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Tag: dante alighieri

Celebrare Dante il 25 marzo

Un viaggio che dura sino ad oggi

inferno william blakeDante e Virgilio entrano nella foresta – Illustrazione di William Blake della Divina Commedia

Perché leggere dante o tornare a leggerlo?

In un momento in cui le celebrazioni dantesche assumono molteplici forme culturali e Dante diventa un’immagine di forte richiamo promozionale per pubblicazioni, iniziative accademiche e sui social network, ci chiediamo se è possibile trasferire la sua poetica anche in una canzone pop, in un prodotto pubblicitario o in un gadget. Quale forza attrattiva è connaturata alla scrittura del Sommo Poeta? 

Nel caso della Commedia, opera che possiamo senz’altro definire “patrimonio dell’umanità”, si tratta di riprendere in mano un canto perché si serba il ricordo di personaggi che sentiamo vicini per la loro storia e la loro sensibilità, per rituffarci in descrizioni che fanno parte del nostro bagaglio immaginario, o affidiamo la scelta alla suggestione di proposte mirate alla riscoperta del valore linguistico dell’opera? Intrigante e interessante l’iniziativa dell’Accademia della Crusca che ogni giorno ripropone una parola “fresca di giornata”. Qualunque sia la spinta iniziale per leggere la Commedia, scopriamo che Dante ci appartiene, fa parte di noi e continua ad alimentare i nostri pensieri e le nostre emozioni in modo profondo.

L’esperienza di viaggio nella Divina Commedia

Dante, nella Commedia, inizia un viaggio a cui è predestinato ma il senso di tale viaggio, pur se dichiarato, è tutto da esplorare.

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra 
da le fatiche loro; e io sol uno                                         
m’apparecchiava a sostener la guerra 
sì del cammino e sì de la pietate, 
che ritrarrà la mente che non erra.
” (Inferno, II, 1-6)

Non si tratta di un viaggio ameno ma di un cammino irto, difficile, in cui l’uomo deve essere pronto a sopportare la “guerra” fatta di dramma e di sofferenza. Ne sarà all’altezza? Ecco emergere aspetti del sentire che ci rendono vicini al poeta: il dubbio, lo smarrimento, l’insicurezza. Dante riesce a superare la sua paura elevandosi dalla condizione di uomo solo “nella selva oscura”, per diventare disponibile all’incontro, aperto alla ragione e alla grazia, capace di osservare e di indagare le miserie sue e quelle del modo. Dante non è ripiegato su se stesso, assorbito dai suoi dubbi, distaccato, è invece ricco di umanità e mai in solitudine.  Questa è una prospettiva etico- morale di grande valore, una prospettiva in cui troviamo una motivazione forte per avvicinarci alla Commedia.

“Leggere” Dante vuol dire innanzi tutto lasciar parlare Dante e cogliere il valore simbolico del suo poema e del suo viaggio. Accanto ai dannati che incontra e verso i quali dimostra sempre autentico coinvolgimento, ci sono figure come Virgilio e Beatrice che rappresentano, in modo allegorico, le vie della salvezza: la ragione e la fede.

Da un punto di vista formale e letterario la Commedia è la narrazione del Viaggio nei Regni dell’Oltretomba e la descrizione della condizione delle anime dopo la morte. Dante non è un osservatore privilegiato, è soggetto protagonista di un’esperienza di valore universale. Dante considera il viaggio una missione capace di indicare all’umanità la via della rigenerazione e della perfezione.

L’esilio di Dante e l’incontro con Cacciaguida

Il suo viaggio può essere considerato paradigma dell’esilio che il poeta vive mentre scrive l’opera ma che immagina gli verrà annunciato al termine dello stesso viaggio quando, in Paradiso, (Canto XVII) incontrerà Cacciaguida, suo avo. Questi gli spiegherà che grazie ai meriti poetici e intellettuali, Dante è stato scelto dalla mente divina per l’altissimo fine di andare nell’Oltretomba da vivo affinché, una volta tornato in terra, possa raccontare la sua esperienza ai contemporanei, senza omettere nulla, senza essere “timido amico” della verità. Dante è preparato ad ascoltare e verso le parole gravi dell’avo “avvegna ch’io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; “è pronto a reggere la sventura, a lasciare ogni cosa cara”.

Tu lascerai ogne cosa diletta 
più caramente; e questo è quello strale 
che l’arco de lo essilio pria saetta.                               

Tu proverai sì come sa di sale 
lo pane altrui, e come è duro calle 
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
” (Paradiso, Canto XVII, 55-60)

La realtà dell’esilio diventa simbolo di una condizione universale dell’uomo. Dante è poeta e profeta, pellegrino e uomo politico.

Le parole che prevedono il futuro di Dante sono versi famosissimi, ricchi di figure che sono entrate a far parte del linguaggio vivo della comunicazione. Un linguaggio denso di simbolismi ma anche di espressioni concrete e realistiche come nel verso con cui Cacciaguida sollecita Dante a parlare in modo trasparente e veritiero:

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’ è la rogna
.” (Paradiso, Canto XVII, 127-129)

700 anni dalla morte di Dante

Dante e Virgilio: il Sommo Poeta e il suo Maestro

Celebriamo Dante Alighieri nella ricorrenza dei 700 anni dalla sua morte, avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.

Settembre, che vede l’inizio di un nuovo anno scolastico, ci consegna una data da ricordare e soprattutto un evento capace di dare speciale ispirazione e risonanza all’esperienza del viaggio umano e professionale che si realizza nella scuola.

Un viaggio da affrontare con disponibilità verso gli altri, curiosità, intelligenza nel confronto con i tanti problemi. Proiettati nel nuovo Cammino, celebriamo Dante Alighieri, nel mese della sua morte, rispecchiandoci nella relazione del Sommo Poeta con il suo Maestro: una relazione di aiuto, di scambio, di illuminazione.

Proviamo a riflettere sul valore educativo del rapporto di Dante con la sua Guida, un rapporto su cui si fonda il significato più alto della Divina Commedia.

Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me,» gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!»    

(Inferno, I, 64-66)

Il deserto rappresenta il sentimento di smarrimento di Dante nella selva oscura che lo induce a invocare aiuto gridando “miserere” verso qualcuno che non sa identificare. Quell’ombra apparente, che risponderà prontamente, dichiara di essere non più uomo, di essere mantovano, vissuto a Roma, nel I secolo a.C., al tempo di Augusto. È Virgilio, grande poeta latino, autore dell’Eneide, grande esempio di sapienza, considerato il “massimo poeta” in epoca medievale. Dante lo presenta come una figura centrale del viaggio allegorico nella Divina Commedia. Virgilio appare già nel I canto dell’Inferno ed è simbolo di saggezza e autorità: “tu sei lo mio maestro e ‘l mio autore”, scrive Dante. Nella Commedia è simbolo della Ragione, esempio massimo del valore della sapienza umana di chi è vissuto in epoca pre-cristiana.
Sarà Virgilio a mostrare a Dante le “segrete cose”, i misteri del regno dell’oltretomba.

«E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose».

Inferno, III, 19-21

A partire dall’incontro nella “selva oscura” Dante si rivolge a Virgilio come un discepolo verso il suo maestro, ma presto cresce il sentimento di fiducia e le parole diventano cariche di affetto, rivelando un rapporto quasi genitoriale tra i due. Virgilio apre lo sguardo di Dante sulle miserie dei dannati

«Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».                       
Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.    

(Inferno, III, 32-36)

Virgilio è un modello di poesia e di umanità per Dante; tanti gli esempi in molti episodi dell’Inferno. Nel canto III, quando incontra gli ignavi, Virgilio dice al poeta di “non curarsi di loro” (non ragioniam di lor, ma guarda e passa).

Di fronte a Caronte, il traghettatore delle anime dei dannati, il quale tenta di impedire a Dante di procedere nel suo viaggio, Virgilio testimonia l’alta missione del suo discepolo e spiega come questi, per realizzare lo scopo del suo compito spirituale, trovi in cielo divina protezione:

E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare
».

(Inferno, III, 94-96)

Virgilio accompagna Dante, è la sua guida, lo consiglia, lo incoraggia, lo chiama “figlio”. Ammirazione, rispetto e fiducia sono i sentimenti del Poeta verso la sua Guida, appellato come “dolcissimo patre” nel momento del distacco (Purgatorio, XXX, 50), quando la Ragione cederà il posto alla Fede e alla Grazia divina.

Le ultime parole di Virgilio verso Dante lo richiamano a non aspettare più il suo insegnamento perché egli è, ormai, signore delle sue azioni e dei suoi pensieri. La ragione umana non può altro. Nello svolgersi del cammino sarà Beatrice a illuminarlo.

«Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio
,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio».         
               
(Purgatorio, XXVII, 139-142)

La ragione, consapevole dei suoi limiti, guarda alla fede come possibilità di salvezza.
Virgilio accetta di essere Guida per Dante, nel viaggio ultraterreno dal male alla redenzione, e di condividere con lui l’esperienza del dolore umano e dell’aspirazione alla perfezione. Così le vicende si susseguono in un percorso che sembra un perdersi negli abissi dell’Inferno ma che, in realtà, è un elevarsi alla conquista del Paradiso.

Attraverso la lettura dei versi di Dante possiamo riflettere sull’autonomia di giudizio, considerata traguardo del rapporto educativo, sia a livello di vissuto umano sia come dimensione alta del messaggio della Commedia! Proviamo a chiederci, inoltre, in quante delle relazioni che abbiamo costruito, e in quanti incontri, abbiamo provato ad essere “dolcissimo genitore e maestro” e quando, nella nostra esperienza di vita, un incontro è stato fondamentale per non perderci “in una selva oscura”.

Un incontro, uno scambio, che ricordiamo attraverso “una mano che conforta”: “la sua mano a la mia puose/ con lieto volto, ond’io mi confortai”.

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Dante ecologista

La natura nella Divina Commedia

Nella Divina Commedia ci sono tantissimi riferimenti alla natura e agli animali, immagini e suggestioni che Dante utilizza in forma allegorica. Partiamo per un viaggio alla scoperta dei significati nascosti della Commedia!

 

DANTE E GLI ANIMALI

Presenza costante e sorprendente sono gli animali, tanti e di diverso genere. Dante li utilizza nella descrizione di stati d’animo e di caratteri; attraverso gli animali crea le atmosfere che connotano gli scenari dei regni dell’oltretomba. Pensiamo alle tre fiere che il Poeta incontra nel primo canto dell’Inferno, nella selva oscura: la lince, il leone, la lupa. La narrazione è realistica, ma occorre superare il significato letterale delle descrizioni e cogliere il livello simbolico perché Dante si misura con la lussuria, con la superbia, con l’avarizia, tutti impedimenti che ostacolano la via verso la salvezza e la redenzione. Lo stesso Dante ha chiarito la dimensione allegorica del suo poema per cui ogni elemento, ogni particolare riportano ad una struttura profonda dell’opera e ne rappresentano la chiave di lettura e il significato. Così le tre fiere sono i vizi che conducono al peccato, e che incrinano la virtù nell’animo umano.

Altri animali sono presenti carichi di significato: gru, formiche, pesci, tutti elementi che riconducono all’idea di migrazione e, in senso più ampio, di pellegrinaggio, in un poema che è poesia e metafora del viaggio.

 “Quali colombe dal disio chiamate/ con l’ali alzate e ferme al dolce nido/vegnon per l’aere, dal voler portate;” sono i versi del Canto V dell’Inferno, quello conosciuto come il canto di Paolo e Francesca e del loro sventurato amore.

Gli innamorati sono paragonati alle colombe, immagini dell’amore puro, incondizionato, simbologia presente nelle narrazioni e nelle rappresentazioni delle espressioni culturali di diverse epoche storiche.  Dante le utilizza per la forte capacità di evocazione, per il richiamo ad una grazia che non è solo del volo, in quanto assimilabile ad una figura universale dell’immaginario emotivo.

Nel Canto XIX (vv. 46-48) del Purgatorio si può leggere Con l’ali aperte, che parean di cigno,/volseci in sù colui che sì parlonne/tra due pareti del duro macigno”. Le ali aperte sono quelle dell’Angelo della sollecitudine che si presenta a Dante con voce dolce e benevola, così che l’immagine del cigno è quella più appropriata per narrare l’incontro.

 

DANTE E LA NATURA

Ma non solo gli animali, anche le piante e i fenomeni naturali rendono significativo e originale lo stile di Dante nella Commedia.

“Come d’autunno si levan le foglie/l’una appresso dell’altra, fin che ‘l ramo/vede alla terra tutte le sue spoglie,” (Inferno, III, 112-115). È un’immagine poetica che prepara la descrizione dei dannati che aspettano ansiosi di passare ad altra riva al cenno di Caronte. Una delle tante similitudini che Dante ci offre per rappresentare con più efficacia una realtà difficile da rendere con parole.

Il luogo è quell’inferno “d’ogni luce muto” in cui si esprime il rapporto tra luce e buio come incontro tra umano e divino, difficile da rendere se non con una immagine che utilizza i sensi e li travalica, come fa Dante con la sua grande ricchezza inventiva.

Già nel I Canto, oltre l’immagine della selva, appare il sole come “raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle”.

Dante non era un botanico, uno scienziato, ma aveva molte e approfondite conoscenze del mondo della natura che gli permettevano di essere attento e accurato nel disegnare i paesaggi e nel creare allegorie. Il poeta osserva la luce, l’aria, l’acqua, il vento, i colori, le stelle e il cielo e ne trae spunti di alta poesia: “L’alba vinceva l’ora mattutina/ che foggia innanzi, sì che di lontano/conobbi il tremolar de la marina“. (Purgatorio, I,115-117).

Dante ha molto da proporci per quanto riguarda il rispetto verso le manifestazioni della natura, soprattutto sa trasmettere la sua curiosità verso tutti i fenomeni imprevedibili o noti che egli osserva con occhi attenti ai dettagli, ai colori, al movimento. La natura è occasione per descrivere le leggi del cosmo oppure il carattere degli uomini.

Nel XXV canto del Paradiso, narrando della sua speranza di tornare a Firenze in virtù della sua Commedia, Dante scrive dell’auspicio che il poema sacro “vinca la crudeltà che fuor mi serra/
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,/nimico ai lupi che li danno guerra”.

Il riferimento è a Firenze, bello ovile, a se stesso, agnello, e ai suoi concittadini faziosi, lupi, in similitudini che traggono dal mondo della natura potenza descrittiva e valenza di significato emotivo, intellettuale, morale, politico.

Ecco una bella pista di lavoro per leggere la Commedia e far appassionare, a scuola, bambini e ragazzi al mondo di Dante!

 

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Ulisse: l’eroe del folle volo

Il viaggio di Ulisse come allegoria dell’esistenza

La Commedia è la narrazione del viaggio di Dante e, in modo allegorico, del cammino dell’umanità verso il Bene e la Perfezione. All’interno del grande affresco spicca, in modo straordinario, il viaggio di Ulisse, l’eroe del “folle volo”.

Ulisse è il personaggio leggendario che Dante incontra nel XXVI Canto dell’Inferno. Parla della sua Itaca, dell’amore per Penelope, per il suo vecchio padre e per il figlio Telemaco. Ma soprattutto racconta del desiderio di ripartire dalla sua terra natale per affrontare il mare e tentare nuove esperienze in territori mai attraversati.   

vincer potero dentro a me l’ardore 
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, 
e de li vizi umani e del valore.
(Inf., XXVI, 97-99)

Dante lo ammira per la sua tenacia e il suo ardore ascoltando l’esortazione rivolta ai marinai timorosi di fronte al pericolo.

 «Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguire virtute e canoscenza».  (Inf., XXVI, 118-120)

ULISSE: L’EROE DELLA CONOSCENZA

Il personaggio che incontriamo nell’Inferno dantesco non è più il protagonista dell’Odissea, l’Ulisse che torna a Itaca, e ai suoi affetti, ma l’uomo che da Itaca vuole ripartire per tentare nuove scoperte. È affascinante la modernità e l’attualità di Dante che proietta in questo viaggio, oltre le colonne d’Ercole, il valore della conoscenza. Dante non giudica l’eroe greco temerario, gli affida il messaggio di una vita che vale se spesa per il sapere, la verità, il coraggio.

Ulisse rappresenta il simbolo dell’amore per la conoscenza, l’eroe che per il desiderio di sapere non ha esitato a spingersi oltre i limiti che nessun uomo aveva mai tentato di superare. Il suo viaggio terminerà tragicamente perché lui e i suoi compagni moriranno in fondo al mare a causa della tempesta. Dante scrive di un “folle volo” perché Ulisse, superando lo Stretto di Gibilterra, ha varcato il limite posto da Dio alle conoscenze umane ed è stato giustamente punito. Resta la memoria di un’impresa mai tentata prima in nome della volontà di scoperta, con l’animo pieno di audacia. Così le parole di Ulisse manifestano il sentimento di Dante che riconosce il valore della grande missione di Ulisse e proietta la sua impresa nell’orizzonte della sua vita.

IL VIAGGIO COME ALLEGORIA

Il viaggio è quindi allegoria dell’esistenza, ma anche dell’esilio, e rappresenta la condizione dell’uomo politico lontano dalla sua città. Immagine universale dell’uomo lontano dalla sua vera patria e lontano dalla Felicità del Bene ultimo. Il viaggio nei tre Regni dell’oltretomba è la rappresentazione dell’arduo cammino per trovare la “diritta via” la quale, smarrita nella “selva oscura”, può essere raggiunta attraverso la ragione e la fede. Una rigenerazione che, simbolicamente, non riguarda solo l’uomo Dante, ma l’umanità intera. Il poeta è il protagonista e il testimone di un destino di riscatto che la Commedia rivela possibile e sublime.

 

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La donna nella Divina Commedia e l’Amore di Dante per Beatrice

Per un 8 marzo all’insegna dell’immaginario dantesco

Festeggiamo l’8 marzo con il Sommo Poeta Dante Alighieri: scopriamo insieme la rappresentazione femminile nella Divina Commedia e l’Amore di Dante per Beatrice!

Forte è la presenza della donna nella poesia di Dante e numerose le figure femminili nella Divina Commedia: da Francesca a Lucia, da Pia de’ Tolomei a Piccarda Donati. Un universo carico di umanità, una presenza verso cui Dante dimostra sempre ammirazione e rispetto. Figure sospese tra cronaca e immaginazione, donne che Dante rende uniche nella dimensione più alta della poesia. In questo denso immaginario è tuttavia Beatrice la creatura che rappresenta in modo sorprendente e affascinante l’idea di donna del grande fiorentino. Beatrice è da lui considerata meraviglia delle meraviglie, “venuta da cielo in terra a miracol mostrare” (Vita Nova, sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare).
 

saluto a beatrice

Dante Gabriel Rossetti, particolare del Saluto di Beatrice, dipinto ad olio con lamina dorata, 1859-1863, National Gallery of Canada, Ottawa.
 

La Beatrice di cui Dante scrive nella Commedia è, in realtà, Bice, figlia di Folco Portinari, nata a Firenze nel 1266, morta poco dopo il matrimonio, per complicazioni da parto, a soli 24 anni. Dante l’aveva incontrata in chiesa all’età di nove anni e poi nuovamente a diciotto, creatura terrena che aveva suscitato nell’animo del poeta un sentimento che non si sarebbe mai spento, prefigurando il passaggio dal saluto, salus, alla salvezza, quando la giovane si trasforma in creatura angelicata.

L’incontro con Beatrice è l’evento che illumina la vita di Dante e la sua poesia. L’innamoramento influenzerà tutta la sua vita, anche se Beatrice non è la donna sposata da Dante.

Nei tre regni dell’oltretomba descritti nella Commedia Beatrice è la vera e unica guida del Poeta, è lei che intercede per lui scendendo nel Limbo per pregare Virgilio di avere cura di Dante, e lo soccorre nei momenti di pericolo.

I’ son Beatrice che ti faccio andare; 
vegno del loco ove tornar disio; 
amor mi mosse, che mi fa parlare.        

(Inferno, I,70-72)

Beatrice è la donna per cui Dante abbadonò “la volgar schiera”, come dice Lucia rivolgendosi a Beatrice per invitarla a soccorrere Dante. Disse: “Beatrice, loda di Dio vera, ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera?” (Inferno I, 103-105)        

 Beatrice non è una figura disincarnata, astratta; Dante la definisce “sì lieta come bella” (Par., II, 26), soave e piana è la sua voce quando parla con Virgilio, ma, soprattutto, conosciamo Beatrice attraverso il sorriso e lo sguardo:

“Lucevan li occhi suoi più che la stella” (Inferno, II, 55)

“e cominciò, raggiandomi d’un riso
tal, che nel foco faria* l’uom felice” (Pd. VI,17-18)

“Non le dispiacque, ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
mia mente unita in più cose divise.” (Pd. X, 61-63)

Così reale e così ideale è la donna della sua vita, che Dante inventa un nuovo termine, una parola ancora mai usata per esprimere le sensazioni che ella suscita nel suo essere: “‘mparadisa”. Beatrice è “quella che “‘mparadisa la mia mente” (Paradiso, XXVIII, 3), ossia colei che innalza la mia mente alla gioia paradisiaca.

Beatrice è il cuore del viaggio di Dante dall’umano al divino, è la donna attraverso la quale egli affronta e realizza il suo “pellegrinaggio”, è la musa che ispira il Poema. Beatrice è la possibilità, per Dante, di scoprire la bellezza e la luce dell’Amore assoluto.
 

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2021: In viaggio con Durante degli Alighieri, detto DANTE

Dante nell’arte e nella letteratura

Il 2021 è l’anno dedicato a Dante Alighieri: poeta, scrittore, teologo, uomo politico, considerato il padre della lingua italiana e uno dei massimi esponenti della letteratura mondiale.

Un anno all’insegna di iniziative, mostre e manifestazioni volte a ricordare i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, nato a Firenze tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 e morto a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.

Monumenti scultorei, effigi, immagini di Dante sono in ogni parte del modo a testimoniare una fama che ha oltrepassato le aule scolastiche, gli ambienti culturali accademici, le biblioteche, per diventare una presenza viva nella cultura. Le continue pubblicazioni, i convegni a tema, sottolineano l’attualità di un autore eccezionale, fonte di ispirazione per pittori, letterati, musicisti dal medioevo ai nostri giorni.

LA LECTURA DANTIS: UNA TRADIZIONE CHE VIENE DA LONTANO

Eventi e rassegne di “letture dantesche” da parte dei media, di teatri, di enti culturali, hanno rivelato come quella di Dante sia un’opera capace di appassionare, coinvolgere, di richiamare valori e riflessioni di grande attualità e autentica modernità. Dante parla di sentimenti, drammi, speranze, che appartengono all’uomo, oltre il tempo, oltre le concrete esperienze vissute. Dante nella “selva oscura”, che si confronta con la sofferenza degli uomini e delle donne, che cerca risposte, che indaga il mistero dell’esistenza, è ciascuno di noi. Così non è irrilevante chiedersi se lo spettacolo di piazze piene di pubblico rappresenti un fenomeno solo del nostro tempo, una strategia mediatica, un viaggio di riscoperta. In realtà la Lectura Dantis (espressione riferita alla lettura ad alta voce degli scritti di Dante, soprattutto dei Canti delle Divina Commedia) è un rito, una tradizione secolare, scaturita dall’interesse che l’opera dantesca, in particolare la Commedia, ha avuto quasi costantemente nel corso dei secoli.

Antesignano, nel 1373, della Lectura Dantis, fu Giovanni Boccaccio (1313-1375), l’autore del Decameron, incaricato dal comune di Firenze di commentare pubblicamente la Comèdia: «A favore dei cittadini che desiderano essere istruiti nel libro di Dante, dal quale, tanto nella fuga dei vizi quanto nell’acquisizione delle virtù, quanto nella bella eloquenza possono anche i non letterati essere educati».  

Fu proprio il Boccaccio ad aggiungere al titolo dell’opera l’aggettivo Divina con cui la conosciamo oggi, secondo quanto è dato ritrovare nel Trattatello in laude di Dante del 1362.

Ricordando le parole di Calvino “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, riconosciamo che Dante rappresenta questa idea nel senso più alto del termine. Parlare di Dante, soprattutto della Divina Commedia, vuol dire trattare di un testo unico nella produzione letteraria mondiale, inesauribile nella ricerca di significato, innovativo e originale nella forma linguistica.

Nel caso di Dante possiamo parlare di un vero culto, iniziato già negli anni in cui era in vita, un apprezzamento al letterato riconosciuto erede dei grandi classici, simbolo stesso della poesia.

Giovanni Boccaccio fu un grande ammiratore di Dante, lesse i suoi scritti, lo imitò e ne diffuse l’opera. Di lui scrisse una biografia, proprio il Trattatello in laude di Dante (1362), in cui si fondono elementi di documentazione storica e descrizioni volte a idealizzare quel poeta che definiscesingulare splendore italico”.

Questa la descrizione che possiamo leggere nel Trattatello:

“Fu adunche questo nostro poeta di mediocre statura e poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto; e il suo andare grave e mansueto; d’onestissimi panni sempre vestito. Il suo volto fu lungo, e ‘l naso aquilino; e gli occhi anzi grossi che piccoli; le mascelle grandi; e dal labbro disotto era quello di sopra avanzato; e il colore era bruno; e i capelli e la barba spessi, neri e crespi: sempre in faccia malinconico e pensoso.”

LA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DI DANTE

Se grazie a Boccaccio conosciamo la figura di Dante e i suoi aspetti caratteristici nella personalità, è a Giotto, contemporaneo e amico del grande fiorentino, che dobbiamo il primo ritratto dell’illustre poeta.
 

bottega di giotto ritratto

Bottega di Giotto, Ritratto di Dante (1300-1302)

Nell’affresco Dante è vestito con un abito rosso, il colore diventato un simbolo, riproposto successivamente nelle tante opere pittoriche che hanno celebrato il poeta.

Famoso il ritratto di Luca Signorelli, ma le citazioni possono essere innumerevoli poiché tanti altri pittori, a partire dal medioevo, hanno voluto interpretare Dante, fino a Salvador Dalì nel Novecento.

Nei diversi ritratti lo sguardo di Dante è quello di un uomo “cortese e civile”, come scrive Boccaccio, ma è innanzitutto lo sguardo di un poeta che esprime profonda umanità, che guarda agli esseri viventi, secondo le diverse condizioni, volti a diverse mete “per lo gran mar dell’essere” (Paradiso, Canto I, 113).
 

bronzino ritratto

Agnolo Bronzino, Ritratto allegorico di Dante (1530)

Soffermiamoci sul dipinto di Agnolo Bronzino: qui si può rintracciare l’allegoria dell’immagine del poeta. Dante è con un abito rosso e con in capo la corona da Poeta, riferimento alla sua celebre Divina Commedia. Il volume è aperto a evidenziare le pagine del canto XXV del Paradiso, mentre il poeta guarda alla montagna del Purgatorio. La sua mano sembra proteggere la città di Firenze. Mondo terrestre e mondo ultraterreno sono avvicinati, contemplati e armonizzati in una sintesi unica.

Nel canto XXVII del Purgatorio Virgilio, nel salutare Dante, gli ricorda che ormai non dovrà più aspettare il suo insegnamento: «Non aspettar mio dir più né mio cenno; / libero, dritto e sano è tuo arbitrio, / e fallo fora non fare a suo senno: / per ch’io te sovra te corono e mitrio» (Purgatorio XXVII, 139-142).
 

dali salvador figueras

Dalì Salvador (Figueras, 1904 – 1989)
XXVII Canto del Purgatorio – Le ultime parole di Virgilio prima che Dante arrivi al Paradiso, incontrando Beatrice 

Ecco l’incoronazione di Dante da parte di Virgilio, sua guida e suo maestro. Ecco il riferimento della corona d’alloro, simbolo iconografico con cui il poeta è sempre raffigurato. Simbolo che, secondo fonti autorevoli, fu per Dante riconoscimento e consacrazione di eccellenza quando dopo la morte a Ravenna, il suo corpo fu seppellito con la corona di alloro in testa e la Divina Commedia in petto.

Ma quell’alloro proveniva da lontano, dal sogno profetico della madre di Dante, Bella, morta quando Dante aveva solo cinque o sei anni. Narra il Boccaccio che ella, non lontana dal tempo del partorire, “per sogno” vide quale doveva essere il frutto del suo ventre, sotto un alloro, nei pressi di una fonte.

“..pareva alla gentile donna nel suo sonno essere sotto uno altissimo alloro sopra uno verde prato, allato ad una chiarissima fonte, e quivi si sentia partorire uno figliuolo, il quale in brevissimo tempo, nutricandosi(nutrendosi) solo delle orbache(bacche), le quali dello alloro cadevano, e delle onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pasto­re, e s’ingegnasse a suo potere d’avere delle fronde dell’albero, il cui frutto l’avea nudrito; e, a ciò sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel rilevarsi(sollevarsi) non uomo più, ma uno paone il vedea divenuto. Della qual cosa tanta ammirazione le giunse, che ruppe il sonno…”.

Nacque Dante: colui che dà.
 

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