Skip to main content

Tag: didattica

La lezione di Rousseau

Tra natura e cultura: un progetto educativo possibile

Un nuovo anno scolastico è già iniziato: esperienze che si ripetono in situazioni consolidate di impegno nella comunità scolastica e, insieme, attività che richiedono slancio progettuale in contesti operativi sempre in trasformazione. La proposta di settembre, per questo nuovo cammino, vuole essere una sosta di riflessione, finalizzata a considerare la valenza di un grande nome dell’educazione, un “estremista” del pensiero filosofico e pedagogico. Un autore che potrebbe sembrare lontano dal nostro tempo, desueto nel linguaggio e nella ricerca, ma che è da ritenere attuale per spessore di analisi e dichiarazione di finalità.

Così iniziamo il cammino con la guida di Jean-Jacques Rousseau, filosofo, pedagogista svizzero (Ginevra, 28 giugno 1712 – Ermenonville, comune francese, il 2 luglio 1778), tra gli autori maggiormente rappresentativi del pensiero del XVIII secolo. Ci avviciniamo a lui come a una fonte critica della realtà che viviamo, considerando la sua teoria sotto gli aspetti sociali, politici e culturali. Rousseau è alla ricerca di una nuova dimensione antropologica, che persegue sollecitando prospettive legislative ed educative finalizzate all’uguaglianza tra gli uomini, visti come cittadini. L’educazione per Rousseau deve fondarsi sull’uomo come essere autonomo, non essere condizionata da norme sociali. L’insegnante educatore dovrà agire in modo da favorire l’evoluzione “naturale” dell’individuo senza forzature, utilizzando una metodologia rispettosa dell’evoluzione di ciascun individuo.

Il livello del suo coinvolgimento nel nostro tempo riguarda  un progetto pedagogico volto ad educare un uomo e un cittadino per una nuova società. Rousseau può essere letto per ritrovare la spinta a un modello culturale che richiama una nuova idea di individuo. Il grande pensatore sviluppa un romanzo pedagogico che narra il rispetto dell’educando nei diversi momenti che caratterizzano la sua età. Nell’ ”Emilio, o dell’educazione”, il testo in cui esplicita la sua visione educativa, egli anticipa l’idea di età evolutiva che solo molto più tardi troverà la sua affermazione scientifica.

L’opera, scritta nel 1762, afferma nelle righe di apertura: “Uscendo dalle mani dell’Autore delle cose tutto è bene, ma tutto degenera tra le mani dell’uomo. Egli costringe una terra a nutrire i prodotti di un’altra, … mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni” (Emilio, Libro primo, I, L’educazione e la natura).

Ecco allora la necessità di una educazione positiva, che metta l’alunno al riparo dalla corruzione della società, che promuova l’apprendimento nel contatto con le cose e gli elementi della natura. Una istanza educativa che manifesta un valore politico che Rousseau definisce in altri testi della sua ampia e articolata produzione.

Per rinnovare la società occorre rifondare l’educazione con il progetto di un “uomo nuovo”, un cittadino forte di una moralità che lo porti a coltivare interessi volti alla relazione con gli altri e alla reciprocità per il bene della collettività.

L’apparente opposizione natura-cultura è destinata quindi a risolversi perché Rousseau sostiene che la bontà naturale dell’individuo non si trova in opposizione alla realtà sociale, alla tradizione e alla cultura. Il destino di Emilio non è vivere lontano dalla società per poter sviluppare le qualità della sua personalità.

E’ l’educazione che permette all’individuo di vivere nella società senza essere travolto e sopraffatto da bisogni che annullano la sua identità. Con l’educazione l’individuo può conquistare la libertà del pensiero critico e l’autonomia dell’agire. Molti aspetti della trattazione di Rousseau ne fanno un pensatore pienamente calato nel suo tempo e lontano dalle istanze della nostra contemporaneità, tuttavia l’affermazione della centralità del bambino lo rendono interessante e coinvolgente. Altro principio fortemente significativo riguarda l’attenzione all’educazione non delle parole ma delle cose che favoriscono la scoperta autonoma del modo da parte dell’alunno che apprende. Emilio è un modello, un allievo ideale ma non per questo inconsistente.  A Rousseau, nella veste di precettore, interessa dimostrare come Emilio possa diventare il cittadino ideale, personalità capace di rappresentare una nuova generazione, una generazione capace di interpretare e dare risposte alle urgenze anche del nostro tempo, in termini di competenze di cittadinanza responsabile e consapevole.

Uomini, siate umani, è il vostro primo dovere; siate umani verso tutte le condizioni, verso tutte le età, verso tutto ciò che non è estraneo all’uomo. Quale saggezza può mai esistere fuori dell’umanità? Amate l’infanzia; favoritene i giuochi, le gioie, le amabili inclinazioni. Chi di voi non ha rimpianto talvolta questa età in cui il riso non si spegne mai sulle labbra e l’anima è sempre serena?” —  (Jean Jacques Rousseau, in “Emilio o dell’educazione“)

Cinque consigli per viaggiare con bambine e bambini

È tempo di vacanze e di lunghi viaggi.

È tempo di vacanze e di lunghi viaggi.
Sappiamo tutti che, per bambine e bambini, restare molto tempo in auto può diventare una vera e propria tortura. Il rischio che si innervosiscano e si mettano a piangere è altissimo. Dunque, è necessario trovare strategie che li possano intrattenere e distrarre.
A seguire cinque consigli per rendere i viaggi meno… faticosi!

Il primo
Fermarsi spesso.
Lo so che se il viaggio è lungo i tempi si allungano ma i bambini hanno bisogno di muoversi, di sgranchirsi le gambe, di cambiare angolo visuale, di farsi attrarre da nuovi stimoli, per recuperare energia e calma.
Dunque, anche se siamo all’Autogrill, giochiamo a fare i saltelli del coniglio dietro la costruzione, camminiamo su e giù dal marciapiedi almeno dieci volte, facciamo il giro della stazione mano nella mano, e commentiamo ciò ciò che vediamo.
Non limitiamoci a scendere dall’auto, bar, bagno e si riparte. Accumuleremo noi e faremo accumulare loro nuovo stress.

Il secondo
Si canta.
Mettiamo le canzoncine che amano e cantiamo insieme, a squarciagola. E mentre cantiamo, battiamo le mani, facciamo gesti divertenti con loro (ovviamente non il guidatore!), cambiamo le parole alle canzoni e inseriamo strafalcioni che fanno ridere. Sarà un bel modo per alleggerire il clima, rendendo divertente anche una cosa noiosa come un viaggio in autostrada. E poi conversiamo con loro su ciò che vediamo dal finestrino. Se non c’è molto da vedere, contiamo le auto rosse o blu, leggiamo insieme le targhe, vince chi riesce a vederne o a leggerne di più.

Il terzo
Ascoltiamo le fiabe sonore.
Sono pura magia. Oppure il podcast di un bel libro e li catturerete come pesciolini nella rete!

Il quarto
Giochiamo ai giochi di parole.
Destinato a tutti i viaggiatori presenti nell’auto. Anche i più piccoli. Le variabili sono infinite.
Dire nomi di animali che cominciano con A o B ecc…
Dire nomi di persone che cominciano con … con la variabile “solo maschi o solo femmine”
Dire parole che inizino con la sillaba con cui termina la parola precedente.
La mamma dice CANE la bambina o il bambino dirà NEVE.
Dire nomi di cose che si usano in cucina… Capirete anche voi che le possibilità sono infinite. Ovviamente chi sbaglia viene eliminato.

Il quinto
NON date il cellulare ai vostri bambini. Oltre a smarrirsi in quel mondo, perdendosi tutto il resto, correranno il rischio di patire l’auto. E questo, davvero complicherebbe ulteriormente le cose.

IMPORTANTE
Non innervositevi se il bambino non ce la fa più. Il vostro nervosismo non farà che aumentare il suo, in un circuito che rischia di diventare senza soluzione.
Gli adulti siete voi. Cercate di ricordarvene…
Se loro sono tranquilli ne guadagnerete anche voi.

E a questo punto, che sia un buon viaggio. Enjoy!

La Body Percussion

La tecnica applicata in ambito scolastico e i suoi benefici

Da qualche anno, sempre più spesso, sentiamo parlare di Body Percussion, non solo con eco intrinsecamente musicale o con riferimenti al mondo della danza e dell’arte in genere, ma anche relativamente a contesti scolastici. Come mai?

Procediamo con ordine!

Cosa si intende per Body Percussion?

La Body Percussion (o percussione corporea) è una tecnica che consiste nell’utilizzare il proprio corpo come uno strumento a percussione.

Il modo di suonare prevede di percuotere con movimenti specifici, detti gesti sonori, determinate parti del corpo (gambe, mani, petto, ecc.) con la finalità di produrre una vibrazione e di conseguenza un suono.

I gesti sonori, in base al punto in cui percuotiamo il nostro corpo e al variare di caratteristiche come l’intensità, la velocità e il ritmo riescono non solo a produrre suoni differenti, ma anche a veicolare emozioni differenti: pensiamo, ad esempio, a tutti quei gesti non controllati, come il battersi la mano sulla fronte quando ci siamo dimenticati qualcosa, l’applauso dopo aver goduto di uno spettacolo, lo schioccare le dita quando ci è venuta una idea ecc. Bene, in ognuno di questi esempi abbiamo espresso una emozione percuotendo il nostro corpo.

Il suono è il risultato del gesto (che per questo viene detto sonoro).

Ecco perché quando parliamo di Body Percussion ci troviamo contemporaneamente sia in ambito musicale che in ambito motorio.

Per aumentare la gamma o l’intensità delle emozioni che si vogliono trasmettere spesso al gesto sonoro viene associata anche la voce o il canto.

Quanti gesti sonori esistono?

Il numero non è calcolabile perché qualsiasi movimento fatto percuotendo il nostro corpo per ottenere un suono distinto, riconoscibile e ripetibile è un gesto sonoro.

Sebbene alcuni gesti siano facilmente intuibili (battere insieme le mani, percuotersi il petto con il palmo della mano, battere i piedi a terra ecc.) è la fantasia che ne determina il numero: gesti sonori, infatti, sono anche percuotere la parte posteriore del collo (o i glutei) con il palmo della mano, schioccare le dita, così come schioccare in vari modi la lingua sul palato.

Come e quando è nata la Body Percussion?

Tracce di questa tecnica si riscontrano in Indonesia già nel XV° e XVI° secolo, per quanto sembra che i prodromi della Body Percussion abbiano avuto origine dagli schiavi deportati nelle Americhe dall’Africa occidentale, i quali, avendo il divieto di utilizzare i loro tamburi e qualsiasi altro strumento musicale, accompagnavano i loro canti e danze con i suoni del corpo.

Quel che è certo è che la genesi di quella che oggi chiamiamo Body Percussion inizia alla fine agli anni ‘70 del secolo scorso grazie al lavoro di Keith Terry, educatore, ballerino e percussionista statunitense, che iniziò a sperimentare sul proprio corpo ciò che aveva appreso suonando la batteria. Fu Mr Terry a coniare il termine Body Music

Perché la Body Percussion viene usata a scopo riabilitativo?

il Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento dell’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, nel parlare di pazienti affetti da danni cerebrali (oppure di bambini con ADHD), sottolinea come la Body Percussion, specialmente se associata al canto, stimoli la corteccia prefrontale e il lobo parietale (aree cerebrali deputate anche al controllo motorio): questo può favorire il recupero di alcune funzionalità motorie di base. Inoltre, poiché l’esecuzione dei gesti sonori coinvolge anche il lobo frontale, distretto del cervello deputato alla pianificazione del movimento, la Body Percussion si rivela una attività efficace anche all’interno di un training atto a mantenere alta l’attenzione, la concentrazione e, soprattutto, a ricevere e tradurre in maniera esatta gli stimoli ambientali riguardanti la postura corretta da mantenere e le azioni da eseguire per compiere un determinato movimento.

— > Approfondisci di più:
https://www.dmsi.unich.it/sites/st08/files/musica_e_arte_attraverso_il_movimento.pdf

Perchè usare la Body Percussion anche in ambito scolastico?

Sono molte le ragioni che rendono la Body Percussion una tecnica adatta al contesto scolastico.

  • È una attività economica: non bisogna acquistare strumenti.
  • Aiuta la concentrazione
  • Migliora l’attenzione e la memoria.
  • Educa ad un corretto movimento e ad una corretta postura.
  • Facilita i processi di sviluppo della propriocezione e della lateralizzazione.
  • È una attività di gruppo non competitiva e, in quanto tale, educa alla cooperazione e alla socializzazione in un contesto del tutto NON prestazionale. Declinata in questo modo la Body Percussion è in grado di aiutare molti bambini che hanno difficoltà a relazionarsi col proprio corpo, facendo loro sperimentare la propria fisicità in maniera più positiva e creativa.
  • Proprio perché NON prestazionale la Body Percussion è una attività inclusiva: può (e deve) partecipare tutto il gruppo classe, ognuno in base alla propria indole e capacità, anche i bambini con eventuali difficoltà cognitive o disturbi di altro genere. L’essere praticata dall’intero gruppo-classe rende la Body Percussion un ottimo strumento di integrazione, capace di educare alla diversità e di promuovere l’unicità della persona: il gesto sonoro, infatti, non è solo movimento e suono, ma anche un insieme elaborato di emozioni e sensazioni, caratteristiche che hanno tutti i bambini, ognuno in maniera unica e particolare. Il gesto sonoro di ogni bambino sarà perciò unico e particolare come lui.
  • È una attività che prevede il movimento, perciò permette ai bambini di dar sfogo all’energia propria della loro età. Tutto questo instaura nel gruppo-classe un clima gioioso e giocoso: i bambini si divertono!

Infine, poiché le immagini spiegano meglio di mille parole, in questo video un po’ di Body Percussion in ambito scolastico.

 



Tempo al Tempo
è una guida Teorico-Pratica per la Scuola Primaria, scritta da Renzo Canafoglia, che guida alunne, alunni e insegnanti a suonare, usando il proprio corpo come uno strumento a percussione, con attività cooperative e inclusive motivanti. La metodologia permette di agire allo stesso tempo sia in ambito musicale sia in ambito motorio. 

Sfoglia i testi cliccando sull’immagine qui sotto.

In partenza per l’estate!

Che tipo di insegnante sei?

Quando arriva la chiusura delle scuole, da più parti si leva il solito ritornello: eccoli lì le maestre i maestri privilegiati. Ora se ne staranno in vacanza tre mesi ecc. ecc. Insomma, la solita solfa.

In effetti la convivenza con tonnellate di burocrazia, la gestione di decine di progetti, il ruolo da domatore di genitori (e a volte di classi), i PEI, i PDP , il CdC, il CdI, le relazioni con ATA e DSGA, i GLHO, le INVALSI  e le MAD, i PON, il PTOF e il RAV, le sostituzioni dei colleghi assenti, le relazioni, le valutazioni (discorsive e non che non possono mancare), il percorso didattico che, ovviamente deve concludersi nei tempi stabiliti e , possibilmente con l’avallo dei genitori, gli scrutini, la compilazione delle schede sempre più complessa, la gestione dei casi difficili, la relazione con i Servizi e le Neuropsichiatrie ecce ecc. ecc. ecc., sono effettivamente bazzecole e pensare che le maestre possano avere bisogno di  riprendere fiato pare quasi una pretesa eccessiva.

Una domanda però sorge spontanea: com’è che, a fine anno, care colleghe, abbiamo tutte quel bel colorino ceruleo e quell’andatura così sciolta da sembrare un camallo alla soglia della pensione?

Fare l’insegnante è un mestiere che prosciuga. Seppur agito con gioia e dedizione, resta comunque un lavoro complesso e molto faticoso sul piano fisico ed emotivo, come lo sono tutte le professioni cosiddette “di cura”, cioè quelle che hanno a che fare non con pratiche e fogli Excel ma con materiale umano, umanissimo e pluri-sfaccettato.

“La maestra” però resta un soggetto particolare anche in relazione al periodo di riposo.

Infatti, scorrendo le varie pagine Facebook dedicate agli insegnanti si possono arguire varie categorie.

Eccone alcuni esempi:

  1. La maestra tuttacuore. Mentre la maggior parte dei colleghi non vede l’ora che arrivi l’ultimo giorno di scuola (e dei relativi impegni) per godersi il meritato riposo, la maestra tuttacuore teme l’ultimo giorno di scuola come la peste. Un turbine di emozioni la avvolge e solo l’idea di restare tutta l’estate senza vedere i suoi “cuccioli” le provoca un dissesto emotivo che a volte rasenta le lacrime. Se è supplente o se sta concludendo la classe quinta il problema assume una dimensione arginabile solo con scambio di lettere bellissime in cui emergono gli aspetti emotivamente più significativi del tempo trascorso insieme (quelli brutti di solito si omettono per non inquinare il quadro). Naturalmente il tutto postato nel gruppo di riferimento.
  2. La maestra mipreparo. Se la scuola finisce il 15 giugno e l’ultimo Collegio docenti è fissato per il 27 mattina, sappiate che la maestra mipreparo il 27 pomeriggio sta già postando a manetta, in tutti i gruppi cui è iscritta che è “in cerca di suggerimenti” su come avviare l’anno scolastico successivo. Le altre maestre mipreparo presenti nel gruppo solidarizzano col commento: “seguo”. Predispone attività e ipotizza progetti, cerca classi con cui avviare una corrispondenza, chiede lumi su libri da leggere o da acquistare per prepararsi al meglio ad affrontare il nuovo anno scolastico (!). Al 15 di agosto ha già pronto il programma, come minimo fino a Natale.
  3. La maestra mettoinordine: decide che durante l’estate metterà finalmente a posto la stanza in cui di solito lavora, getterà fogli di convocazioni e vecchi PDP, archivierà libri e quaderni, organizzerà le schede (non si sa mai, potrebbero sempre servire) tentando di demolire la montagna di fogli-libri-manuali-fotocopie-guide-quaderni nella quale di solito si perde dalle tre alle quattro ore al giorno. Posta foto di scrivanie sottosopra. “A settembre si riparte sul pulito…”. Non ci riuscirà. Lo sconforto la prenderà prima della fine del lavoro
  4. La maestra momirilasso: tipico delle maestre non giovanissime che hanno appena concluso la classe prima. L’ansia le ha attanagliate tutto l’anno, nonostante l’esperienza: “impareranno a leggere?”. Oltre all’ansia ad attanagliarle è stato lo sfinimento di raccattare matite cadute, di imprestare matite come se non ci fosse un domani, di asciugare lacrime di chi ha perso la lapis, di rispiegare cose, di arginare moccio in eccesso, di rispondere a domande meravigliosamente senza senso ( maestra, maestra, maestra …) , di gestire giochi, di girare i quaderni dal verso giusto, di accompagnare in bagno e spiegare come si usa una turca, di gestire tonnellate di pennarelli scarichi e non, di sedare risse dovute a rubalizi di palle e giochi, di tranquillizzare mamme un attimino (giusto un attimino) invadenti… al termine della scuola maestra momirilasso ha finito le energie. Perciò chiude e si rilassa. Posta foto di spiagge deserte. Questione di sopravvivenza.

Come avrete capito, care colleghe e colleghi, ho voluto strapparvi una risata.
Mai come in questi tempi il nostro lavoro si è fatto pesante e, a tratti, frustrante.
Chiudere l’anno con un sorriso può essere di buon auspicio per un’estate piena di cose belle. Buone vacanze, buon meritato riposo, a qualunque categoria apparteniate!

newsletter

Compiti per le vacanze: sì o no?

Ogni anno la fatidica domanda

Chi come me insegna da molti anni sa quanto sia importante che le bambine e i bambini mantengano un minimo di esercizio durante l’estate.
Le motivazioni sono diverse.
La prima è che un piccolo “compito” da portare a termine in autonomia, in un tempo lungo come lo sono i tre mesi in cui i bambini rimangono a casa da scuola, può rappresentare l’avvio al rispetto di un impegno assunto, un modo per imparare a portarlo a termine con serietà e responsabilità.

La seconda è che il rientro a settembre è sempre un momento difficile per il recupero delle competenze acquisite nel corso dell’anno precedente.
Le maestre sanno bene quanto i bambini, durante l’estate, facciano rapidamente tabula rasa di quello che hanno imparato. E questo, se da un lato può sembrare giusto perché permette loro di staccare, rigenerando mente e cervello, dall’altro costringe ad impiegare più tempo al rientro dalle vacanze per riconquistare il pregresso e potersi dedicare ai nuovi apprendimenti.  Un piccolo impegno durante l’estate consente di rimanere “nella disciplina”, agevolando il “riaggancio” delle conoscenze precedenti.

La terza è che i bambini di oggi sono ignare vittime della tecnologia.
Qualche esercizio da fare su un opuscolo oppure su un quaderno può fornire un’occasione per consolidare un apprendimento, risultando una valida alternativa in grado di ridurre il tempo dedicato agli smartphone, ai tablet, alle Play Station, ai giochi online…

Naturalmente i compiti assegnati dovranno avere una dimensione “di buon senso” e andranno corretti. Altrimenti perderanno il loro valore. Ci sono molti modi per farlo. Veloci e interattivi.
Ma di questo riparleremo a settembre!

Passiamo ora ai compiti di lettura, che per me restano imprescindibili. Personalmente assegno tre libri (a scelta libera, grandi, medi, piccoli, spessi, sottili, poesie, fumetti, non importa) che dovranno portare con sé la prima settimana di scuola e commentare con la classe.

Altre attività da assegnare potrebbero essere di ordine più pratico come scrivere ricette “speciali” di cibi che hanno assaggiato oppure creare la guida degli itinerari percorsi, costruire la “scatola dell’estate” inserendo i ricordi più belli e significativi dei giorni trascorsi, non solo in vacanza, scattare qualche foto bellissima e utilizzarla come stimolo per raccontare, fare almeno cinque disegni liberi, farsi portare a visitare un museo recuperando i dépliant e tutte le informazioni possibili …

Spieghiamo ai genitori che devono insegnare ai figli l’autonomia condendola con un po’ di rigore. Senza vessarli ma aiutandoli a programmare le attività. C’è tutto il tempo: da metà giugno a metà settembre.
Fin dai tempi antichi, e per tempi antichi mi riferisco a quando io andavo a scuola, sono esistiti i compiti delle vacanze. Sono sicura che possono farcela anche i bambini e le bambine di oggi.

Scopri i nostri consigli di lettura per l’estate con Storie sotto il sole!

newsletter

“Camminare” nell’arte e nella filosofia

I super poteri del cammino

Nell’ambiente circostante, inteso in tutta la sua complessità, ci si può orientare “camminando”, per superare fattori di stress, recuperando il piacere di una passeggiata tranquilla, in modo organizzato o libero, velocemente oppure lentamente, ripiegati sui pensieri più intimi o protesi verso la natura e lo spazio con il desiderio di cogliere quanto di sorprendente offrono.

Nel camminare andiamo sempre incontro al nuovo e all’imprevisto, all’impatto con un mezzo altro da noi, rappresentato da una molteplicità di fattori e, al tempo stesso, ci misuriamo con la resistenza di quell’insieme psicobiologico che è dato dal nostro corpo, dal nostro vissuto di idee, emozioni e sensazioni. Soprattutto l’essere soli o insieme ad altri può cambiare la prospettiva del camminare e la direzione del procedere.

Mi piacerebbe camminare con te lì per scoprire se guardiamo le cose allo stesso modo” (Vincent Van Gogh)

Van Gogh amava camminare. A Londra impiegava tre quarti d’ora per andare al lavoro. Passeggiava per esplorare la città e la campagna alla ricerca di soggetti da dipingere. Dal Belgio camminò per una settimana fino a Courrières, nel nord della Francia per cercare le tracce di Jules Breton e di altri artisti.

Ha scritto Ippocrate, medico greco considerato il padre della medicina occidentale, che “il camminare è la migliore medicina”. Aristotele insegnava camminando, tanto che i suoi allievi erano i peripatetici o colonnati dal termine greco di riferimento, poiché il Peripato era la parte del giardino del Liceo di Atene in cui Aristotele teneva solitamente le sue lezioni.

Socrate dialogava e discuteva mentre camminava e di Kant sappiamo che gli abitanti di Königsberg, la sua città, regolavano gli orologi al passaggio del professor Kant, all’andata o al ritorno dalla sua passeggiata quotidiana.

Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”. (Friedrich Nietzsche)

Sicuramente il camminare è l’attività fisica più naturale e spontanea per ogni individuo che possa spostarsi rispondendo al bisogno primario di raggiungere uno stato di benessere fisico, mentale ed emotivo.

“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” (Italo Calvino)

Camminare permette di ritrovare una nuova armonia, di incontrare con leggerezza la propria interiorità, trasformando conflitti e inquietudini, ma è anche un’opportunità di abitare in modo nuovo il mondo, di stare con altri individui, insieme ai quali si è scelto di condividere il percorso.

Assumere il camminare come paradigma di resilienza significa osservare e analizzare le forme possibili del miglioramento del benessere individuale. Superare traumi, eventi stressanti, situazioni di disagio, significa intraprendere un cammino che possa rendere più forti le capacità di essere “resilienti”, per diventare consapevoli delle proprie vulnerabilità, motivati ad essere attivi e creativi nel risolverle. Ritorna l’idea del cammino come terapia e come cura, da considerare sia a livello simbolico sia a livello operativo e funzionale.

“Camminare è, ad ogni passo, un incontro con noi stessi”(R. Tagore)

Se una definizione di resilienza prevede la capacità di non soccombere di fronte alla difficoltà che si possono incontrare durante il percorso di vita, intesa in tutte le poliedriche esperienze di studio, di lavoro, di socialità, ecco che la qualità del cammino può fare la differenza.

Un cammino di qualità è così un andare creativo, aperto alle possibilità che la strada lascia intravedere. A livello di formazione si tratta di sviluppare capacità di attingere costantemente a nuove risorse, di trovare soluzioni a nuovi problemi. Il termine resilienza indica appunto la capacità di reagire “tornare a saltare” dal latino resilio, che nel linguaggio fisico significa la resistenza che i metalli oppongono agli urti.

“Viandante, il sentiero non è altro che le orme dei tuoi passi. Viandante, non c’è sentiero, il sentiero si apre camminando”. (Antonio Machado)

Don Milani, un nuovo modo di fare scuola

La sfida del suo messaggio

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola. Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico a un livello pari dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più di tutto.” (Don Milani in Esperienze pastorali).

Don Lorenzo Milani (Firenze27 maggio 1923 – Firenze26 giugno 1967), di cui ricorrono cento anni dalla nascita, è stato un prete “scomodo”, un riformatore, un pacifista, un pedagogo e un pedagogista. Ad alimentare il suo essere sacerdote non furono esclusivamente fede e obbedienza, ma giustizia.

“La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali”, scrive il priore di Barbiana in Esperienze pastorali.

La stessa idea di giustizia è alla base della sua vocazione per la scuola, intesa come strumento per elevare gli ultimi. Grado di cultura e funzione sociale sono elementi interconnessi, poli di un agire pedagogico e di un impegno sociale. Scuola, giustizia, Vangelo e Costituzione: questi sono i riferimenti che permettono di delineare la figura di un uomo riconosciuto come grande personaggio del Novecento, figura esemplare, capace di alimentare speranza e passione nel nostro tempo. La sua vita è tutta nelle sue scelte, fuori dai tracciati che le sue origini potevano determinare.

Dal libro di Francesca Banchini e Silvia Mannelli “Don Milani, il Maestro” (Raffaello, 2022, pagg. 63-64) possiamo leggere “Don Lorenzo era nato in una famiglia molto ricca che possedeva una bellissima casa sui viali di Firenze, una villa al mare a Castiglioncello e una tenuta nella campagna di Montespertoli, che si chiamava La Gigliola: qui c’erano addirittura dei campi da tennis privati. Lorenzo e i suoi fratelli, Adriano ed Elena, da bambini ebbero anche la possibilità di assistere ai primi cartoni animati. Amavano mobili lussuosi, automobili, servitù, migliaia di libri e persino una statua greca, l’Apollo Milani, scoperta da uno dei nonni di don Lorenzo, il celebre archeologo fondatore del museo etrusco di Firenze […] il bisnonno di don Lorenzo, Domenico Comparetti, era un importantissimo studioso di civiltà antiche ed era stato anche senatore. Sapeva ben diciannove lingue ed era un accanito anticlericale […] la madre di do Lorenzo, Alice Weiss, apparteneva a una famiglia ebrea che si era molto arricchita grazie al commercio di carbone alla fine dell’Ottocento e aveva ricevuto un’ottima educazione a Trieste, dove era vissuta per diversi anni. Suo padre era amico di un importante scrittore italiano che viveva in quella città, Italo Svevo, e l’insegnante di inglese di Alice era… James Joyce.”

Don Lorenzo, figlio di una famiglia colta e benestante, ha impiegato la propria esistenza per dare senso a quella degli altri, a lui importava dei suoi ragazzi, poveri e senza futuro, che trascorrevano la vita su un monte nemmeno segnato sulle carte geografiche, dove non c’erano né acqua corrente né elettricità, dove nemmeno la speranza aveva dimora. La povertà che ha incontrato a Sant’Andrea di Barbiana, in una canonica povera a cinquecen­to metri di altitudine, con quaranta anime sparse sul Mugello, ha fatto nascere in lui una coscienza sociale che gli ha permesso di capire le differenze profonde tra le opportunità in cui era cresciuto e la misera materiale e intellettuale del popolo.

Grazie a Don Milani tanti ragazzi, tanti genitori, tanti politici, tanti intellettuali hanno scoperto un modo nuovo di fare scuola, hanno condiviso un concetto di istruzione che pone come obiettivo primario la consapevolezza di impegnarsi per una cittadinanza attiva e responsabile, a partire dall’apprendimento della parola oltre ogni ambizione di competizione e di successo.

Barbiana, da luogo marginale e sperduto, è oggi simbolo di impegno per la legalità, per una scuola migliore, per un individuo capace di responsabilità verso gli altri. Barbiana è un luogo indissolubilmente legato alla testimonianza di vita di don Lorenzo Milani, alla sua proposta radicale e autentica. La lettura del suo trasferimento come “… un prete isolato è inutile”, don Lorenzo l’ha sovvertita, il suo trasferimento è ancora la sfida per porre radici nei valori della dignità umana e sociale.

La correzione degli errori

Sbagliare è fondamentale per imparare

Ogni volta che qualcuno impara a fare qualcosa di nuovo è estremamente raro che sia in grado di eseguirla alla perfezione al primo tentativo. Lo stesso vale anche per l’apprendimento di una nuova lingua, in quanto è ormai assodato che non esiste apprendimento senza errori.

Correggere un/a bambino/a è sicuramente necessario. Tuttavia, bisogna prestare molta attenzione, perché l’impatto di troppi feedback può anche essere dannoso per la motivazione del piccolo studente di inglese. In primo luogo è importante stabilire la priorità degli errori da correggere. Ad esempio, ci si dovrebbe astenere dal correggere errori specifici, fino a quando non sia stata introdotta quell’area di conoscenza agli/alle studenti/studentesse (inutile, ad esempio, correggere frasi a studenti che cercano di usare il “Present Continuous” quando sono ancora alle prese con il “Simple Present”!).

Gli insegnanti dovrebbero correggere gli errori in base a ciò che gli/le studenti/studentesse hanno appreso in precedenza, piuttosto che gli errori commessi nel provare, sperimentare strutture per le quali non sono ancora pronti. Possiamo quindi dire che gli/le studenti/studentesse dovrebbero essere corretti/e quando il loro errore è relativo al focus della lezione o riguarda argomenti già noti. Correggere gli errori delle cose studiate in precedenza è fondamentale se si vuole evitare che gli/le studenti/studentesse, ascoltando l’errore commesso da un compagno, mettano in dubbio quanto appreso.

Il momento in cui si corregge un/una discente dipende da diversi fattori. Ad esempio, se si insegnano nuove parole del vocabolario e uno/una studente/studentessa ne pronuncia male una, sicuramente si corregge subito l’errore, mentre se si insegna la fluidità della lettura e uno/una studente/studentessa pronuncia male una parola, si dovrebbe aspettare fino alla fine della lettura per correggerla.

Gli/le insegnanti dovrebbero fare attenzione a non interrompere il flusso della lezione con feedback eccessivi. Ad esempio, si potrebbe condividere il feedback con un/una singolo/a studente/studentessa subito dopo la fine dell’attività, anche per aiutare a ridurre l’imbarazzo della correzione di fronte a tutta la classe.

Da sottolineare, comunque, che se le “abitudini linguistiche sbagliate” non vengono corrette, gli/le studenti/studentesse svilupperanno l’abitudine di ripetere sempre gli stessi errori. Questo è noto come l’errore che si fossilizza, che sarà più difficile da correggere in un secondo momento.

Sono state fatte molte ricerche su cosa, come e quando correggere, tuttavia la decisione finale spetta all’insegnante. Sebbene la maggior parte dei ricercatori concordi sul fatto che gli/le studenti/studentesse hanno bisogno di feedback e correzioni, le modalità migliori da utilizzare sono lasciate all’insegnante. Un suggerimento che mi sento di dare è quello di chiedere al/alla diretto/a interessato/a di provare ad autocorreggersi e, qualora non ne fosse in grado, di ricorrere alla risorsa della classe (questo però va fatto facendo estrema attenzione alla sensibilità degli alunni e solo se il rapporto tra pari risulta ben consolidato).

E voi che ne pensate? Ci vediamo lunedì 17 aprile per scambiarci opinioni e suggerimenti in merito.

1200X1200 INGLESE 17apr 3

Le intelligenze utili ai cittadini del futuro

Howard Gardner e la teoria delle intelligenze multiple

Dobbiamo a Howard Gardner un concetto innovativo di intelligenza che ha aperto la riflessione psico-pedagogica nella direzione di un nuovo concetto di educazione, a partire dalla domanda: “Possono i test aiutarci a conoscere le capacità umane?”

Howard Gardner, psicologo cognitivo, nato nel 1943 in Pennsylvania (USA), ha condotto il suo lavoro di ricerca ridimensionando e sotto molti aspetti annullando il valore dei test, nella convinzione che gli stessi non possono esaminare le capacità umane, analizzate alla luce di un concetto multidimensionale dell’intelligenza. Nel 1983 pubblicò un testo che lo rese famoso in tutto il mondo “Frames of the Mind. The Theory of Multiple Intelligences”, in italiano “Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza”.

La gran parte della gente, quando usa la parola intelligenza pensa che ci sia una singola intelligenza con la quale si nasce e che non si può cambiare molto. Si attribuisce un gran valore a quello che si chiama un IQ test, una serie di domande alle quali si risponde bene o meno bene. Io penso che il test del quoziente intellettivo sia una misura ragionevole del rendimento delle persone a scuola, ma esso offre una visione molto ristretta di come sia l’intelletto umano una volta usciti dalla scuola. Nel mio lavoro ho gettato via i test perché penso che essi non possano esaminare l’intero spettro delle capacità umane” (Gardner, 1997).

Gardner ha contribuito a scardinare certezze e abitudini consolidate nell’approccio al concetto di intelligenza offrendo, soprattutto agli insegnanti, la possibilità di attuare una didattica inclusiva e diversificata secondo le capacità di studenti e studentesse, per valorizzare attitudini, stili cognitivi, approcci personali alla conoscenza e ai saperi disciplinari. La classe come struttura monolitica, l’insegnamento basato sulla lezione frontale non possono rispondere a bisogni di formazione degli studenti, bisogni sempre più articolati e differenziati.

  

SETTE TIPI DI INTELLIGENZA… ANZI NOVE!
La Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner accetta l’ipotesi che non esista una sola forma, misurabile, di intelligenza ma forme diverse della stessa, ognuna con sue peculiari caratteristiche. Nel tempo l’autore ha rivisto la sua concezione, apportando modifiche e integrazioni a una teoria basata inizialmente su sette forme di intelligenza che possono essere così individuate:

  • Intelligenza Linguistica: “pensare con le parole e riflettere su di esse”.
  • Intelligenza Logico-matematica: “pensare con i numeri e riflettere sulle loro relazioni”.
  • Intelligenza Musicale: “pensare con e sulla musica”.
  • Intelligenza Visuo-spaziale: “pensare con immagini visive e fare elaborazioni su di esse”.
  • Intelligenza Corporeo-cinestetica: “pensare con e sui movimenti e i gesti”.
  • Intelligenza Interpersonale: “avere successo nelle relazioni con gli altri”.
  • Intelligenza Intrapersonale: “riflettere sui propri sentimenti, umori e stati mentali”.

A queste sette rappresentazioni dell’intelligenza, negli anni, Gardner ha aggiunto l’Intelligenza Naturalistica, ovvero il “Pensare alla natura e al mondo che ci circonda” e l’Intelligenza esistenziale, vale a dire il “Pensare alle questioni etiche ed esistenziali”, tutti tratti del pensiero corrispondenti ai differenti approcci alla complessità del nostro tempo.

 

TEORIE INTELLIGENZE MULTIPLE: COME È UTILE ALLA SCUOLA?
Per ogni individuo possono essere riconosciuti i vari aspetti dell’intelligenza, in forme più o meno equilibrate, integrate ed omogenee, ma possono esserci individui che presentano un profilo in cui risultano e addirittura sono esaltate solo forme particolari d’intelligenza. Così la scuola è tenuta a proporre un rapporto con il sapere capace di guidare alla consapevolezza del modo personale di ogni singolo studente di apprendere, per evitare discriminazioni nella mancanza di opportunità di sviluppare attitudini e talenti. Una concezione astratta e monolitica/rigida dell’intelligenza dopo Gardner non è più accettabile e, soprattutto, non è più strategica rispetto ad un concetto di educazione inclusiva e dinamica.

Il rapporto con il sapere presuppone la consapevolezza del proprio stile cognitivo per chi apprende e la necessità, per l’insegnante, di dominare una pluralità di metodologie didattiche utili a favorire l’integrazione e la fluidità nei processi di insegnamento-apprendimento.

 

QUALI INTELLIGENZE SARANNO UTILI AI CITTADINI DEL FUTURO?
Il valore della ricerca di Gardner non riguarda tanto la riflessione sulla validità dei test che misurano le capacità intellettive, quanto il riconoscimento che tutte le tipologie di intelligenza sono importanti. Il variare delle tipologie riconosciute non deve essere ritenuto importante rispetto al numero delle “intelligenze” catalogate, quanto rispetto agli assi della ricerca di Gardner che hanno il futuro come orizzonte di indagine e comparazione. Quali intelligenze saranno utili per i cittadini del futuro? I grandi cambiamenti del nostro tempo richiedono approcci multiformi alle tematiche disciplinari e interdisciplinari, capacità di problem solving rispetto alla necessità di affrontare la complessità e l’imprevedibilità. Le trasformazioni che interessano la vita sociale, le problematiche del lavoro e dell’identità, possono essere vissute consapevolmente e responsabilmente quanto più la scuola opera con percorsi efficaci per sviluppare nelle giovani generazioni capacità di adattamento e creatività, alimentando il potenziale cognitivo proprio a partire da una rinnovata concezione dell’intelligenza.

Così l’attenzione di Gardner alle diverse tipologie di intelligenza, nelle dimensioni intrapersonale, interpersonale, naturalistica ed esistenziale offre un contributo all’individuazione di competenze quali il saper esprimere sentimenti ed emozioni, avere una immaginazione attiva, avere attitudine a trasformare oggetti, avere sensibilità verso la musica, saper lavorare in modo cooperativo. L’intelligenza linguistico verbale deve trovare una scuola attenta a lavorare sulla comunicazione verbale e non verbale, così l’intelligenza logico-matematica deve potersi esprimere nel riconoscimento delle relazioni e delle connessioni. L’evoluzione della ricerca di Gardner verso le dimensioni che riguardano la Natura e l’Esistenza sottolineano la necessità che lo studio dell’intelligenza umana sia vitale per la crescita dell’individuo e delle comunità. Saper riflettere sulle tematiche ambientali ed esistenziali rappresenta al tempo stesso una competenza e un’urgenza per far fronte alle sfide del nostro tempo. Considerare tutti gli aspetti della personalità degli individui in formazioni vuol dire prestare interesse agli atteggiamenti, alle interazioni sociali, alle reazioni emotive come interdipendenti rispetto alle forme di intelligenza analitica, creativa, operativa e in sinergia con la capacità di utilizzare in modo responsabile le risorse della natura.

Leggere per crescere

L’ambiente, la bellezza e il prendersi cura

In questo articolo parleremo del terzo pilastro su cui si basa la didattica della lettura in Parole segrete: LEGGERE PER CRESCERE.
È il percorso attraverso il quale la pagina scritta diventa stimolo ad approfondire, a discutere, a confrontare opinioni e punti di vista, a riflettere su noi stessi e sui valori che orientano le nostre scelte in un percorso diretto alla formazione di “cittadini” detentori di un pensiero libero, critico e creativo.

 

LE LIFE SKILLS
Risale a più di 20 anni fa il primo faro acceso sull’importanza delle life skills. Nel 1993 infatti, per la prima volta il Dipartimento di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rimarca quanto sia fondamentale lo sviluppo di tali abilità nel percorso di crescita di ogni individuo, “soprattutto nelle iniziative di promozione della salute e benessere di bambini e adolescenti”.

L’OMS identifica il nucleo fondamentale delle life skills, in 10 competenze raggruppate secondo 3 macroaree:
– Emotive: consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress.
– Relazionali – empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci.
– Cognitive – risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo.

Sempre secondo l’OMS la fascia di età adatta per cominciare ad apprendere tali competenze si colloca tra i 6 e16 anni, periodo in cui i comportamenti sono ancora modificabili. Sempre secondo l’OMS le life skills vanno allenate: quale ambiente migliore per l’insegnamento delle life skills se non la scuola? A scuola si insegna alle bambine e ai bambini a saper collaborare con gli altri, a pensare in modo critico, a creare e mantenere buone relazioni, a stabilire e riconoscere obiettivi e valutare il proprio apprendimento. Competenze che sono fondamentali per sviluppare una corretta socialità.

Entrare nel testo a livello riflessivo significa ricavare spunti da condividere e approfondire, spunti per pensare, spunti per crescere. Per questo nella sezione del libro di testo “Crescere leggendo”, ho inserito letture che fungono da stimolo per riflettere su ciascuna delle life skills principali, attraverso attività pratiche cooperative vicine ai bambini e alle bambine, attività che permettano loro di trasformare le riflessioni in “comportamenti”.


LA CURA
Prendersi cura” è un’espressione bellissima e potente. È un sinonimo di “avere a cuore”. Ma, che cosa significa in concreto questa espressione? Per coglierne d’istinto il significato profondo basta pensare a qualcosa che ci è caro, persona, animale o oggetto che sia.

Quand’è che questa espressione si traduce in azione?
Succede quando siamo in grado di comprendere i bisogni e le necessità proprie e degli altri, cercando di occuparcene, facendo del nostro meglio. Si traduce nella volontà di assumersi l’impegno e la responsabilità nel conservare, custodire, proteggere ciò che amiamo, ciò che è prezioso per noi e per chi ci sta intorno. Prende vita attraverso il riguardo, l’attenzione e l’impegno costante con l’obiettivo di generare benessere e armonia. Ci si prende cura di qualcosa che si ama.

Per questo, nella sezione denominata PRENDESI CURA ho sviluppato un percorso di letture legato anche agli obiettivi dell’agenda 2030, che conduce i bambini, a porsi domande, a conoscere, a prendere iniziative per far sì che, anche nel proprio piccolo, si impari a fare la propria parte. A piccoli passi verso il cambiamento. Che è responsabilità di ciascuno di noi.

STEM E PARI OPPORTUNITÀ
“Stem” è un acronimo che sta per Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, cioè tutto quel gruppo di materie che afferisce all’area scientifica delle discipline scolastiche e, come ricordato dal PNRR, Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, riveste una grande importanza per la crescita della persona durante gli anni scolastici, oltre ad avere un’importante ricaduta sullo sviluppo del Paese.

Dunque, è molto importante che, fin da bambini, si capisca il valore di queste discipline, con un focus che parte delle bambine, spesso (e non per causa loro) poco orientate al mondo delle STEM.

Nella sezione del libro dedicate alle letture STEM ho voluto stimolare questo tipo di pensiero, mettendo in evidenza le figure di donne che hanno contribuito con la competenza, la tenacia, lo studio a scoperte straordinarie, in grado di cambiare il corso della scienza, dell’astrofisica, delle tecnologie, della medicina.

I brani e le attività proposti in tutte le sezioni del sussidiario sono stati scelti con l’attenzione ai contenuti, alle autrici e alle protagoniste femminili, al linguaggio rispettoso della parità di genere, obiettivo imprescindibile di ciascun insegnante e, soprattutto, di ciascun autore o autrice di testi destinati alle bambine e ai bambini. Una corretta costruzione dei rapporti maschio femmina, uno sguardo rispettoso della disabilità passa anche attraverso le letture, le immagini, la scelta degli esercizi su cui studiano, riflettono, imparano i nostri alunni. Tutto ciò per un’autrice, e per la casa editrice che concretizza la sua voce, rappresenta una grande responsabilità. È giunto il tempo di agire.

L’AMBIENTE E LA BELLEZZA
Se impariamo a respirare la bellezza fin da bambini, non potremo diventare “brutte persone” da adulti. Questo è il mio convincimento profondo, per questo nella sezione del libro dedicata all’armonia delle stagioni ogni dipinto, ogni fotografia, ogni testo è orientato ad avvicinare i bambini alla bellezza.

Bellezza che apre gli occhi sul mondo, perché la bellezza si trova ovunque, basta solo saperla vedere. E, insieme all’emozione del bello, e al rispetto che genera, un allenamento creativo, per trasformare ancora una volta le emozioni in parole, scritte, ascoltate, raccontate ma anche in comportamenti rispettosi della meraviglia che ci circonda.

Vuoi scoprire il sussidiario dei linguaggi Parole segrete?
Scoprilo sulla pagina dedica

Leggere per emozionarsi

La lettura gratis per consumatori felici di storie

In questo secondo articolo, parleremo del secondo pilastro su cui si basa la nostra didattica della lettura: leggere per emozionarsi.

È il percorso attraverso il quale prendiamo per mano i nostri alunni e alunne aiutandoli a costruire un legame d’amore con la pagina scritta, un percorso propedeutico alla formazione di lettori affezionati, per diventare dei veri “consumatori felici di storie”.

PAROLE CHIAVE: EMOZIONE, LETTURA E LIBERTÀ
Siamo tutti diversi, abbiamo interessi diversi. Chi ama il brivido e chi le storie a lieto fine, chi l’avventura, la natura, la scienza, chi la cucina e chi lo sport… a ciascuno il proprio libro! Il mondo della lettura è come una tavola imbandita con ogni sorta di piatti pronti che aspettano solo noi. Ecco alcuni consigli utili per facilitare il compito dell’insegnante, che ho inserito, insieme ad altri, nella guida che accompagna il sussidiario dei linguaggi Parole segrete:

  • Non dimentichiamo mai che l’imposizione raramente orienta verso scelte autonome e consapevoli. “Vuoi che faccia questo, ebbene, farò esattamente il contrario …” nessuno può essere costretto a leggere ciò che non gli piace!
  • Un libro si può anche abbandonare a metà… non è giusto obbligare il lettore ad arrivare fino alla fine (come quando mamma costringe Paolino a finire la minestra di zucca perché DEVE imparare a mangiare tutto, mentre il papà mangia altro perché proprio la minestra di zucca non gli va giù…).
  • Il senso del dovere va bene, ma la lettura non deve essere una fatica. E poi, certe volte è difficile per il lettore impaziente resistere senza balzi in avanti, opponendosi al desiderio di saltare qualche pagina. A tornare indietro c’è sempre tempo…
  • Riguardiamo un film che ci è piaciuto tanto e rigiochiamo lo stesso gioco, rivogliamo il gelato al pistacchio perché solo quello ci piace; quindi… rileggere e riscoprire uno stesso libro, rivivere sensazioni, a caccia di tesori nascosti tra le pagine – che magari prima ci erano sfuggiti – è davvero stimolante oltre che rassicurante.
  • Spiluccare. Fantastico. Liberi di assaggiare il libro, un po’ di qua un po’ di là, giusto per sentire gusti diversi e far cantare le papille (o deprimerle, a seconda del sapore).
  • Mangiarsi le unghie perché il protagonista sta per cadere in un’imboscata e noi lettori sappiamo già che cosa lo aspetta e non possiamo fermarlo; sentire l’amarezza del nostro eroe convinto di essere stato tradito; ridere sotto i baffi perché quel simpatico truffatore l’ha fatta franca. Emozioni … e dite poco?

 

E per i bambini e le bambine?

Nel sussidiario dei linguaggi “Parole segrete” ho voluto rendere tangibile ciò che faccio regolarmente con i mei alunni e alunne: offrire letture GRATIS.

Nella sezione “EMOZIONARSI LEGGENDO” ho inserito proposte nelle quali non troverà nessun tipo di lavoro da eseguire sul testo. L’unico compito sarà quello di “emozionarsi”, testando, attraverso l’EMOZIONOMETRO, il livello cui è giunta la sua emozione.

Lettura libera, dunque, lettura emozionale, un modo semplice per far comprendere ai bambini che leggere è davvero un privilegio, un cesto di emozioni in libertà, una possibilità di crescere, di ritrovarsi, di farsi compagnia. Una volta che avrà capito questo, noi insegnanti potremo tirare un sospiro di sollievo e, perché no, anche di soddisfazione…

Amico libro, viaggiatore di bocca buona. Te ne stai dovunque, con la sabbia tra le pagine o sul sedile di un aereo (nonostante la fifa), al finestrino di un treno, aperto sul letto, mentre caschi dal sonno, o magari in bagno… Giusto perché non ti tiri mai indietro, quando si tratta di farci compagnia…

Vuoi scoprire il sussidiario dei linguaggi Parole segrete?

Scoprilo sulla pagina dedicato oppure partecipa all’incontro formativo con l’autrice.

Leggere per imparare

Escape room, gioco di squadra, logica, comprensione competente

La lettura è il veicolo fondamentale attraverso il quale, a scuola, raggiungiamo il cuore dei nostri alunni e delle nostre alunne. È il mezzo grazie al quale si forma il loro sapere disciplinare ma è anche uno strumento per costruire la loro identità, per accrescere la loro cultura, per permettere loro di identificarsi in storie e racconti, sviluppando capacità di riflessione e confronto e sperimentando il valore delle emozioni.

Per quanto riguarda la Lettura, il percorso che ho sviluppato come insegnante e che ho riprodotto nel sussidiario dei linguaggi Parole segrete si articola su tre pilastri, tutti ugualmente indispensabili.

1) LEGGERE PER IMPARARE: pensando la lettura come veicolo strettamente connesso a qualunque tipo di apprendimento, un veicolo che sottende finalità formative imprescindibili:

– migliora le competenze linguistiche;
– accresce la capacità di organizzare ed esprimere il proprio pensiero;
– sviluppa capacità critiche;
– veicola gli apprendimenti, permettendone la comprensione e l’interiorizzazione.

2) LEGGERE PER CRESCERE: utilizzando la pagina scritta come stimolo ad approfondire, a discutere, a confrontarsi, a riflettere su se stessi e sui valori che orientano le proprie scelte in un percorso diretto alla formazione di “cittadini”, mediante attività propedeutiche allo sviluppo di un pensiero libero, critico e creativo.

3) LEGGERE PER EMOZIONARSI: creando un legame con la pagina scritta propedeutico alla formazione di lettori affezionati, “consumatori felici di storie”.

In questo primo articolo analizzeremo insieme in che cosa si sostanzia il percorso LEGGERE PER IMPARARE, che si basa sulle parole chiave: escape room, logica, analisi, comprensione.


ESCAPE ROOM E LOGICA
Un’escape room, o gioco di fuga dal vivo, è un gioco di logica nel quale i partecipanti, rinchiusi in una stanza allestita a tema, devono cercare una via d’uscita rintracciando indizi e risolvendo una serie di enigmi, puzzle, problemi che mettono alla prova la capacità di utilizzare conoscenze e abilità in modo creativo. È una situazione in cui non si sviluppano abilità fisiche ma la logica e l’intuito. Per poter completare con successo il percorso, e dunque trovare la via di fuga, i partecipanti devono collaborare tra loro.

Collaborazione e spirito di gruppo (e dunque abilità sociali quali Cooperative Learning e strategie di squadra) oltre all’attivazione della capacità di problem solving, sono le caratteristiche principali di questa attività altamente inclusiva. Intuizione, attenzione ai particolari, abilità matematiche, creatività, logica: ogni componente la squadra può offrire un diverso e costruttivo contributo al raggiungimento dell’obiettivo finale. Un’attività che si rivela un’ottima opportunità didattica realizzata attraverso la mediazione del gaming.

Nel sussidiario “Parole segrete”, ogni escape room è un ambiente creato appositamente per indirizzare l’alunno e la classe “squadra” alla scoperta della tipologia o del genere testuale attraverso la scoperta dei “segreti” che si nascondono nella pagina scritta.

Le escape room digitali accompagnano il percorso fornendo la possibilità di interagire sperimentando media differenti: il cartaceo e il virtuale.

 

ANALISI E COMPRENSIONE
È molto importante che i nostri alunni e alunne si approccino al testo scritto in modo non superficiale, cercando, passo dopo passo, livello dopo livello, di penetrane il significato profondo, poiché è la comprensione competente di ciò che leggiamo a renderci cittadini a tutti gli effetti, divenendo così in grado di distinguere una comunicazione vera da una falsa, un’emozione, un messaggio, un contenuto.

E allora quali sono i livelli, i gradini che i bambini e le bambine devono conoscere e sperimentare per poter “dare dignità” alla parola scritta? Molto interessante e di facile comprensione risulta la metafora della tavola imbandita.

leggere per imparare immagine
Ecco come nel sussidiario dei linguaggi “Parole segrete” ho declinato ciò che svolgo ogni giorno nella mia attività didattica:
Ogni brano sarà affiancato da esercizi studiati ad hoc per rendere questa comprensione sempre più significativa, fornendogli un metodo che potrà riutilizzare anche durante le prove INVALSI.

Naturalmente sarà utile permettere ai bambini e alle bambine di testare le proprie competenze attraverso l’autovalutazione, l’unica sfidante, motivante e veramente costruttiva. Le diciture, espresse nella modalità che ritroveranno in pagella, permetteranno loro di prendere visione dei loro progressi, dei punti fi forza e dei punti su cui dovranno ancora lavorare.

Vuoi scoprire il sussidiario dei linguaggi Parole segrete?
Scoprilo sulla pagina dedicata oppure partecipa all’incontro formativo con l’autrice