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700 anni dalla morte di Dante

| Mirella Mazzarini | , , | Tempo di lettura: 5 min.
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Dante e Virgilio: il Sommo Poeta e il suo Maestro

Celebriamo Dante Alighieri nella ricorrenza dei 700 anni dalla sua morte, avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.

Settembre, che vede l’inizio di un nuovo anno scolastico, ci consegna una data da ricordare e soprattutto un evento capace di dare speciale ispirazione e risonanza all’esperienza del viaggio umano e professionale che si realizza nella scuola.

Un viaggio da affrontare con disponibilità verso gli altri, curiosità, intelligenza nel confronto con i tanti problemi. Proiettati nel nuovo Cammino, celebriamo Dante Alighieri, nel mese della sua morte, rispecchiandoci nella relazione del Sommo Poeta con il suo Maestro: una relazione di aiuto, di scambio, di illuminazione.

Proviamo a riflettere sul valore educativo del rapporto di Dante con la sua Guida, un rapporto su cui si fonda il significato più alto della Divina Commedia.

Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me,» gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!»    

(Inferno, I, 64-66)

Il deserto rappresenta il sentimento di smarrimento di Dante nella selva oscura che lo induce a invocare aiuto gridando “miserere” verso qualcuno che non sa identificare. Quell’ombra apparente, che risponderà prontamente, dichiara di essere non più uomo, di essere mantovano, vissuto a Roma, nel I secolo a.C., al tempo di Augusto. È Virgilio, grande poeta latino, autore dell’Eneide, grande esempio di sapienza, considerato il “massimo poeta” in epoca medievale. Dante lo presenta come una figura centrale del viaggio allegorico nella Divina Commedia. Virgilio appare già nel I canto dell’Inferno ed è simbolo di saggezza e autorità: “tu sei lo mio maestro e ‘l mio autore”, scrive Dante. Nella Commedia è simbolo della Ragione, esempio massimo del valore della sapienza umana di chi è vissuto in epoca pre-cristiana.
Sarà Virgilio a mostrare a Dante le “segrete cose”, i misteri del regno dell’oltretomba.

«E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose».

Inferno, III, 19-21

A partire dall’incontro nella “selva oscura” Dante si rivolge a Virgilio come un discepolo verso il suo maestro, ma presto cresce il sentimento di fiducia e le parole diventano cariche di affetto, rivelando un rapporto quasi genitoriale tra i due. Virgilio apre lo sguardo di Dante sulle miserie dei dannati

«Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».                       
Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.    

(Inferno, III, 32-36)

Virgilio è un modello di poesia e di umanità per Dante; tanti gli esempi in molti episodi dell’Inferno. Nel canto III, quando incontra gli ignavi, Virgilio dice al poeta di “non curarsi di loro” (non ragioniam di lor, ma guarda e passa).

Di fronte a Caronte, il traghettatore delle anime dei dannati, il quale tenta di impedire a Dante di procedere nel suo viaggio, Virgilio testimonia l’alta missione del suo discepolo e spiega come questi, per realizzare lo scopo del suo compito spirituale, trovi in cielo divina protezione:

E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare
».

(Inferno, III, 94-96)

Virgilio accompagna Dante, è la sua guida, lo consiglia, lo incoraggia, lo chiama “figlio”. Ammirazione, rispetto e fiducia sono i sentimenti del Poeta verso la sua Guida, appellato come “dolcissimo patre” nel momento del distacco (Purgatorio, XXX, 50), quando la Ragione cederà il posto alla Fede e alla Grazia divina.

Le ultime parole di Virgilio verso Dante lo richiamano a non aspettare più il suo insegnamento perché egli è, ormai, signore delle sue azioni e dei suoi pensieri. La ragione umana non può altro. Nello svolgersi del cammino sarà Beatrice a illuminarlo.

«Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio
,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio».         
               
(Purgatorio, XXVII, 139-142)

La ragione, consapevole dei suoi limiti, guarda alla fede come possibilità di salvezza.
Virgilio accetta di essere Guida per Dante, nel viaggio ultraterreno dal male alla redenzione, e di condividere con lui l’esperienza del dolore umano e dell’aspirazione alla perfezione. Così le vicende si susseguono in un percorso che sembra un perdersi negli abissi dell’Inferno ma che, in realtà, è un elevarsi alla conquista del Paradiso.

Attraverso la lettura dei versi di Dante possiamo riflettere sull’autonomia di giudizio, considerata traguardo del rapporto educativo, sia a livello di vissuto umano sia come dimensione alta del messaggio della Commedia! Proviamo a chiederci, inoltre, in quante delle relazioni che abbiamo costruito, e in quanti incontri, abbiamo provato ad essere “dolcissimo genitore e maestro” e quando, nella nostra esperienza di vita, un incontro è stato fondamentale per non perderci “in una selva oscura”.

Un incontro, uno scambio, che ricordiamo attraverso “una mano che conforta”: “la sua mano a la mia puose/ con lieto volto, ond’io mi confortai”.

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