COLA PESCE: la magia di una fiaba siciliana
Italo Calvino, Fiabe italiane
COLA PESCE: la magia di una fiaba siciliana
Fantasia e narrazione
Raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino, Einaudi, 1956 (Volume secondo, 147, Cola Pesce).
Cola Pesce è una fiaba che trae la sua origine nel territorio di Palermo, in Sicilia, una regione privilegiata, secondo Calvino, per quantità e qualità di fiabe raccolte nel tempo, grazie anche all’importante lavoro di ricerca di Giuseppe Pitrè.
La scelta del testo trascritto da Calvino, vuole riconoscere la ricchezza della narrativa orale propria della Sicilia, che vede ben diciassette versioni popolari della famosa leggenda. Grandi e bambini si immergono come Cola Pesce in avventure magiche, in trasformazioni emozionanti che producono incantesimi capaci di liberare e di liberarsi. Cola Pesce è un personaggio leggendario che diventa mito nello svelare aspetti misteriosi della Sicilia, nei quali si fondono credenze popolari e storia.
È possibile evidenziare nel testo una dimensione formativa che, a partire dall’immaginazione, traccia percorsi interpretativi nella direzione dell’appartenenza, del valore del coraggio, dell’amore per la propria terra.
147. Cola Pesce (Palermo)
Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio di nome Cola, che se ne stava a bagno nelmare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva: – Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce!
E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Ungiorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò unamaledizione: – Cola! Che tu possa diventare un pesce!
Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì.
La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re; e il Reordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.
Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando. – Cola! – glidisse. – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare!
E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re.
Il Re, al vederlo, gli fece buon viso. – Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!
Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. Dopo un poco di tempo fu di ritorno.
Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.
– E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. – Devi scendere giù a vedere dove poggia.
Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò a galla e disse al Re: – Messina èfabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
O Messina, Messina / Un dì sarai meschina!
Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Colascese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce.
Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo.
Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse: – Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.
Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò su disse che il fondo non l’aveva visto, perchéc’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua.
Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse: – Gettati dalla cima della Torre del Faro.
La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò di lassù in cima. Il Re aspettò un giorno, ne aspettò due, ne aspettò tre, ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido come un morto.
– Che c’è, Cola? – chiese il Re.
– C’è che sono morto di spavento, – disse Cola. – Ho visto un pesce, che solo nella bocca potevaentrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire mi son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina!
Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo ilFaro non gli era passata. E Cola: – No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura.
Visto che non riusciva a convincerlo, il Re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre prezioseche abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare. – Va’ a prenderla, Cola!
– Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno!
– Una corona che non ce n’è altra al mondo, – disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere!
– Se così volete, Maestà, – disse Cola, – scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più.
Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare.
Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.
Cola Pesce s’aspetta ancora che torni.
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Mirella Mazzarini
Presidente dell'Unicef Marche ed ex dirigente scolastica. Da anni è impegnata nel campo del volontariato e della pedagogia.
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