempre sul suo petto vanamente, “e tante mi tornai con esse al petto”.

L’affetto di Dante, che vuole rivelarsi nell’abbraccio, viene deluso per aver dinanzi uno spirito, un’ombra inconsistente. A Dante non resta che ascoltare il canto dell’amico, per ricevere conforto e tentare di alleviare la fatica del viaggio.

L’abbraccio si rivela così gesto del corpo, profondamente umano e non contemplato in quello che è il regno delle anime.

David Grossman, sensibile scrittore contemporaneo, ha dedicato un gioiello letterario al tema proponendo il gesto, forse più antico dell’umanità, come espressione della solitudine e dell’amore. Nel libro intitolato “L’abbraccio” (2010) leggiamo di una mamma che dialoga con il figlio il quale scopre, tra le sue braccia, di non essere solo. La mamma sa rassicurare il bambino con parole dense di amore: “Per non essere più soli hanno inventato l’abbraccio”.

 

GLI ABBRACCI CI FANNO SENTIRE AMATI E MENO SOLI

Tutti hanno bisogno di essere abbracciati, la pandemia ha fatto capire quanto possa essere importante il contatto sociale e fisico per la salute e il benessere. Le ricerche in campo psicopedagogico hanno evidenziato la stretta correlazione tra emozioni trasmesse nell’atto di abbracciare e apprendimento.

Siamo sistemi complessi, dove le emozioni accompagnano le nostre funzioni. Non c’è un atto della vita psichica in cui le emozioni non restino presenti, coscientemente o sotto coscienza”.

Lo dice Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo dell’Università degli studi di Padova, intervenendo al XVI convegno nazionale dell’Istituto di Ortofonologia (2015). Questo significa che quando un bambino impara, mentre impara, se sente un’emozione negativa come la paura, tutte le volte che ripercorrerà quell’apprendimento, accanto all’apprendimento ripercorrerà anche la paura. “Quindi” – spiega la psicologa – “apprende a stabilizzare anche l’emozione che in un certo senso gli fa da antagonista”.

Chi lavora nell’ambito dell’educazione e nell’ambito della clinica deve capire che non c’è contraddizione nel dare un’unità didattica che aiuti l’apprendimento, insieme ad uno sguardo che rassicuri e incoraggi. L’uno non sostituisce l’altro. Lucangeli ribadisce: “Non possiamo sostituire con schede o con sistemi artificiosi e artificiali quello che è la capacità comunicativa e intersoggettiva nell’aiuto. Il principio di non contraddizione aiuta ma vale in una direzione come nell’altra. Come l’abbraccio non sostituisce la competenza, la competenza non sostituisce l’abbraccio”.

L’abbraccio si pone come dimensione di cura, modalità di aiuto nello sviluppo armonico della personalità, forma appagante di inclusione sociale e connessione relazionale significativa.

Nell’abbraccio tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati”.
(Roland Barthes)

L’arte ha sondato le potenzialità di un atto di per sé creativo, restituendoci immagini capaci di evocare la forza dell’abbraccio e di aprirci alla sua bellezza.

“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”
.

(Pablo Neruda)

Può essere la scuola a misura di bambino? Come?

Adolphe Ferrière già un secolo fa proponeva la “scuola attiva”

Adolphe Ferrière, psicologo, pedagogista ginevrino (1879-1960), ha rappresentato, con il suo contributo originale, il movimento delle “Scuole Nuove”.

Diede organicità alle diverse idee che avevano ispirato i movimenti delle scuole nuove, accogliendo da Pierre Bovet quel termine “scuole attive” che diventerà il termine di riferimento nella diffusione di proposte educative innovative rispetto alla tradizione della didattica.

Ad un secolo di distanza dalla sua concezione pedagogica, l’impegno a realizzare una “scuola attiva” appare sorprendentemente attuale e lungimirante. Per Ferrière scuola attiva vuol dire scuola che rispetta il bambino nella sua spontaneità,  che offre le opportunità per una libera espressione della personalità di ciascuno.

La scelta di riflettere sul pensiero di questo autore, protagonista riconosciuto a livello internazionale del rinnovamento dell’educazione, è collegata all’attualità della sua concezione del bambino e dell’insegnamento, in un tempo i cui l’attenzione alla scuola, in conseguenza della pandemia ha assunto molteplici prospettive, nel confronto, spesso aspro, che coinvolge docenti, genitori, amministratori, opinione pubblica. Il dibattito sulla frequenza scolastica, sugli spazi, sulle strutture, sulle modalità possibili di insegnare e di apprendere rende attuale la provocazione di un autore del secolo scorso, che ha posto al centro delle sue ricerche il bambino e il rispetto della sua individualità.

Può essere la scuola a misura di bambino? Come?
In un famoso epigramma, scritto in occasione del Congresso fondativo della Lega Internazionale dell’Educazione Nuova (Calais, 1921), Ferrière afferma:

La scuola è stata creata su indicazione del diavolo.

Il bambino ama la natura: è stato parcheggiato in stanze chiuse.

Il bambino vuol vedere che la sua attività sia servita a qualcosa: si è fatto in modo che non avesse alcuno scopo.

Ama muoversi: è stato obbligato a restare immobile.

Ama servirsi delle mani: è stato messo in azione solo il suo cervello.

Ama parlare: è stato costretto al silenzio.

Vorrebbe ragionare: gli è stato chiesto di mandare a memoria.

Vorrebbe cercare la scienza: gli è stata presentata già pronta.

Vorrebbe entusiasmarsi: sono state inventate le punizioni.

Così Ferrière contesta i limiti di una scuola tradizionale che soffoca la spontaneità del bambino, per cui incoraggia spazi e tempi di libertà che tengano conto degli istinti più autentici e profondi muovendo verso lo sviluppo di una personalità aperta alla socievolezza.

Ferrière non lancia solamente messaggi ideali; fu tra i fondatori del movimento dell’Éducation Nouvelle per affrontare concretamente i temi chiave dell’educazione, in particolare quelli della motivazione ad apprendere e dell’interesse. Propone metodi attivi, lavorando in situazioni educative finalizzate, sperimentando nuove modalità organizzative capaci di tener conto delle differenze individuali e di dare valore alla creatività.

Parla di slancio vitale per definire l’energia che produce la vita intesa nelle varie dimensioni: fisica, intellettuale, emotiva, spirituale. Ogni essere vivente va stimolato ed “educato” ad accrescere le sue possibilità per poter vivere sempre meglio nella relazione positiva con gli altri e con l’ambiente.
Importanti sono l’attività manuale, l’esperienza dell’agricoltura e dell’allevamento, il movimento e il contatto con la natura, oltre le escursioni e i viaggi che permettono la scoperta e lo sviluppo di uno spirito di comunità.

Il sapere proposto dalla scuola nuova si incentra su una formazione fatta di esperienza e di cultura, di sviluppo delle attitudini personali nei vari ambiti della conoscenza, dell’arte e della ricerca.

L’interesse è un concetto forte di riferimento perché permette di programmare le attività secondo gli stadi di sviluppo della personalità di ciascuno. L’organizzazione della scuola si struttura secondo moduli di attività finalizzati alla formazione del senso di responsabilità e allo sviluppo di valori etici e democratici. La scuola nuova è un ambiente di vita che tiene in conto la bellezza, che privilegia la sensibilità verso le arti, l’apertura al pensiero creativo e riflessivo.

L’idea di una scuola attiva è efficace nel progettare l’innovazione e nell’ideare contesti scolastici significativi. Ripercorrendo le proposte di Ferrière, la scuola nuova è una scuola laboratorio, realizzata a stretto contatto con la natura, in cui è possibile il lavoro individualizzato e di gruppo.

Una scuola attiva perché capace di superare indici di passività legati alla strutturazione rigida di orari e ambienti, alla relazione unidirezionale docente-alunno, alla uniformità dei programmi.

Il movimento delle scuole nuove perseguiva una grande utopia pedagogica, sviluppare la pace e formare, attraverso la scuola, personalità consapevoli del valore della pace dopo la tragedia della prima guerra mondiale.

Una grande utopia pedagogica si pone con urgenza anche per gli educatori del nostro tempo, impegnati a lavorare in una scuola capace di educare i futuri cittadini ai valori della democrazia, nel progetto di uno sviluppo sostenibile.

Ferrière scrisse numerosi libri, tra cui: L’École active (1920), La liberté de l’enfant à l’école active (1928), L’avenir de la psycologie génétique (1931), L’école active à travers l’Europe (1948), Orthogenèse humaine ou l’Ascension vers l’esprit (1960).