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L’abbraccio: un gesto unico con mille significati

| Mirella Mazzarini | , , | Tempo di lettura: 5 min.
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Giornata Mondiale degli Abbracci

La Pandemia da Covid-19, l’esperienza più lacerante di questo tempo, arrivata in modo imprevisto a trasformare le nostre vite a livello personale e sociale, ha proposto l’abbraccio come simbolo capace di raffigurare dolore e gioia nel loro intrecciarsi e nel loro opporsi. Sofferenza, solitudine, isolamento, speranza, hanno trovato nell’abbraccio la rappresentazione dell’inquietudine, della disperazione e del coraggio. L’abbraccio come forma di tensione verso la vita mai sperimentata, prima della Pandemia, in modo tanto drammatico. Così abbiamo riscoperto il valore profondo di un gesto, immaginato naturale e spontaneo, reso, dalla Pandemia, “immagine” di una esperienza “impossibile”.

Abbiamo conosciuto l’abbraccio commovente nelle foto che hanno fatto il giro del mondo, diffuse dai social e dai mezzi di comunicazione, scattate per raccontare di vissuti toccanti, quando l’abbraccio era tra infermieri e pazienti, bambini, anziani, in situazioni di non contatto corporeo. Abbiamo ascoltato il desiderio dell’abbraccio comunicato attraverso le parole “a distanza”, la disperazione per un abbraccio negato e reso inattuabile dalla morte. Abbiamo imparato a misurare il tempo dell’attesa di un abbraccio reale e a riscoprirne l’importanza per la vita.

L’abbraccio come vicinanza, affetto, condivisione, solidarietà, è diventato ricorrenza con la Giornata Mondiale degli Abbracci, istituita negli Stati Uniti nel 1986, celebrata, ogni anno, il 21 gennaio. La ricorrenza è nata a Clio, paesino nel Michigan, per iniziativa del pastore della chiesa locale Kevin Zaborney. Una giornata che sancisce il valore umano, sociale, culturale dell’abbraccio, esperienza connotata di positività a livello emotivo.

L’ABBRACCIO NELLA LETTERATURA

Famoso l’abbraccio che ci presenta Dante Alighieri nella Divina Commedia quando incontra, nel canto II del Purgatorio, il suo amico Casella, musico e cantore. Questi si fa avanti verso di lui “con sì grande affetto” e Dante è mosso ricambiare, “a far lo somigliante”; tenta di abbracciarlo per ben tre volte ma inutilmente. Il suo amico è un’ombra e le mani di Dante avvinte per ben tre volte, si richiudono sempre sul suo petto vanamente, “e tante mi tornai con esse al petto”.

L’affetto di Dante, che vuole rivelarsi nell’abbraccio, viene deluso per aver dinanzi uno spirito, un’ombra inconsistente. A Dante non resta che ascoltare il canto dell’amico, per ricevere conforto e tentare di alleviare la fatica del viaggio.

L’abbraccio si rivela così gesto del corpo, profondamente umano e non contemplato in quello che è il regno delle anime.

David Grossman, sensibile scrittore contemporaneo, ha dedicato un gioiello letterario al tema proponendo il gesto, forse più antico dell’umanità, come espressione della solitudine e dell’amore. Nel libro intitolato “L’abbraccio” (2010) leggiamo di una mamma che dialoga con il figlio il quale scopre, tra le sue braccia, di non essere solo. La mamma sa rassicurare il bambino con parole dense di amore: “Per non essere più soli hanno inventato l’abbraccio”.

 

GLI ABBRACCI CI FANNO SENTIRE AMATI E MENO SOLI

Tutti hanno bisogno di essere abbracciati, la pandemia ha fatto capire quanto possa essere importante il contatto sociale e fisico per la salute e il benessere. Le ricerche in campo psicopedagogico hanno evidenziato la stretta correlazione tra emozioni trasmesse nell’atto di abbracciare e apprendimento.

Siamo sistemi complessi, dove le emozioni accompagnano le nostre funzioni. Non c’è un atto della vita psichica in cui le emozioni non restino presenti, coscientemente o sotto coscienza”.

Lo dice Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo dell’Università degli studi di Padova, intervenendo al XVI convegno nazionale dell’Istituto di Ortofonologia (2015). Questo significa che quando un bambino impara, mentre impara, se sente un’emozione negativa come la paura, tutte le volte che ripercorrerà quell’apprendimento, accanto all’apprendimento ripercorrerà anche la paura. “Quindi” – spiega la psicologa – “apprende a stabilizzare anche l’emozione che in un certo senso gli fa da antagonista”.

Chi lavora nell’ambito dell’educazione e nell’ambito della clinica deve capire che non c’è contraddizione nel dare un’unità didattica che aiuti l’apprendimento, insieme ad uno sguardo che rassicuri e incoraggi. L’uno non sostituisce l’altro. Lucangeli ribadisce: “Non possiamo sostituire con schede o con sistemi artificiosi e artificiali quello che è la capacità comunicativa e intersoggettiva nell’aiuto. Il principio di non contraddizione aiuta ma vale in una direzione come nell’altra. Come l’abbraccio non sostituisce la competenza, la competenza non sostituisce l’abbraccio”.

L’abbraccio si pone come dimensione di cura, modalità di aiuto nello sviluppo armonico della personalità, forma appagante di inclusione sociale e connessione relazionale significativa.

Nell’abbraccio tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati”.
(Roland Barthes)

L’arte ha sondato le potenzialità di un atto di per sé creativo, restituendoci immagini capaci di evocare la forza dell’abbraccio e di aprirci alla sua bellezza.

“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”
.

(Pablo Neruda)

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