Educazione civica come educazione alla libertà
Rendere viva la Costituzione italiana e formare persone libere
L’educazione civica dovrebbe avere come centro, come cuore, la Costituzione Italiana.
Nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale per opera delle madri e dei padri costituenti, la Carta si basa sulla partecipazione libera e consapevole dei cittadini alla vita del Paese e prescrive come sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscano tale partecipazione. Uno di questi ostacoli è, con tutta evidenza, la poca o nulla conoscenza della Costituzione stessa in cui vi appunto sono espressi, con chiarezza e con un linguaggio accessibile a tutti, i diritti e i doveri di ciascuno di noi.
Ragazzi e ragazze dovrebbero avere una doppia dimestichezza con la Costituzione: sapere quali sono i principi fondamentali su cui essa si basa e attuare quelle azioni che permettano di metterla in pratica. Se l’insegnamento teorico dell’educazione civica è importante per essere davvero cittadini italiani e non solo ospiti inconsapevoli del territorio, senza azioni concrete esso diventa un mero esercizio scolastico, concluso da una valutazione finale analoga a quella che potrebbe meritare un esercizio di grammatica o un test di aritmetica.
L’apprendimento delle azioni concrete avviene, durante tutta l’età evolutiva e forse anche oltre, specialmente per mezzo dell’esempio.
Si può affermare senza cadere nella retorica che l’insegnante incarna, con il proprio comportamento, i principi costituzionali. Se i suoi atti contraddicono le sue parole, queste ultime risultano vuote di reale significato. Creare un ambiente senza disuguaglianze, fare in modo che siano rimossi gli ostacoli che impediscono agli allievi di partecipare pienamente alla vita scolastica significa applicare i valori espressi nella Carta.
Se la libertà personale rappresenta il valore irrinunciabile di una democrazia, essa dovrebbe essere anche il fondamento della scuola. La libertà non si può insegnare a persone che non sono in grado di pensare con la propria testa, di accedere a un’informazione corretta, di esprimere le proprie idee, di rincorrere quei sogni, quei desideri, quelle speranze che rendono la vita degna di essere vissuta. Inoltre, non è certo libero l’allievo cui non sia concesso di valorizzare i talenti dei quali è dotato, talenti che non sempre corrispondono agli standard stabiliti dal programma. E, nonostante la Costituzione affermi nell’articolo 33 che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” non è certo libero quell’insegnante che antepone programmi, aspettative, risultati all’unicità di ciascun allievo.
In un ambiente scolastico e in un Paese ideali, esercitare la propria libertà e, nello stesso tempo, riconoscere la libertà altrui significa evitare qualsiasi forma di prevaricazione. Non è perciò abbastanza corretto affermare che “la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro”, ma è meglio essere consapevoli che siamo liberi se sono liberi anche gli altri: in una galera il carceriere, pur potendo comandare e sottomettere, non è meno prigioniero del carcerato. Per fare un esempio molto semplice, in genere un allievo, per andare in bagno, deve chiedere il permesso all’insegnante. Da studentessa prima e da docente, in seguito, ho sempre ritenuto umiliante questa prassi, umiliante per ambedue i soggetti. Un allievo dovrebbe andare in bagno senza chiedere il permesso, ma rispettando un paio di regole: uscire uno alla volta, attendere la fine di una spiegazione importante, a meno che non ci sia un’urgenza. Sembra una sciocchezza, ma è anche su questo che si basa la quotidianità della comunità scolastica. È necessario, perciò, scardinare tutti quei pregiudizi e convenzioni, che, nell’ambito della scuola, imprigionano parimenti allievi e docenti e limitano di fatto la libertà personale.
Del resto, l’educazione civica mira a formare cittadini non sudditi. E un/una insegnante, che antepone le regole burocratiche all’allievo e al proprio lavoro educativo e didattico, non può formare cittadini consapevoli.
A volte, nella scuola, si perpetuano delle abitudini su cui non si riflette. Una tradizione ha un valore in quanto storia, non perché debba essere immutabile.
L’educazione civica come esempio è perciò la conditio sine qua non per rendere viva la Costituzione e per formare persone libere. La libertà favorisce l’azione creativa e rende responsabili. Gli esecutori di ordini, coloro che credono di non avere scelta, sono privi di qualsiasi senso di responsabilità.
La libertà diventa un argomento scivoloso al pari di quello che tratta dei diritti e dei doveri quando il punto di partenza siamo noi: noi desideriamo la nostra libertà, vogliamo che siano riconosciuti i nostri diritti personali o di categoria e, in genere, ci diamo da fare per questo. Cambiando il punto di vista, se tutti invece ci dessimo da fare per la libertà altrui, per i diritti altrui? Se avessimo solo dei doveri? Lo affermò con estrema lucidità la filosofa Simone Weil che, ne La prima radice (edizioni SE) scrisse: Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti e dei doveri a essi corrispondenti. (…) Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono degli obblighi verso di lui.
È pur vero che un simile modo di considerare l’altro sembra appartenere a un mondo ideale, a un’utopia, ma spesso è l’idea che dà forma al pensiero e che guida l’azione. Mi sembra si possa almeno tentare di realizzare quelle visioni che potrebbero migliorare il mondo, invece di rassegnarsi a una piatta consuetudine. La rivoluzione fatta a suon di forconi finisce spesso nel modo descritto da Orwell ne La fattoria degli animali oppure così come afferma il motto del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente.
La rivoluzione delle idee (da non confondere con le ideologie!), che favorisce un mutamento di prospettiva, ha una potenza secolare se non millenaria. Basti pensare a come, dopo la diffusione dei Vangeli, cambiarono i rapporti umani e la concezione del bene e del male. Quindi possiamo accontentarci di propinare agli allievi un certo numero di ore di “educazione civica” con tanto di programma e di verifiche, con l’illusione di aver fatto il nostro dovere e di aver meritato lo stipendio a fine mese, oppure possiamo crederci davvero e rendere l’educazione civica un’iniziazione a una vita migliore.
L’educazione civica dovrebbe condurci alla pratica di idee nuove, oppure di idee che tanto nuove non sono, ma che non abbiamo mai applicato del tutto o in parte, così come risultano inapplicati o applicati solo in parte alcuni principi costituzionali. È evidente che c’è ancora molta strada da fare per realizzare le idee che ispirarono le madri e i padri costituenti. Alcune sono rimaste fisse sulla Carta, ma non sono state attuate, tanto che, ancora ai giorni nostri, si rende necessario, per esempio, trovare dei modi per rendere effettiva la parità fra i sessi, oppure per assicurare un’autentica libertà di stampa.
Quest’ultima necessità è tanto più urgente quanto più le nuove tecnologie, pur assicurando da un lato una diffusione vastissima delle notizie e la conoscenza di ciò che accade nelle zone più sperdute del pianeta, dall’altro propinano un’informazione drogata dalle cosiddette fake news e comportano un controllo capillare sulle persone. Bene ha fatto quindi il legislatore nell’introdurre il tema nell’educazione civica, perché i giovani (e non solo), anche se sono abilissimi nell’uso dello strumento tecnologico, non sempre possiedono gli strumenti mentali per discernere, comprendere, discriminare. E il problema diventa maggiore in quanto neppure i docenti sono in grado di verificare l’autenticità di alcune informazioni che sono scelte in base agli interessi e anche ai pregiudizi di chi le cerca.
Un altro tema, fondamentale per la qualità della vita e perfino per la nostra sopravvivenza, è la protezione dell’ambiente. L’8 febbraio 2022 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di riforma costituzionale sulla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, integrando l’articolo 9 della Costituzione che determina la protezione del paesaggio. Inoltre, è stato riformato anche l’articolo 41, in cui si ribadisce che la libera iniziativa economica non deve recare danno alla salute e all’ambiente. Come ho già affermato, l’insegnamento dell’educazione civica passa in prevalenza attraverso l’esempio e l’azione. Non è sufficiente spiegare agli allievi che il territorio deve essere protetto, ma bisogna attuare comportamenti e progetti per cambiare il modo di rapportarsi con i luoghi dove si vive. In questo caso, il luogo principale è la scuola con suoi annessi.
Qui avvengono spesso sprechi di materiale, di acqua, di carta, di energia che sono diventati una brutta abitudine e, come tutte le abitudini, una consuetudine invisibile. Dal cibo buttato nelle mense scolastiche alla carta utilizzata per qualche scarabocchio, dai rubinetti lasciati aperti nei bagni ai cestini colmi di materiali eterogenei, dalle luci dimenticate accese nelle aule vuote alla ridondanza delle fotocopie, dal verde violato, strappato, deperito nei giardini (quando ci sono) alle colonne di auto con il motore acceso che si forma all’uscita e all’entrata delle scuole: da tutto questo possono costituirsi progetti di miglioramento, di sensibilizzazione e di protezione che rappresentano un percorso attivo di educazione civica.
Non si tratta, quindi, di sottrarre ore alle altre discipline per inventarsi una nuova materia, ma di fare meglio e con più consapevolezza ciò che già si intraprende in molte scuole in modo estemporaneo e in base alla buona volontà dei singoli insegnanti. Ora tutto il corpo docente è chiamato a educare se stesso e gli allievi a una cittadinanza libera, partecipata, informata. Mi sembra sia questo il discrimine introdotto dalla legge 92 del 2019 e dalle linee guida del decreto 35 del 2020: l’educazione civica non è più un complemento delle altre discipline, ma un’azione discussa e programmata insieme per formare cittadini responsabili che abbiano compreso e maturato i valori della legalità, della solidarietà e della partecipazione democratica.
Gli insegnanti hanno spesso l’impressione di fare le nozze con i fichi secchi, così come recita il detto popolare. La scuola è caricata di un sempre maggior numero di incombenze e di responsabilità, spesso deve sostituirsi a una famiglia assente o insicura. La società diventa più complessa, aumentano i problemi. Se gli attrezzi del mestiere di insegnante rimangono quasi primitivi, se gli ambienti scolastici, gli spazi, i sussidi si riducono a causa dei tagli delle spese e del fatto che la scuola non è considerata un investimento per il futuro, ma un debito per il presente, ebbene, il lavoro diventa difficoltoso e ci si scoraggia. Una legge, per quanto efficace e lungimirante, senza adeguati finanziamenti rimane quasi lettera morta. La formazione dei docenti inoltre è quasi sempre teorica e burocratica: indica degli obiettivi, propone griglie e format di programmazione e di valutazione, ma non suggerisce quasi mai percorsi e azioni.
Credo sia giunto il momento che i docenti prendano in mano la situazione da cittadini consapevoli esercitando la libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione, abbandonando la brutta abitudine di accettare che tutte le decisioni e le scelte siano fatte per loro da qualcun altro. Consapevoli di essere non i frammenti di un’istituzione gerarchica incollati a malapena insieme come un vaso rotto, ma un organismo di professionisti uniti da uno scopo nobile e fondamentale, un corpo i cui organi funzionano bene se stanno tutti bene.
Una rivoluzione delle idee può essere il fondamento di una scuola più fresca, libera, felice. Sì, felice perché, in fondo, lo scopo della democrazia dovrebbe essere quello di fondare una società mite, gioiosa, dove l’apprendimento nutra non solo il corpo avendo come finalità il successo lavorativo e personale, ma soprattutto lo spirito e dove l’accoglienza e l’uguaglianza siano tanto realizzate quanto divenga superfluo affermare che lo debbano essere.