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Tag: inclusione e pei

La classe inclusiva: comunità di relazione e apprendimento

Fare gruppo + metodologia della TA.CO.CA

 

Fare gruppo

La priorità educativa di una scuola inclusiva è quella di promuovere le condizioni affinchè in sezione e in classe i bambini possano vivere una reale dimensione comunitaria.

Il gruppo, infatti, svolge una funzione di rispecchiamento e restituisce l’immagine che il soggetto ha di se stesso, in un gioco continuo fra costruzione/ricostruzione, autonomia/dipendenza, individualità/collettività.

L’essenza del gruppo è l’interdipendenza tra i suoi componenti. Per questa ragione è necessario:

  1. favorire il senso dei “Noi” in modo da superare personalismi e identità autocentrate;
  2. promuovere legami di appartenenza: ogni alunno deve sentirsi parte di un cammino che egli stesso contribuisce a determinare;
  3. educare alla reciprocità, cioè a vivere in modo strutturale la dimensione dell’aiuto sia nelle relazioni interpersonali che nelle esperienze di apprendimento.

Per quanto concerne il piano educativo-didattico, i/le docenti devono farsi carico di due dimensioni della classe, intesa come gruppo:

  • l’orientamento alle relazioni affettive e, quindi, al benessere psicologico degli alunni;
  • la cura degli apprendimenti: il rapporto che gli allievi devono instaurare con le attività di studio, nei campi di esperienza e nelle conoscenze disciplinari.

La classe, pertanto, si riconosce come comunità quando le due strutture portanti del “fare gruppo” (orientamento alle relazioni e al compito) si integrano e raggiungono un’efficace forma di equilibrio.

Questa duplice centralità della didattica viene tratteggiata in modo sintetico nella figura 1.

 

 

FIG. 1 Il duplice livello relazionale della didattica

 Relazione educativa e relazione culturale sono le parole chiave di una scuola che si prende cura non soltanto degli alunni (di tutti, nessuno escluso), ma anche degli stessi insegnanti.

 

Il gioco del gomitolo

La cura delle relazioni si impone oggi all’attenzione dei/delle docenti non soltanto per essere un’istanza coessenziale all’educazione, ma anche perché, dopo la pandemia, si sono accentuati gli stati di ansia, incertezza e paura, che chiedono alla scuola un’azione “supplementare” nei confronti di bambine, bambini, ragazze e ragazzi.     

La relazione educativa, incentrata sull’ascolto e sul dialogo, si regge su una molteplicità di “tecniche” gestionali della classe, brainstorming, circle time, giochi di ruolo…, che ogni insegnante è tenuto a padroneggiare.

Una forma molto eclettica, poco conosciuta, finalizzata a creare un clima positivo tra i bambini della sezione e della classe è il gioco del gomitolo.

Il gioco è la manifestazione da cui i bambini traggono il maggior vantaggio perché risponde ai loro fondamentali bisogni: di relazione, movimento, esplorazione, appartenenza, sperimentazione di ruoli.

Nel gioco del gomitolo bambine e bambini si dispongono in cerchio (seduti una superficie morbida, sulle sedie, sul pavimento, ecc.) e, sotto la guida dell’insegnante, si lanciano e rilanciano un gomitolo di lana fino a trovarsi tutti irretiti in una sorta di ragnatela.

Il docente deve esercitare

          uno stile educativo di tipo autorevole, basato sul sostegno emotivo ma anche su regole precise  che facilitino una socialità positiva. Uno stile che favorisca l’acquisizione della cosiddetta “disciplina sensibile”, atteggiamento volto a promuovere comportamenti adeguati al contesto. (Di Chio, 2022) 

Un bambino o una bambina del cerchio inizia a parlare di sé e, quando ha terminato la presentazione, lancia il gomitolo ad un coetaneo, dopo essersi legato un filo al polso.

Il gioco continua fino al punto in cui tutti i membri del cerchio si trovano coinvolti nella medesima tela.

Come si evince dall’immagine, questa attività crea una naturale forma di benessere che può evolvere in un rapporto di amicizia, aiuto reciproco e vicinanza emotiva.

Per la sua versatilità, questa strategia educativa può essere proposta con una certa frequenza: all’inizio dell’anno scolastico per conoscersi o rinsaldare vecchie conoscenze, nell’accoglienza di un nuovo compagno, in momenti in cui si avverte il bisogno di canalizzare situazioni di disagio che qualche alunna/o sta vivendo. 

L’esperienza del gioco può essere rappresentata su un cartellone (FIG. 3) e trasformarsi nella “ragnatela dell’amicizia” in cui i bambini possono evidenziare particolari legami con compagni di sezione o di classe.

FIG. 3 La ragnatela dell’amicizia

Il gioco del gomitolo presenta molte affinità con il circle time, metodologia educativa che si svolge anch’essa con la disposizione a cerchio degli alunni.

Entrambe le tecniche favoriscono l’inclusione, in quanto eliminano qualsiasi forma di disparità e promuovono un senso di appartenenza e di mutuo aiuto.

 

Il compito inclusivo: la metodologia della TA.CO.CA.

 La presenza di un alunno con disabilità in classe rappresenta una preziosa opportunità di allargamento degli orizzonti di apprendimento per tutti i compagni e per gli stessi insegnanti.

Maria Famiglietti, esperta dell’IRRSAE dell’Emilia-Romagna, negli anni Novanta del secolo scorso, ha messo a punto e diffuso in molte scuole italiane e straniere una serie di metodologie didattiche incentrate sulla natura strutturalmente inclusiva del compito assegnato ai bambini e alle bambine.

 Si tratta di strategie finalizzate a valorizzare pienamente il protagonismo di tutti gli allievi nei processi di costruzione della conoscenza attraverso un’efficace mediazione didattica: la classe si trasforma in una comunità di apprendimento, centrata sui “discorsi” degli alunni e delle alunne stesse.

Lei stessa ha definito la tecnica più frequentemente utilizzata TA.CO.CA. (TAbella di COnfronto su risposta CAmpione): una modalità di gestione della classe che coinvolge i bambini in una problematica non affrontata in classe.

Tale metodologia è finalizzata a mettere a fuoco, nella fase inziale, le conoscenze preesistenti che ogni alunno e alunna ha maturato autonomamente su un determinato tema. Le conoscenze del Livello di Partenza (LP) costituiranno la base per costruire, attraverso il confronto dei diversi punti di vista dei ragazzi, il Livello di Uscita (LU), affidato generalmente all’elaborazione di un testo collettivo della classe. 

Le caratteristiche di fondo della TA.CO.CA. sono le seguenti:                                                   

  • azzeramento iniziale delle difficoltà di contenuto;
  • piena libertà di risposta dell’alunno;
  • elaborazione della risposta con una frase semplice, breve ed esaustiva.

Come già sottolineato, questa tecnica è implicitamente inclusiva, in quanto centrata sulle reali capacità degli alunni e delle alunne che, indipendentemente dalla loro “preparazione”, partecipano attivamente al buon esito dell’unità di apprendimento. 

 

La TA.CO.CA. in azione

Nella figura 4 viene illustrata la prima fase di una unità di apprendimento (con la modalità TA.CO.CA.) in cui studenti e studentesse di una classe terza della scuola primaria hanno dovuto cimentarsi con la domanda: “Chi è per te il dinosauro”?

 

FIG. 4 La prima fase della TA.CO.CA

 

Alla risposta “campione” di Antonio (“Il dinosauro è un animale vissuto prima dell’uomo”), scelta dagli alunni stessi, allievi e allieve sono stati chiamati a inserire la propria frase nella colonna delle risposte ritenute simili o dissimili.

 Al termine di questo lavoro di confronto, un gruppo redazionale ha sintetizzato il percorso svolto elaborando un testo collettivo che rappresenta il Livello d’Uscita delle conoscenze dell’intero gruppo classe. In questo iniziale momento dell’attività gli alunni esercitano una molteplicità di comportamenti civici. In particolare, nello schema di cui alla FIG.4 vengono evidenziate due competenze di cittadinanza descritte nel decreto ministeriale 139/2007: l’interpretazione e la partecipazione.

        Completata questa fase di ricognizione nella quale vengono valorizzate le conoscenze preesistenti dei singoli alunni e attuato un confronto sui vari costrutti mentali, l’insegnante avvia un successivo momento più impegnativo finalizzato a dare sistematicità e solidità all’argomento di studio. Gli alunni, infatti, dovranno confrontare il testo della classe con un secondo elaborato dall’insegnante, più ampio e completo. (FIG. 5) (Rondanini, 2020)

 Nello specifico, alla classe, organizzata in coppia o in piccolo gruppo, viene richiesto di evidenziare analogie e differenze tra i due testi.

FIG. 5 il confronto fra testi

 

A questo punto, la classe dispone degli strumenti essenziali in grado di portare gli alunni a predisporre un vero e proprio dossier sugli aspetti più significativi della vita di questi rettili (specie, alimentazione, grandezza, riproduzione, estinzione, …) vissuti milioni di anni fa.

La TA.CO.CA., come tutte le strategie didattiche a sfondo cooperativo, oltre a permettere ad ogni bambino di valorizzare le proprie potenzialità cognitive, favorisce anche la costruzione di un clima positivo che rafforza il piano motivazionale ed affettivo, indispensabile per formare gruppi realmente inclusivi.

Questa strategia didattica risponde pienamente a quanto sottolineato nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 in cui si invitano gli insegnanti a “dedicare particolare cura alla formazione della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti indotti dalla socializzazione”.

Infine, la TA.CO.CA. è una strategia di facile praticabilità i cui tempi di realizzazione, con l’impiego della LIM, possono essere “velocizzati” rispetto alla pur apprezzabile tradizionale modalità “carta e penna”.

Luciano Rondanini

 

 

Bibliografia
Di Chio C. (2022), Emozioni in relazione, Erickson, Trento

Rondanini L. (2020), Psicologia e didattica in classe, Homeless Book, Faenza (RA)

      

 

Progettazione partecipata del Piano educativo individualizzato

Strumenti e strategie

Il modello bio-psico-sociale dell’ICF

Il decreto legislativo 66/2017, in attuazione della legge 107/2015, ha previsto che, dopo l’accertamento della condizione di disabilità, venga redatto il Profilo di funzionamento secondo i criteri del modello bio-psico-sociale dell’ICF (International Classification Functioning dell’OMS, 2001). Il Profilo rappresenta l’ineludibile riferimento della progettazione del Progetto individuale e del Piano educativo individualizzato (vedi FIG. 1).

FIG. 1 Dal Profilo di funzionamento al Progetto individuale e al PEI

Il modello ICF afferma una concezione unitaria della persona con disabilità, concentrandosi sugli aspetti che “funzionano” piuttosto che su statici parametri clinici.

La scelta di adottare il modello ICF nei processi di inclusione delle persone con disabilità accresce il principio della corresponsabilità degli insegnanti, in quanto si rafforza una prospettiva educativa e non specialistica di natura medica.

La scuola, infatti, alla luce dell’ICF, deve superare il momento sanitario certificativo per effettuareuna descrizione dei  bisogni degli alunni che tenga conto del contesto culturale e ambientale in cui essi vivono. (Canevaro-Ianes, 2019)

Non è un caso che le parole chiave dell’ICF non siano deficit, menomazione, minorazione, ma attività, partecipazione e qualità dei contesti.

Lo strumento dell’autointervista

In questo contributo è stato presentato un modello di progettazione partecipata del PEI, che riproponiamo nello schema sotto riprodotto (FIG. 2)

 

FIG. 2 L’osservazione partecipata da parte del team e del consiglio di classe

Queste quattro dimensioni, in forma diversa, sono richiamate anche nelle Linee guida allegate al decreto interministeriale 182 del dicembre 2020, che la Sentenza del Consiglio di Stato dell’aprile 2022 ha rilegittimato, dopo l’annullamento del Tar Lazio del settembre 2021.

Nel modello nazionale di PEI riguardante ciascun grado scolastico, nelle osservazioni iniziali, finalizzate a progettare gli interventi di sostegno didattico, vengono indicate le seguenti aree:

  • dimensione della relazione, dell’interazione e della socializzazione;
  • dimensione della comunicazione e del linguaggio;
  • dimensione dell’autonomia e dell’orientamento;
  • dimensione cognitiva, neuropsicologica e dell’apprendimento.

Nello strumento di cui alla FIG. 2 tali dimensioni sono riferite ai docenti per il fatto che sono loro a determinare le condizioni di una classe inclusiva. Nel momento in cui gli insegnanti sono in grado di vivere nel loro agire quotidiano quanto previsto nello schema sopra richiamato, anche gli alunni saranno facilitati a raggiungere i traguardi indicati nei quattro campi descritti nelle Linee guida.

Una didattica inclusiva deve essere pensata, progettata e pianificata, sin da principio. Tale scelta permette di gettare solide basi di un’efficace valorizzazione delle diversità nella fase realizzativa e valutativa del progetto. 

Costruire legami

Nelle prime due colonne della figura 2 ogni docente deve esplicitare le caratteristiche delle relazioni nei confronti dei genitori degli alunni in situazione di handicap e verso l’allieva/o fragile. La componente relazionale è, infatti, uno dei fattori più importanti della qualità didattica, soprattutto nel momento attuale nel quale sono richieste aperture educative in senso dialogico.

Dovendo però predisporre in modo condiviso un progetto individualizzato/personalizzato, risulta essenziale che ogni docente espliciti punti di forza e di criticità.

Occorrono naturalmente molta sincerità e lealtà. Anche eventuali difficoltà non vanno sottaciute o nascoste. In un’ottica di team building, i problemi vissuti dal singolo devono diventare di tutti per poterli affrontare facendo leva sul reciproco sostegno.

Lo psicoanalista inglese Wilfred Bion, che ha studiato a lungo la psicologia di gruppo, distingue nelle relazioni gruppali due dimensioni:

  • razionale, orientata al compito (disposizione mentale, ruoli di ciascuno, regole di funzionamento … finalizzati al conseguimento di un esito atteso);
  • inconscio o degli assunti di base, orientata alle relazioni, in cui emergono le resistenze, la realtà latente, nascosta, delle fantasie. Questa dimensione è riconducibile ai meccanismi di difesa che inevitabilmente i membri del gruppo mettono in atto.

 

Le due dimensioni sono strettamente collegate e devono integrarsi dando vita ad equilibri e assunzione di responsabilità condivise.

Per facilitare il coordinatore del team o del consiglio di classe, nella composizione dei diversi atteggiamenti degli insegnanti, è possibile trasformare il protocollo di osservazione in un questionario inteso a velocizzare l’intera procedura da parte dei docenti della singola classe, ma soprattutto quando il medesimo strumento viene utilizzato in classi parallele.

Ad esempio, il punto di riflessione della prima colonna può essere ridefinito come rappresentato nella figura 3. La stessa modalità potrà essere utilizzata per tutti e quattro gli ambiti individuati.

FIG. 3 Possibile utilizzo del protocollo di osservazione

L’apprendimento, innanzi tutto

 Nella terza e quarta colonna della figura 2 si afferma la centralità della mediazione didattica che rappresenta il fondamentale requisito di un insegnamento orientato all’inclusione.

Trent’anni fa la legge 104/1992 ha affermato che il diritto all’apprendimento costituisce il perimetro educativo entro cui si gioca il futuro delle persone con disabilità.

     L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona  handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione (art. 12)

Ancora più esplicito risulta il testo dei Programmi della scuola elementare del 1985:

      l’obiettivo dell’apprendimento non può mai essere disatteso né tanto meno sostituito da una semplice socializzazione “in presenza”, perché il processo di socializzazione è in larga misura una questione di apprendimento.

La centralità dell’apprendimento nell’inclusione degli alunni con disabilità, come si evince dalle citazioni, è contestuale all’avvio di questa scelta politica fin dagli anni Settanta. Continua però ad incontrare ancora ostacoli e resistenze.

E’ dunque essenziale che i presupposti di una progettualità inclusiva siano chiari sin dall’inizio. La didattica inclusiva si prefigura come uno “stile” di insegnamento innovativo, corale e flessibile in grado di facilitare il successo formativo di tutti gli allievi.

Riproponendo lo schema di cui alla figura 3, l’ultima colonna del secondo riquadro (mediazione didattica e organizzazione inclusiva della classe) può essere affidata alle seguenti domande (FIG. 4).

 

FIG. 4 Domande del docente per una classe inclusiva

 

In questo quadro,

       il sostegno deve evolversi in un servizio, che comprenda anche i cambiamenti dei colleghi: si eviteranno così il “fai da te” e una storia di anonimato che, in qualche caso, tende ad occultare l’insegnante specializzato. (Rondanini, 2019)

     Progettare in modo inclusivo significa pensare a forme di insegnamento personalizzato, perché ogni allievo affronta le esperienze di apprendimento in modi differenti. La classe “ideale” non esiste (non è mai esistita). Per gli insegnanti, la progettazione del PEI (ma anche del PDP) è una preziosa opportunità di rafforzare il senso di comunità, che consentirà di evitare un inutile spreco di tempo e soluzioni di emergenza. 

 

 

Bibliografia

Canevaro A.-Ianes D. (2019) (a cura di), Un altro sostegno è possibile, Erickson, Trento

Rondanini L. (2019), L’ICF e la progettazione partecipata del PEI. Per una scuola come comunità di sostegno, Tecnodid, Napoli

Baldacci M. (2003), Individualizzazione, da “Voci della Scuola”, a cura di Cerini G. e Spinosi M., Tecnodid, Napoli

Marasso O. e Mosca S. (2000), Autovalutazione dell’insegnamento, sta in Barzanò G-Mosca S.-Scheerens J., L’autovalutazione nella scuola, Bruno Mondadori, Milano

Cerini G. (2021), Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, Napoli

Il PEI e la centralità della valutazione

Chi fa da sé non fa per tre

Nel precedente contributo, Progettare il Piano Educativo Individualizzato, sono stati delineati gli aspetti che stanno alla base del progetto inclusivo d’istituto:

  • condivisione di una cornice pedagogica da parte di tutto il personale della scuola;
  • corresponsabilità del gruppo docente della sezione/classe;
  • centralità della valutazione degli apprendimenti degli alunni con disabilità.

Ho già avuto modo di sottolineare che la condivisione da parte delle e degli insegnanti di un comune orizzonte pedagogico deve essere incentrata sulla personalizzazione del PEI e del PDP, che mira a differenziare i percorsi a partire dalle caratteristiche dell’alunna/o, aiutando ogni studente a “sviluppare una propria forma di talento” (Baldacci, 2003).

Docenti, genitori, educatori ed educatrici, assistenti all’autonomia e alla comunicazione, collaboratori, devono però saper tradurre concretamente tale dimensione. Agli insegnanti e alle insegnanti, in particolare, viene richiesta un’elevata corresponsabilità educativa, in assenza della quale la personalizzazione del percorso rischia di finire in secondo piano.

In questo senso, la predisposizione di un progetto individualizzato coincide con la condivisione di uno spazio comune di ideazione, ricerca e azione.

Le persone con disabilità e/o con bisogni educativi speciali posseggono eccellenze il cui riconoscimento richiede scelte rientranti nel medesimo orizzonte culturale. Quando viene a mancare questo sguardo d’insieme, scatta inevitabilmente il meccanismo della delega. Per questa ragione, purtroppo, non di rado, la “stesura” del PEI ricade sull’insegnante di sostegno o su qualche altra figura di riferimento.

Al contrario, le buone pratiche inclusive ci dicono che l’educazione dei bambini e delle bambine fragili presuppone la presenza di adulti fortemente affiatati sul piano personale e coesi su quello professionale. Solo così si potrà realmente costruire il progetto inclusivo della classe, requisito essenziale di un buon PEI.

La corresponsabilità educativa è cosa diversa dalla contitolarità.

I docenti sono contitolari sul piano giuridico in relazione all’assegnazione formale alla classe, ma possono essere distanti per quanto concerne la visione “antropologica” che manifestano nei confronti degli alunni.

Una cosa è certa, la costruzione della classe come comunità di apprendimento richiede la presenza di un gruppo professionale capace di andare oltre la logica del mero adempimento. L’inclusione, infatti, riguarda tutti: la classe si trasforma in uno spazio di prossimità nel momento in cui ogni attore coinvolto ha imparato a “sostenersi” vicendevolmente.

Nella classe, infatti, si creano quei legami amicali e di mutuo aiuto indispensabili per un’autentica crescita di tutti (ragazzi, ragazze e adulti). Dunque, la corresponsabilità educativa del team (scuola dell’infanzia e primaria) e del consiglio di classe (secondaria di I e di II grado) rappresenta il requisito basilare della qualità di una scuola inclusiva.

 

Valutazione e inclusione

La necessità di lavorare come gruppo professionale è richiesta in vari momenti del lavoro dell’insegnante, in particolare nella valutazione didattica periodica e finale. Il rapporto, infatti, tra inclusione e valutazione degli apprendimenti è sostanziale. A questo proposito le Indicazioni nazionali – 2012 (infanzia e primo ciclo di istruzione) offrono un importante spunto di riflessione. Nella parte relativa all’Organizzazione del curricolo, si afferma che

           la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.

Nella citazione sono comprese le tre principali funzioni della valutazione:

  • diagnostico-iniziale (precede);
  • formativa o di processo (accompagna);
  • sommativa o di bilancio (segue).

Essa non si pone, dunque, solo come punto di arrivo di un percorso; al contrario, la fase dell’accertamento ha senso sono se vengono rispettate le due precedenti funzioni: diagnostica e formativa. La valutazione assume, pertanto, un’azione proattiva, di attribuzione di valore e di incoraggiamento ad imparare.

Infatti, come sottolineato nelle Indicazioni-2012, rimanda ad un atteggiamento in cui l’insegnante non si limita a quantificare, ma è desideroso di conoscere l’allievo: caratteristiche, potenzialità, punti di forza, criticità, propensioni.

Attribuire valore, infatti, significa avvertire il bisogno di sentirsi coinvolti e di promuovere la partecipazione attiva della persona valutata. In questo senso, la valutazione è per sua natura inclusiva.

Ma come tutte le funzioni complesse, presuppone il superamento di logiche individualistiche che tendono ad assolutizzare punti di vista, spesso errati.

La valutazione inclusiva è comprensiva dell’intero processo di apprendimento: oltre al profitto, si considerano anche l’atteggiamento verso l’apprendimento, la responsabilità, la costanza, i progressi maturati, l’impegno…  Agli insegnanti sono richieste, pertanto, doti personali, capacità di confronto, elevate competenze professionali.

Per queste ragioni, è bene partire con il piede giusto e valorizzare il più compiutamente possibile la fase della valutazione diagnostico-iniziale, che spesso disattesa.

Non a caso, nelle Linee guida, allegate al decreto interministeriale 182/2020, che ha introdotto il modello nazionale di PEI, recentemente “ripristinato” dal Consiglio di Stato nella sentenza del 26 aprile scorso, si afferma che

     l’osservazione dell’alunno è il punto di partenza dal quale organizzare gli interventi educativo-didattici.Si rammenta inoltre che, nella valutazione degli allievi con disabilità il principio guida è “il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali”.

La medesima prospettiva viene esplicitata nell’ordinanza ministeriale 172/2020 che ha introdotto, nella scuola primaria, il giudizio descrittivo al posto dei voti. L’ottica, si afferma nell’ordinanza, è la valutazione per l’apprendimento, che ha carattere formativo poiché le informazioni rilevate sono utilizzate anche per adattare l’insegnamento ai bisogni educativi concreti degli alunni e ai loro stili di apprendimento, modificando le attività in funzione di ciò che è stato osservato e a partire da ciò che può essere valorizzato.

Nella predisposizione del PEI, la valutazione diagnostico-iniziale è di fondamentale importanza; coincide, infatti, con uno sguardo prospettico sull’alunno fragile visto nelle trame relazionali dei vari contesti di riferimento: famiglia, sezione/classe, gruppo dei pari. Questo sguardo lungo richiede, da parte dei docenti, un lavoro ad elevato tasso di collegialità e partecipazione, come peraltro affermato nella normativa fin dagli anni Settanta del secolo scorso.

 

La progettazione partecipata

 Giancarlo Cerini ha scritto che

    una corretta cultura della valutazione si costruisce attraverso un processo partecipato, un lavoro di ricerca, una mirata formazione in servizio… La valutazione è una mossa riflessiva e ricorsiva e serve per: conoscere, riflettere, decidere, intervenire, regolare e controllare. Il valore formativo della valutazione (che parte sempre dalla conoscenza) si esplica lungo l’intero percorso (Cerini, 2021).

Osservazioni illuminanti! Come tradurre concretamente queste riflessioni, soprattutto nella fase della valutazione iniziale, determinante per una corretta progettualità in chiave inclusiva?

 Considerato che il punto di partenza è dato dalla valutazione diagnostica, nel Piano per l’inclusione ogni scuola deve prevedere l’utilizzo di strumenti che vincolino il comportamento di tutti i docenti del team e del consiglio di classe.

Come esplicitato nello schema sotto riprodotto, una buona valutazione iniziale consente di mettere a fuoco le coordinate di un’efficace progettualità personalizzata, che non è un momento a sé stante, ma si configura già come rappresentazione concreta del PEI.

Immagine1

Per fare tutto ciò, potranno essere utilizzati vari strumenti di osservazione. L’importante è che vengano rispettati alcuni essenziali requisiti. I dispositivi impiegati devono essere selettivi (rilevare solo gli aspetti generativi) e funzionali alle finalità che si intendono conseguire.

 

L’autointervista, strumento di costruzione del team

Esistono diversi modi di team building; un gruppo diventa tale quando i membri che lo compongono si conoscono, aumentano il livello di collaborazione, stima reciproca, ascolto, empatia, motivazione, … Si impara in tal modo a lavorare per obiettivi, valorizzando le potenzialità di ogni singola persona. Lo scopo finale è far sì che il gruppo si senta sempre più squadra, creando legami di interdipendenza, appartenenza e di mutuo aiuto.

Un dispositivo agile e particolarmente efficace ai fini della coesione del gruppo, può risultare l’autointervista, cioè una forma di interazione tra i docenti del team, sulla base di uno schema precedentemente elaborato e condiviso, che si configura come

     uno strumento con il quale i docenti possono analizzare la loro prassi didattica per migliorarne l’efficacia… Aiuta il singolo docente a riflettere sulle modalità del proprio insegnamento, ne   aumenta la consapevolezza e favorisce l’elaborazione di strategie di programmazione retroattiva e proattiva. (Marasso-Mosca, 2000)

Nel caso della progettazione del PEI, si tratta di mettere a fuoco alcuni essenziali aspetti che stanno alla base di un progetto individualizzato (personalizzato) cercando, attraverso una forma dialogica, di “mettere a terra” il modus operandi di ogni docente (punti di forza e di criticità).

Gli snodi sui quali focalizzare la progettazione partecipata del PEI (PDP) sono i seguenti:

  1. il rapporto che ogni docente del team o del consiglio di classe ha con i genitori degli alunni con disabilità, con disturbo specifico di apprendimento e con bisogni educativi speciali;
  2. la relazione di ogni insegnante con gli allievi fragili all’interno del gruppo classe;
  3. gli adattamenti disciplinari, gli strumenti compensativi, le misure dispensative e altri dispositivi, che ogni docente intende attivare nel proprio insegnamento;
  4. le forme della mediazione didattica: lezione frontale (come?), attività di gruppo, di coppia, peer tutoring, … che determinano la qualità di una classe inclusiva.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché sta alla base dell’organizzazione di una classe realmente inclusiva dove la “risorsa compagni” diventa il volano dell’integrazione stessa.

In questo contesto, l’autoriflessione dell’insegnante costituisce la chiave di volta per gettare le basi di una prima progettualità sulla quale verrà definito il progetto educativo individualizzato.

Nel prossimo approfondimento vedremo come concretamente può essere impiegato dai docenti questo particolare strumento di lavoro in coerenza con i quattro punti sopra richiamati. (continua)

Luciano Rondanini

 

 

Bibliografia

Baldacci M. (2003), Individualizzazione, da “Voci della Scuola”, a cura di Cerini G. e Spinosi M., Tecnodid, NapoliMarasso O. e Mosca S. (2000), Autovalutazione dell’insegnamento, sta in Barzanò G-Mosca S.-Scheerens J., L’autovalutazione nella scuola, Bruno Mondadori, Milano  Cerini G. (2021), Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, Napoli

Progettare il Piano Educativo Individualizzato

Chi ben comincia…

Settembre, tempo di futuro!
L’inizio di un nuovo anno comincia all’insegna dell’attuazione degli interventi previsti nel Piano triennale dell’offerta formativa che ogni scuola intende realizzare.

Tra i documenti progettuali più importanti che i docenti devono predisporre ci sono il Piano educativo individualizzato (PEI) per gli alunni con disabilità e il Piano didattico personalizzato (PDP) per gli allievi con disturbo specifico di apprendimento e con bisogni educativi speciali.

Si tratta dei dispositivi ampiamente rappresentativi della qualità dei processi inclusivi per i soggetti più esposti ai rischi di vulnerabilità personale, culturale e sociale.

PEI e PDP rappresentano gli strumenti chiave del processo di crescita di queste fasce di “utenti” e devono essere inquadrati nel più generale Piano per l’inclusione che le scuole sono tenute a preordinare, come indicato nel decreto legislativo 66/2017. In assenza di uno sforzo congiunto tra la progettualità dell’istituzione scolastica e le azioni concrete che gli insegnanti mettono in atto, giorno dopo giorno, verrebbe meno il principio stesso dell’inclusione.

Che cosa è avvenuto negli ultimi tempi e in particolare nell’anno che si è appena concluso?

Per quanto concerne gli alunni con DSA non sono intervenuti cambiamenti di particolare rilevanza. Infatti, gli insegnanti della classe continuano a programmare le attività previste nel Piano didattico personalizzato sulla scorta di quanto previsto nelle Linee guida (DM 5696 del 12 luglio 2011), approvate dopo l’emanazione della legge 170/2010. Nell’ambito della discrezionalità di cui godono le istituzioni scolastiche in virtù dell’autonomia, ogni istituto ha elaborato in quest’ultimo decennio un proprio modello di PDP, la cui progettualità, pertanto, non ha conosciuto variazioni particolari.  

Vanno segnalate, invece, importanti novità sul versante dell’inclusione degli alunni con disabilità certificata ai sensi dell’art.3 della legge 104/1992.

Riportiamo sinteticamente i fatti relativi agli ultimi due anni.

Nel decreto legislativo 66/2017 e in quello successivo, d.lgs. 96/2019, entrambi attuativi della legge 107/2015, è stata prevista da parte del Ministero dell’Istruzione l’adozione di un modello nazionale di PEI, secondo l’approccio bio-psico-sociale dell’ICF (Organizzazione mondiale della sanità, 2001). Tale esigenza risultava indifferibile in quanto, dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi, ogni istituzione scolastica ha agito in assoluta libertà determinando una pletora di modelli difficilmente comparabili tra loro, con conseguente difformità tra una scuola e l’altra. L’attribuzione dell’autonomia, avvenuta tra il 1997 (legge 59) e il 1999 (Regolamento attuativo – DPR 275), ha accentuato anziché alleggerito tale disparità.

Così il 29 dicembre 2020 il Ministero dell’Istruzione e il MEF hanno ottemperato a quanto previsto dalla normativa, emanando il decreto interministeriale 182, con allegate le Linee guida e il modello nazionale di PEI per ognuno dei quattro gradi scolastici (dalla scuola dell’infanzia all’istruzione superiore).

Quando tutto sembrava andare per il meglio, primo colpo di scena: il 14 settembre 2021, ad anno scolastico avviato, il TAR del Lazio, con sentenza n. 9795, ha annullato il decreto 182, allegati e modelli compresi, riportando le lancette dell’orologio all’a.s. 2019-2020.

Le eccezioni sollevate dai giudici del Tribunale amministrativo hanno riguardato in particolare la composizione e le funzioni del Gruppo operativo di lavoro (GLO), al quale compete la definizione del PEI. Al fine di garantire la necessaria continuità al processo di inclusione scolastica, il Ministero dell’Istruzione, con un’apposita nota (n. 2044 del 17 settembre), ha fornito alle scuole chiarimenti e indicazioni in modo da assicurare il diritto allo studio, costituzionalmente garantito, agli alunni con disabilità e ha confermato che l’adozione del PEI avvenisse entro il 30 ottobre, come indicato nei decreti legislativi 66/2017 e 96/2019.

Nei mesi successivi però lo stesso Ministero ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensione della Sentenza del TAR del Lazio.

Si è così arrivati, nella scorsa primavera, al secondo colpo di scena. Infatti, non senza qualche sorpresa, il Consiglio di Stato con la Sentenza 26 aprile 2022, n. 3196, ha accolto il ricorso del Ministero dell’Istruzione e del MEF, precisando che il Decreto interministeriale 182/2020 non lede interessi concreti, sancendone di conseguenza la piena legittimità. Così, il Decreto 182 è ritornato a produrre effetti nel nostro ordinamento con tutto il suo originario contenuto.

Che fare?

Senza voler entrare nei dettagli di questa controversia, per molti aspetti paradossale, si vogliono fornire agli insegnanti alcuni essenziali elementi di riflessione anche e soprattutto in chiave operativa.

Va precisato che i molti docenti che dal mese di gennaio 2021 si sono resi disponibili a partecipare ad una serie di incontri formativi on line (si era in piena pandemia), organizzati dal Ministero dell’Istruzione, hanno sollevato non poche perplessità circa il modello nazionale di PEI, ritenendolo fortemente ordinativo e quasi esclusivamente esercitativo: una sorta di “libretto delle istruzioni” con scarsissimi elementi di flessibilità sia per gli insegnanti che per le istituzioni scolastiche.

A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, nell’a.s. 2022-2023, le scuole adotteranno il modello nazionale, senza confliggere, in ogni caso, con le eccezioni sollevate dal TAR del Lazio nel settembre 2021. Il GLO, pertanto, composto dai docenti della classe, dai genitori dell’alunno con disabilità, compresi professionisti indicati dalla famiglia, dovrà procedere, pur con le dovute cautele, ad utilizzare il modello nazionale nel frattempo “ripristinato”.

Come e quali sono le condizioni che determinano la definizione di un PEI efficace, inteso come effettivo strumento di una scuola inclusiva?

La progettazione del piano educativo individualizzato presuppone la condivisione, da parte dei docenti, di almeno tre centralità:

  1. l’adesione ad una comune cornice pedagogica;
  2. la corresponsabilità del team (infanzia e primaria) e del consiglio di classe (secondaria di primo e secondo grado);
  3. la qualità delle procedure riguardanti la valutazione didattica, tenuto conto che il PEI e il PDP sono il riferimento essenziale della valutazione degli apprendimenti degli allievi con disabilità, con DSA e con BES.

Si tratta di requisiti strettamente correlati tra loro, che presuppongono una gestione unitaria da parte dell’istituzione scolastica chiamata ad orientare in modo chiaro ed esplicito il comportamento degli insegnanti (e anche dei genitori).

Queste condizioni, a mio avviso, costituiscono il filo rosso di un efficace Piano per l’inclusione che le scuole devono predisporre come parte integrante del PTOF.

Il sistema di coerenze della scuola

Relativamente al punto 1), la predisposizione di un “buon” piano educativo individualizzato (personalizzato) presuppone che ogni istituzione scolastica, in particolare la leadership del dirigente e lo staff di gestione, definiscano un essenziale Piano per l’inclusione che vincoli (in parte) il comportamento degli/delle insegnanti. L’inclusione, infatti, è un processo pragmatico che deve orientare in modo mirato alcune fondamentali azioni che tutto il personale educativo (e non) della scuola è tenuto a rispettare. È ampiamente dimostrato che i modelli “fai da te” non producono effetti positivi, anzi portano spesso a forme di conflittualità (palese o latente), a scarsa collegialità e partecipazione.

Sul piano, dunque, della costruzione di una cultura pedagogica inclusiva, agli insegnanti deve essere richiesto, come prevede la normativa, di condividere il punto-chiave posto alla base dell’integrazione, cioè l’adesione convinta al principio della personalizzazione educativa.

Personalizzare un percorso significa agire in modo che la fragilità di ogni alunno venga riconosciuta attraverso la valorizzazione delle sue potenzialità e facendo sì che ognuno possa dare il meglio di sé.

Costruire concretamente scuole inclusive significa abbandonare “la prigionia dello stereotipo”, lasciarsi interpellare dalla fragilità e superare modelli standardizzati di insegnamento che tutt’al più soddisfano livelli medi di apprendimento, tagliando fuori sia gli alunni che faticano a raggiungere standard essenziali, sia i più talentuosi ad alto potenziale intellettivo (gifted children).

Non stiamo parlando di un esercizio accademico, ma delle fondamenta su cui costruire la casa, con unico obiettivo: il desiderio di camminare insieme!

Con questo primo contributo diamo l’avvio ad una rubrica che si occuperà di accompagnare i docenti e le docenti nella progettazione di un piano educativo personalizzato efficace, che sia concretamente inclusivo. Nei prossimi articoli affronteremo nello specifico i punti 2) e 3).

Luciano Rondanini