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Tag: pedagogia

Ricordare Danilo Dolci a cento anni dalla nascita

“Se l’occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l’uomo  non immagina, si spegne.”

Versi tratti dalla poesia “Il limone lunare”

Impiegare la propria esistenza per dare valore non solo alla propria ma soprattutto a quella degli altri è l’assunto che caratterizza Danilo Dolci come poeta, sociologo, educatore.

Danilo Dolci va ricordato per le azioni e l’impegno volti all’emancipazione sociale, nella volontà incondizionata di assumere la lotta non violenta come testimonianza e messaggio di vita.

La figura di Danilo Dolci può essere compresa in riferimento alle trasformazioni civili e politiche che hanno interessato gli anni cinquanta e sessanta, anni di profondi cambiamenti che lo vedono protagonista con la pubblicazione di inchieste sociali quali “Banditi a Partinico”, in cui affronta la realtà alla base del banditismo collegando i temi del come si vive, come si amministra, come si educa, come si assiste e si cura. Le sue analisi sono sempre tese a promuovere azioni politiche e morali dal basso, a offrire soluzioni concrete per il benessere quali possono essere i servizi, l’acqua, la casa, la scuola. Norberto Bobbio ha colto come la via intrapresa da Danilo Dolci non abbia fatto distinzioni tra predicare e agire e abbia fatto risaltare la buona predica dalla buona azione. Intuizioni innovative sul piano del pensiero e su quello dell’agire che hanno condotto Danilo Dolci a richiamare l’attenzione con uno sciopero della fame che sarà la molla per una amicizia profonda con Aldo Capitini, filosofo del Movimento Nonviolento italiano che nel 1961 promuoverà la prima marcia della Pace Perugia-Assisi.

Danilo Dolci nasce come poeta, ma desiderava capire la realtà siciliana, soprattutto quella delle zone più povere e marginali, per dar vita a trasformazioni nonviolente. Segue l’esperienza di Nomadelfia, la comunità utopica fondata da don Zeno Saltini, che nel dopoguerra accoglieva orfani e famiglie indigenti.

La sua idea di scuola connota il suo essere educatore innanzitutto, piuttosto che teorico della pedagogia perché gli interessa sempre come intervenire, come cambiare la società. Con il Centro Studi di Trappeto (Partinico) e la lotta contro la mafia sarà conosciuto come “profeta della non violenza”, come il Gandhi della Sicilia o il Gandhi italiano.

Danilo Dolci ha lavorato per seminare, costruire, testimoniare una coscienza sociale e per l’educazione possiamo riprendere quanto detto da John Dewey per cui: “Tutta l’educazione si svolge nel senso di una progressiva partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della comunità”. Ha avuto tanti sostenitori lungo il suo cammino, da Italo Calvino a Bertrand Russel ma anche tanti oppositori e denigratori che non gli hanno tuttavia impedito lunghe battaglie fatte anche di digiuni e mobilitazioni popolari.

Come educatore si è impegnato per una scuola interessata al sociale, alla condivisione, per una politica fatta di slancio ideale, formazione alla democrazia e non ideologismo. Il suo sguardo è stato rivolto non allo schierarsi ma alla liberazione, concependo l’esistenza come processo creativo. Ha privilegiato la domanda e l’esplorazione per cercare ciò che non appare, che supera la consuetudine del fare. La domanda come costruzione: una pedagogia maieutica. Pioniere e precursore della tecnica del circle time, ha favorito sempre il dibattito e l’approfondimento, chiedendo alle sue alunne e ai suoi alunni di parlare non tanto degli scopi che perseguono quanto dei loro sogni perché ciascuno possa essere protagonista e creatore della propria esistenza. Negli anni settanta è stato forte il suo impegno nel diffondere l’esperienza di educatore con il Centro Educativo di Mirto presso Partinico, oggi riconosciuto come una delle migliori scuole sperimentali nate in Italia.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo,
aperto ad ogni sviluppo
ma cercando d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

La Scuola Primaria ci aspetta!

Siamo pronti e pronte a salutare la Scuola dell’Infanzia?

Il passaggio dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola Primaria rappresenta un momento importante per bambini e bambine ma anche per genitori e docenti che hanno il compito di accompagnarli in questo tempo di cambiamento.

La primavera è arrivata e l’anno scolastico ormai sta per terminare. È tempo di uscite didattiche, visite, feste, è un tempo importante per osservare il percorso di sviluppo vissuto da ciascun bambino e ciascuna bambina, ed è tempo di osservare se ciascuno è pronto per il passaggio alla Scuola Primaria.

 Ma cosa significa essere pronti per il passaggio alla Scuola Primaria? Come possiamo dire se un bambino, una bambina, è pronto, pronta per la classe prima? 

Attraverso un’osservazione attenta possiamo dire quali abilità e conoscenze si sono sviluppate e come ciascun bambino abbia raggiunto le competenze richieste per poter sostenere gli apprendimenti successivi relativi alla Scuola Primaria.

Possiamo osservare lo sviluppo di abilità cognitive, percettive, emotive e motorie non perdendo di vista però la motivazione, la creatività e la curiosità ad apprendere.

I bambini e le bambine che iniziano la Scuola Primaria si trovano ad affrontare situazioni note ma anche non note, chiediamoci se possiedono le strategie e gli strumenti per affrontare serenamente le nuove sfide di apprendimento.  

Siamo riuscite durante il periodo di frequenza alla Scuola dell’Infanzia a dedicare spazio per promuovere lo sviluppo dell’autonomia in modo che ciascun bambino davanti ad un nuovo compito, problema o sfida formuli ipotesi ponendo domande e/o individuando possibili azioni e soluzioni? Ancora, possiedono le strategie per orientarsi di fronte ad una nuova attività? Possiamo dire che hanno acquisito i prerequisiti necessari per gli apprendimenti relativi all’area della scrittura, della lettura e del calcolo che incontreranno alla Scuola Primaria? E infine, ma non meno importante, abbiamo con loro raggiunto competenze trasversali ai cinque campi di esperienza della Scuola dell’Infanzia?

Queste alcune delle domande che possiamo porci per osservare, valutare e valorizzare il percorso vissuto da ciascun bambino durante gli anni della Scuola dell’Infanzia e per rispondere a queste domande possiamo proporre, nella fase finale dell’anno scolastico, alcune attività trasversali come quelle presentate di seguito. 

Attività 1: Costruire l’invito per la propria festa di compleanno.
Presentiamo e consegniamo il materiale che decidiamo di utilizzare, accompagniamo poi i bambini e le bambine alla realizzazione del biglietto promuovendo dialogo, confronto e riflessioni relative ai cinque campi di esperienza.

attivita 1


Attività 2: Inventare una canzone
Un’altra attività può essere inventare una canzone, ad esempio, per la festa di fine anno, pensando al testo e alle musiche. Anche in questa attività possiamo coinvolgere tutti i campi di esperienza con alcune domande che stimolano la riflessione, la motivazione e la creatività.

attivita 2

Proporre attività mettendo in luce l’interazione tra i campi di esperienza consente di osservare molteplici abilità, conoscenze e competenze relative a diverse aree dello sviluppo.

Siamo quindi pronti per la Scuola Primaria? Chiediamolo alle bambine e ai bambini e coinvolgiamoli in attività ed esperienze che permettano loro di scoprirlo e raccontarlo insieme.

Scopri la Guida Didattica “Una girandola di esperienze
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It’s time to move and learn!

Il corpo e il movimento come strumenti di apprendimento (e di divertimento) della lingua inglese.

“Everything in the universe has a rhythm, everything dances.”

Questa meravigliosa affermazione di Maya Angelou si applica perfettamente a qualsiasi lezione di inglese.

Quindi, perché non esplorare “la danza” della conoscenza in classe e “muoversi al ritmo” dell’apprendimento?

Gli studenti della scuola primaria imparano meglio attraverso il gioco e il movimento perché permette loro di comprendere la lingua in modo naturale e interattivo. Il metodo di insegnamento TPR prevede l’uso del movimento fisico e della gestualità per aiutare i bambini e le bambine ad associare parole e frasi alle azioni, in modo che l’apprendimento della lingua diventi significativo. Fare collegamenti tra i movimenti del corpo e gli elementi lessicali aiuta i bambini e le bambine a trattenere le nuove informazioni perché dà significato e contesto.

Nel nuovo webinar It’s time to move and learn, daremo uno sguardo al metodo TPR, perché e come applicarlo nell’apprendimento delle lingue, nonché alle attività pratiche e pronte per l’uso tratte dal nuovo corso di inglese Hello World. Vedremo come possiamo far muovere e imparare i nostri bambini e bambine, ballare e ricordare, recitare e cantare, rendendo il loro percorso di apprendimento più coinvolgente!

Il percorso dell’apprendimento continuo non passa solo attraverso gli ambiti linguistici, ma attraversa anche ambiti sociali ed emotivi essenziali per la crescita di un bambino. Del resto, come affermava Aristotele circa 2400 anni fa, “Educare la mente senza educare il cuore non è affatto educazione”.

Con questo in mente, in questo webinar discuteremo dell’importanza di concentrarsi non solo sullo sviluppo degli aspetti cognitivi dei bambini (la mente), ma anche di altre qualità che ci rendono umani (il nostro cuore), in altre parole parleremo di SEL (Apprendimento sociale ed emotivo.)

Condividerò suggerimenti e idee su come le nostre lezioni di lingua possano essere inclusive potenziando l’intelligenza sociale ed emotiva dei nostri piccoli studenti e studentesse. Attraverso le attività suggerite, i bambini e le bambine potranno iniziare a identificare le proprie emozioni, imparare a gestire lo stress ed essere consapevoli che l’amore è universale tra tutti gli esseri viventi.

Siete tutti e tutte più che benvenuti a unirvi a me online mercoledì 20 marzo alle ore 17.00, per condividere opinioni e imparare gli uni dagli altri. Ci vediamo tutti e tutte lì!

Katerina Nikolla

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ENGLISH VERSION

“Everything in the universe has a rhythm, everything dances.”

 This pearl of wisdom from Maya Angelou perfectly applies to any language classroom.

So, why not explore the “dance” of knowledge in the class and move to the “rhythm” of learning?

Primary school students learn best through play and movement because it allows them to understand language in a natural and interactive way. The TPR teaching method involves using physical movement and gestures to help children associate words and phrases with actions, so the language learning becomes more memorable. Making connections between body movements and lexical items helps children retain the new information because it gives meaning and context

In my new webinar, we are going to take a look at the TPR method, why and how to apply it in the language learning as well as practical, ready to use activities from the newly released Hello World coursebooks for students of primary school. Let’s see how we can make our kids move and learn, dance and remember, act and chant, making their learning journey more engaging!

The vibrant classroom is only a glimpse into the vast world which our little learners explore and discover every day and every moment. The path of continuous learning passes through not only linguistic fields but it also crosses essential social and emotional areas of a child’s growth After all, as Aristotle said some 2400 years ago, “Educating the mind without educating the heart is no education at all”.

With this in mind, in this webinar we will discuss the importance of not only focusing on developing the cognitive aspects of the children (minds) but also other qualities that make us human (our hearts), in other words, we will talk about SEL(Social and  Emotional Learning.)

I am going to share tips and ideas on how our language lessons can be inclusive by empowering the social and emotional intelligence of our little learners. Through the activities suggested, children may start identifying their emotions, learn how to handle stress and be aware that love is universal between all living.

You and your teacher fellows are more than welcome to join me online on Wednesday 20th of March, to share views and learn from each other. See you all there!

Katerina Nikolla

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La musica: un linguaggio da scoprire

Qual è il ruolo della musica negli ambienti educativi e didattici?

Musica una parola che utilizziamo moltissime volte al giorno e in diversi contesti. Ma cosa intendiamo quando parliamo di musica? E qual è il ruolo della musica negli ambienti educativi e didattici?

Musica dal greco antico mousikè, “arte delle Muse”, è l’arte di creare e di produrre con la voce, con il corpo e con gli strumenti.

Possiamo dunque riflettere su quanto la musica assuma un’importanza fondamentale. Ragioniamo ad esempio sul repertorio di canzoni che proponiamo nei contesti educativi. Sono sempre le stesse o variano? Quali canzoni scegliamo? Quando e perché prevedere delle canzoni o delle melodie? Tutto dipende molto dallo scopo, da come vogliamo che la musica accompagni i bambini e le bambine durante le diverse attività.

Possiamo infatti pensare a un sottofondo musicale per aumentare la concentrazione finché i bambini disegnano o costruiscono qualcosa sperimentando la motricità fine. La musica può essere utilizzata per accompagnare attività di rilassamento, prima del riposo pomeridiano o dopo attività molto stimolanti come l’attività motoria.

Semplici canzoni possono contribuire a potenziare la memoria e facilitare attraverso il testo e la melodia l’apprendimento delle fasi per compiere un compito. Ad esempio, la canzone di Mary Poppins “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù” può essere utilizzata per riordinare gli spazi dopo aver giocato e/o lavorato oppure la canzone “Clean up”  per riordinare insegnando nel contempo parole in lingua inglese.

Inoltre, osserviamo, ad esempio, come musiche differenti possono influenzare l’approccio alle diverse tecniche di pittura, la postura negli spazi di lavoro (disegno a terra, a tavolino, a muro, a cavalletto) e come cambiando le musiche, cambiano le esperienze che i bambini vivono sperimentando tecniche posture e soprattutto emozioni differenti in base ai brani proposti.

Ancora, una canzone ci può aiutare per favorire nei bambini la percezione del tempo che passa e nello specifico, il tempo da dedicare a una attività. Ad esempio, per indossare le scarpe per andare in giardino abbiamo il tempo di una canzone. Sembra una magia ma la musica può facilitare e velocizzare le azioni e molto spesso può contribuire alla motivazione e i bambini si ritrovano a fare una gara con se stessi per terminare il compito sempre prima e godersi poi la parte di canzone restante.

E avete mai sentito bambini cantare una canzone “pasticciando” con le parole nuove sentite per la prima volta? Ci stanno comunicando che non le conoscono che magari non le hanno mai sentite e non ne conoscono nemmeno il significato. Quando ci soffermiamo sulla parola e diamo loro consapevolezza del suono e del significato il gioco è fatto! La parola è diventata una nuova parola da inserire nel proprio vocabolario.

MA DA QUANDO POSSIAMO ESPORRE IL BAMBINO ALLA MUSICA?
Naturalmente da subito, dal concepimento ogni singolo momento della giornata può essere accompagnato da musiche differenti. La musica ci accompagna, infatti, ben prima della nascita. In particolare, le ricerche relative al periodo prenatale ci mostrano come già durante la gravidanza si sviluppino le primissime capacità percettive per cui anche la musica presente nell’ambiente esterno possa essere percepita dal feto nel grembo materno.

PERCHÉ LA MUSICA È IMPORTANTE PER LO SVILUPPO DEI BAMBINI?
La musica è da sempre considerata fonte e strumento di espressione emotiva ma non solo, la musica può avere un impatto anche sugli aspetti socio-relazionali, motori e cognitivi.

È NECESSARIO ESSERE MUSICISTI PER FAR FARE AI BAMBINI ESPERIENZE MUSICALI?
Il musicista è fondamentale per far fare esperienze specifiche in base alle abilità e alle potenzialità di ciascun bambino e bambina. Ma , ma ricordiamoci che il bambino è quotidianamente esposto alla musica. Per esempio, possiamo scorgere caratteristiche musicali anche analizzando le nostre interazioni verbali. Ritmo, intonazione della voce, pause sono solo alcuni degli aspetti da considerare.

Ma ora vogliamo fare un esempio concreto e presentarvi un’attività musicale da svolgere facilmente. Scopo principale dell’attività è lavorare sulla spazialità dei suoni, sul riconoscimento timbrico e la discriminazione dei suoni.

Attività: segui il suono

Tutti i bambini in cerchio nascondono un piccolo oggetto sonoro o uno strumento dietro la schiena. Al centro un bambino dovrà avvicinarsi solo al/ai bambini che stanno suonando.

Variazione: con lo stesso setting, dare ad un solo bambino del cerchio una campanella. I bambini suoneranno tutti insieme, ma il bambino al centro dovrà avvicinarsi solo a chi ha suonato la campanella

… e ora non ci resta che divertirci a suon di musica!

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Si gioca!

L’importanza del gioco in età infantile

Quante volte abbiamo sentito dire: sta solo giocando!
Questa affermazione ci fa pensare che il gioco sia una perdita di tempo, un’attività di poca importanza. Ma noi docenti della scuola dell’infanzia sappiamo bene che non è così.

Cosa intendiamo esattamente con il termine GIOCO?

Il gioco ha un ruolo fondamentale nello sviluppo perché permette al bambino di sperimentare prima e di consolidare poi ciò che ha appreso sia dal punto di vista cognitivo che socio-affettivo.

Giocare implica un’azione, un’attività liberamente scelta dal bambino o bambina che può svolgere da solo e/o in gruppo senza avere specifici scopi.

Possiamo dunque comprendere quanto importante sia che i bambini giochino da soli o in compagnia di altri bambini.

Partiamo proprio dalla domanda più semplice: PERCHÈ È IMPORTANTE GIOCARE?

Se chiediamo a un bambino: cosa ti piace fare di più durante il giorno? Con molta probabilità ci risponderà giocare! E già questa è una motivazione che ci riconduce al benessere del bambino. Giocare fa star bene. Giocare è una scelta quotidiana di bambini e bambine. Ma per avere una risposta ancora più precisa possiamo andare indietro nel tempo e scoprire che il gioco è da sempre una, anzi direi, la forma di apprendimento più naturale, spontanea ed efficace.

Con cosa giocavano i bambini una volta?
I bambini dell’antichità utilizzavano giochi, passatempi e giocattoli simili a quelli di oggi, sia nella forma che nella sostanza. Avevano a disposizione numerose opportunità di gioco, i primi veri e propri giocattoli riproducevano armi ed aratri. Grazie soprattutto ai giochi, i bambini imparavano a conoscere ruoli e comportamenti.

Possiamo dunque affermare che il gioco permette al bambino di conoscere l’ambiente che lo circonda e di interagire con esso, e come per qualsiasi altra attività che il bambino compie, noi educatori dobbiamo porre la nostra attenzione, non su un presunto risultato, ma sull’intero processo che viene messo in atto dal bambino stesso che lo porta poi ad apprendere.

Oggi possiamo definire il gioco come un’esperienza ludica che permette al bambino di manifestare la propria attività personale, spontanea e intenzionale indispensabile alla sua crescita. Il gioco spontaneo, è utile per rinforzare la propria autonomia, per la promozione e lo sviluppo dell’intenzionalità.
Si gioca per osservare, per entrare in relazione, per rilassarsi, per imparare, per divertirsi per riempire di significato il mondo che sta attorno al bambino.

Compresa l’importanza del gioco chiediamoci:

Dove si gioca?
È importante considerare che c’è uno spazio per ogni gioco. Non possiamo infatti far giocare un bambino in uno spazio non adatto che richiede il continuo intervento dell’adulto che deve fornire regole, affinché il bambino non si faccia male, o non danneggi il materiale.  E’ bene preparare gli spazi a priori.
Gli spazi vanno preparati!
Pensiamoli, progettiamoli e organizziamoli con cura.

Il materiale che il bambino trova all’interno dello spazio gioco è fondamentale per determinare l’esperienza che farà.
Ricordiamoci che il bambino ha necessità di vivere e dunque giocare anche e soprattutto all’aperto. Oltre ai benefici fisici ha infatti la possibilità di aumentare le occasioni di scoperta, di meraviglia e di movimento.

Possiamo concludere ribadendo che il gioco è fondamentale per lo sviluppo di ogni bambino e bambina, lo stesso contribuisce al benessere fisico, cognitivo, emotivo e sociale.

Il GIOCO è un diritto inviolabile ed inscindibile di ogni bambino e perché no, di ogni adulto!

Patrizia Granata
Coordinatrice del progetto didattico-educativo “Una girandola di esperienze“.

 

Vuoi conoscere meglio il progetto?  Clicca l’immagine!

L’osservazione all’inizio dell’anno scolastico

Quali strumenti a disposizione dell’insegnante?

Sta per iniziare il nuovo anno scolastico e i bambini e le bambine tra i 3 e i 6 anni stanno per cominciare o ricominciare il proprio percorso. Arrivano da un’estate ricca di esperienze, di emozioni, di curiosità e di voglia di raccontare.

Ma io docente sono pronta? Sono pronta a osservare, a conoscere, a documentare il livello di partenza di ciascun bambino e bambina che incontrerò alla scuola dell’infanzia? Quali abilità avrà acquisito durante l’estate, con quali abilità comincerà la scuola?Avrei bisogno di strumenti, strumenti specifici necessari per organizzare dal punto di vista didattico-educativo il nuovo anno.

Per iniziare a progettare le attività, ecco una proposta per te, estratta dal progetto:
Una girandola di esperienze. In viaggio con Neurones verso i prerequisiti

 

Facciamo subito un esempio, prendiamo il quaderno operativo secondo livello, a pagina 34.

L’attività “Il volume della mia voce” mi aiuta a  capire se il bambino o la bambina della mia classe, se ciascun bambino e bambina del gruppo con cui lavoro ha acquisito o non ha acquisito l’abilità di utilizzare il tono di voce adeguato nei vari contesti sociali.

 

Se possiede l’abilità, posso progettare attività che gli permettono di procedere nel suo sviluppo, nel suo percorso di crescita, se non l’ha ancora acquisita posso lavorare con attività che vanno a potenziarla.

Registrata l’osservazione posso procedere. Ma Come?

 Devo osservare attentamente come ogni bambino svolge l’attività, quali domande pone, come si comporta di fronte a questa esperienza e lo posso scrivere immediatamente nella griglia di osservazione di ciascun bambino.

Andiamo alla relativa pagina della Guida Didattica, a pag. 139, dove potete trovare un esempio per potenziare questa specifica abilità.

 Sulla base di quanto ho osservato posso scegliere anche di proporre  le attività del livello precedente pag. 138.

 

Oppure del livello successivo pag. 140 per potenziare e/o stabilizzare la medesima abilità. 

                                                                                                                                

 

Potenziare, in questo progetto, vuol dire accompagnare ogni bambino a percorrere la sua strada, il suo viaggio, esperienza dopo esperienza, abilità dopo abilità, per arrivare ad acquisire competenze relative ai cinque campi di esperienza.

Ogni attività presentata è pensata con l’obiettivo che ognuno possa trovare la sua misura per apprendere. Senza giudizi, senza frustrazioni, ma al contrario motivando, gratificando con una serie di esperienze che fanno divertire, che fanno coltivare la curiosità che permette di crescere e di apprendere. 

Proprio per questo, “Una girandola di esperienze” ci offre una serie di attività, di esperienze che danno spazio al divertimento, alla possibilità di pensare a modi nuovi, molteplici e creativi di apprendere.

E tu, docente, sarai sempre accompagnata e accompagnato sapendo in quale campo di esperienza stai lavorando, su quale contenuto, in quale abilità e come i bambini stanno procedendo nel loro magnifico percorso di crescita.

A questo punto non ci resta che augurarvi BUON INIZIO!
Buon inizio con consapevolezza e con intenzionalità educativa.
Vi aspettiamo ai prossimi incontri formativi

Le autrici
Patrizia, Laura, Francesca, Anna, Elena

Vuoi conoscere meglio il progetto?  Clicca l’immagine!

La lezione di Rousseau

Tra natura e cultura: un progetto educativo possibile

Un nuovo anno scolastico è già iniziato: esperienze che si ripetono in situazioni consolidate di impegno nella comunità scolastica e, insieme, attività che richiedono slancio progettuale in contesti operativi sempre in trasformazione. La proposta di settembre, per questo nuovo cammino, vuole essere una sosta di riflessione, finalizzata a considerare la valenza di un grande nome dell’educazione, un “estremista” del pensiero filosofico e pedagogico. Un autore che potrebbe sembrare lontano dal nostro tempo, desueto nel linguaggio e nella ricerca, ma che è da ritenere attuale per spessore di analisi e dichiarazione di finalità.

Così iniziamo il cammino con la guida di Jean-Jacques Rousseau, filosofo, pedagogista svizzero (Ginevra, 28 giugno 1712 – Ermenonville, comune francese, il 2 luglio 1778), tra gli autori maggiormente rappresentativi del pensiero del XVIII secolo. Ci avviciniamo a lui come a una fonte critica della realtà che viviamo, considerando la sua teoria sotto gli aspetti sociali, politici e culturali. Rousseau è alla ricerca di una nuova dimensione antropologica, che persegue sollecitando prospettive legislative ed educative finalizzate all’uguaglianza tra gli uomini, visti come cittadini. L’educazione per Rousseau deve fondarsi sull’uomo come essere autonomo, non essere condizionata da norme sociali. L’insegnante educatore dovrà agire in modo da favorire l’evoluzione “naturale” dell’individuo senza forzature, utilizzando una metodologia rispettosa dell’evoluzione di ciascun individuo.

Il livello del suo coinvolgimento nel nostro tempo riguarda  un progetto pedagogico volto ad educare un uomo e un cittadino per una nuova società. Rousseau può essere letto per ritrovare la spinta a un modello culturale che richiama una nuova idea di individuo. Il grande pensatore sviluppa un romanzo pedagogico che narra il rispetto dell’educando nei diversi momenti che caratterizzano la sua età. Nell’ ”Emilio, o dell’educazione”, il testo in cui esplicita la sua visione educativa, egli anticipa l’idea di età evolutiva che solo molto più tardi troverà la sua affermazione scientifica.

L’opera, scritta nel 1762, afferma nelle righe di apertura: “Uscendo dalle mani dell’Autore delle cose tutto è bene, ma tutto degenera tra le mani dell’uomo. Egli costringe una terra a nutrire i prodotti di un’altra, … mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni” (Emilio, Libro primo, I, L’educazione e la natura).

Ecco allora la necessità di una educazione positiva, che metta l’alunno al riparo dalla corruzione della società, che promuova l’apprendimento nel contatto con le cose e gli elementi della natura. Una istanza educativa che manifesta un valore politico che Rousseau definisce in altri testi della sua ampia e articolata produzione.

Per rinnovare la società occorre rifondare l’educazione con il progetto di un “uomo nuovo”, un cittadino forte di una moralità che lo porti a coltivare interessi volti alla relazione con gli altri e alla reciprocità per il bene della collettività.

L’apparente opposizione natura-cultura è destinata quindi a risolversi perché Rousseau sostiene che la bontà naturale dell’individuo non si trova in opposizione alla realtà sociale, alla tradizione e alla cultura. Il destino di Emilio non è vivere lontano dalla società per poter sviluppare le qualità della sua personalità.

E’ l’educazione che permette all’individuo di vivere nella società senza essere travolto e sopraffatto da bisogni che annullano la sua identità. Con l’educazione l’individuo può conquistare la libertà del pensiero critico e l’autonomia dell’agire. Molti aspetti della trattazione di Rousseau ne fanno un pensatore pienamente calato nel suo tempo e lontano dalle istanze della nostra contemporaneità, tuttavia l’affermazione della centralità del bambino lo rendono interessante e coinvolgente. Altro principio fortemente significativo riguarda l’attenzione all’educazione non delle parole ma delle cose che favoriscono la scoperta autonoma del modo da parte dell’alunno che apprende. Emilio è un modello, un allievo ideale ma non per questo inconsistente.  A Rousseau, nella veste di precettore, interessa dimostrare come Emilio possa diventare il cittadino ideale, personalità capace di rappresentare una nuova generazione, una generazione capace di interpretare e dare risposte alle urgenze anche del nostro tempo, in termini di competenze di cittadinanza responsabile e consapevole.

Uomini, siate umani, è il vostro primo dovere; siate umani verso tutte le condizioni, verso tutte le età, verso tutto ciò che non è estraneo all’uomo. Quale saggezza può mai esistere fuori dell’umanità? Amate l’infanzia; favoritene i giuochi, le gioie, le amabili inclinazioni. Chi di voi non ha rimpianto talvolta questa età in cui il riso non si spegne mai sulle labbra e l’anima è sempre serena?” —  (Jean Jacques Rousseau, in “Emilio o dell’educazione“)

Don Milani, cento anni dalla nascita

Lettera a una professoressa

Sono passati 100 anni dalla Nascita di Don Milani, ti proponiamo una serie di articoli dedicati a questo grande protagonista del mondo della pedagogia e dell’educazione. Ti sei perso la prima parte? Leggila qui!

E ora… buona lettura!

Barbiana, Sant’Andrea di Barbiana, è una pieve sul monte dei Giovi nel Mugello, a cinquecento metri di altitudine. Barbiana non ha nulla che possa rappresentare un piccolo paese, è solamente una canonica povera tra case sperse, abitate da poche decine di anime, pastori e contadini che vivono senza acqua e senza luce. Ancora oggi si può vedere qualche cipresso e un piccolo cimitero. Don Milani ci arriva salendo per una mulattiera il 12 settembre 1954, quando viene assegnato a Barbiana alla morte del parroco di San Donato, Comune in provincia di Firenze, sua prima destinazione come sacerdote a fianco dell’anziano don Pugi. Per don Milani è chiaro da subito che non sarà la scuola di Stato a permettere ai figli dei poveri mezzadri di imparare a leggere e a scrivere, i figli dei contadini che abitano quel territorio devono soprattutto badare alle pecore e lavorare nei campi.

Così nasce a Barbiana, in modo radicale e coerente con i principi del Priore, una Scuola laica e popolare.

Don Lorenzo Milani considera la scuola uno strumento per elevare gli ultimi e l’insegnamento un atto di giustizia. Il priore di Barbiana non si pone come precursore di un metodo: nella scuola di Barbiana non c’erano voti, pagelle o bocciature, l’atmosfera era di libertà, con piani di lavoro individuali pensati in “gruppo” per insegnare la parola come strumento di relazione. Una scuola senza orari, dove si andava anche la domenica.

LETTERA A UNA PROFESSORESSA

Lettera a una professoressa dichiara apertamente il fine di questa scuola, che salva i ragazzi dall’alternativa di ripulire dal letame le stalle: una scuola “schierata” socialmente con i diseredati, gli oppressi e gli ultimi in nome dell’eguaglianza. In questo libro, fonte inesauribile di progettualità educativa, sono proposte le riforme che possono realizzare il sogno dell’eguaglianza:

1. Non bocciare.
2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno.
3. Agli svogliati basta dargli uno scopo.

Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967

 Lettera a una professoressa è una pubblicazione scritta in modo collettivo, pubblicata dalla Scuola di Barbiana nel maggio 1967, un testo che può es­sere considerato il compendio, il manifesto di don Milani e dei suoi alunni contro la scuola classista, non certamente inclusiva, non pensata per i po­veri. Don Lorenzo muore nel giugno 1967, a 44 anni, a casa di sua madre dove si era trasferito quando l’incalzare della malattia ai polmoni aveva reso necessarie cura e assistenza continue, quando l’uso della parola era diven­tato impossibile. Quelle parole che hanno costituito il nucleo della pedago­gia di don Milani, risorsa per confrontarsi con la realtà, per dialogare, quelle parole che egli presentava ai suoi ragazzi per farle vivere, analizzarle, se­guirne lo sviluppo e le trasformazioni in una scuola “aderente” alla realtà sociale e culturale.

Lettera a una professoressa presenta una scuola dove la comunicazione supera i confini geografici di Barbiana, per intercettare, attraverso il giornale e la corrispondenza, oltre il libro di testo, la possibilità di riscatto dall’analfabetismo e dall’ignoranza. La didattica di don Milani è ispirata dalla fedeltà al Vangelo e dalla passione educativa, privilegia, oltre programmi predefiniti e formalismi, la parola e il dialogo. La pedagogia di Don Milani è una pedagogia della cooperazione che mira a educare gli alunni sul piano civico, tramite la conquista della lingua, che rende possibile partecipare attivamente alla società. Infine, è una pedagogia che privilegia la presa di coscienza della propria dignità e la responsabilità nei confronti del prossimo, specie se più debole. La strategia didattica è quella del mutuo insegnamento per cui i ragazzi più grandi insegnano ai più piccoli, chi sa di più a chi sa di meno.

L’orizzonte dell’operare di don Milani è la scuola come strumento di giustizia. Il Vangelo e la Costituzione sono i parametri di quella coerenza che rendono don Lorenzo «Trasparente e duro come il diamante, doveva subito ferirsi e ferire», secondo la definizione che di lui ha dato don Raffaele Bensi, suo padre spirituale, dalla conversione alla morte, unico custode del segreto della sua fede.

Don Milani, un nuovo modo di fare scuola

La sfida del suo messaggio

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola. Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico a un livello pari dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più di tutto.” (Don Milani in Esperienze pastorali).

Don Lorenzo Milani (Firenze27 maggio 1923 – Firenze26 giugno 1967), di cui ricorrono cento anni dalla nascita, è stato un prete “scomodo”, un riformatore, un pacifista, un pedagogo e un pedagogista. Ad alimentare il suo essere sacerdote non furono esclusivamente fede e obbedienza, ma giustizia.

“La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali”, scrive il priore di Barbiana in Esperienze pastorali.

La stessa idea di giustizia è alla base della sua vocazione per la scuola, intesa come strumento per elevare gli ultimi. Grado di cultura e funzione sociale sono elementi interconnessi, poli di un agire pedagogico e di un impegno sociale. Scuola, giustizia, Vangelo e Costituzione: questi sono i riferimenti che permettono di delineare la figura di un uomo riconosciuto come grande personaggio del Novecento, figura esemplare, capace di alimentare speranza e passione nel nostro tempo. La sua vita è tutta nelle sue scelte, fuori dai tracciati che le sue origini potevano determinare.

Dal libro di Francesca Banchini e Silvia Mannelli “Don Milani, il Maestro” (Raffaello, 2022, pagg. 63-64) possiamo leggere “Don Lorenzo era nato in una famiglia molto ricca che possedeva una bellissima casa sui viali di Firenze, una villa al mare a Castiglioncello e una tenuta nella campagna di Montespertoli, che si chiamava La Gigliola: qui c’erano addirittura dei campi da tennis privati. Lorenzo e i suoi fratelli, Adriano ed Elena, da bambini ebbero anche la possibilità di assistere ai primi cartoni animati. Amavano mobili lussuosi, automobili, servitù, migliaia di libri e persino una statua greca, l’Apollo Milani, scoperta da uno dei nonni di don Lorenzo, il celebre archeologo fondatore del museo etrusco di Firenze […] il bisnonno di don Lorenzo, Domenico Comparetti, era un importantissimo studioso di civiltà antiche ed era stato anche senatore. Sapeva ben diciannove lingue ed era un accanito anticlericale […] la madre di do Lorenzo, Alice Weiss, apparteneva a una famiglia ebrea che si era molto arricchita grazie al commercio di carbone alla fine dell’Ottocento e aveva ricevuto un’ottima educazione a Trieste, dove era vissuta per diversi anni. Suo padre era amico di un importante scrittore italiano che viveva in quella città, Italo Svevo, e l’insegnante di inglese di Alice era… James Joyce.”

Don Lorenzo, figlio di una famiglia colta e benestante, ha impiegato la propria esistenza per dare senso a quella degli altri, a lui importava dei suoi ragazzi, poveri e senza futuro, che trascorrevano la vita su un monte nemmeno segnato sulle carte geografiche, dove non c’erano né acqua corrente né elettricità, dove nemmeno la speranza aveva dimora. La povertà che ha incontrato a Sant’Andrea di Barbiana, in una canonica povera a cinquecen­to metri di altitudine, con quaranta anime sparse sul Mugello, ha fatto nascere in lui una coscienza sociale che gli ha permesso di capire le differenze profonde tra le opportunità in cui era cresciuto e la misera materiale e intellettuale del popolo.

Grazie a Don Milani tanti ragazzi, tanti genitori, tanti politici, tanti intellettuali hanno scoperto un modo nuovo di fare scuola, hanno condiviso un concetto di istruzione che pone come obiettivo primario la consapevolezza di impegnarsi per una cittadinanza attiva e responsabile, a partire dall’apprendimento della parola oltre ogni ambizione di competizione e di successo.

Barbiana, da luogo marginale e sperduto, è oggi simbolo di impegno per la legalità, per una scuola migliore, per un individuo capace di responsabilità verso gli altri. Barbiana è un luogo indissolubilmente legato alla testimonianza di vita di don Lorenzo Milani, alla sua proposta radicale e autentica. La lettura del suo trasferimento come “… un prete isolato è inutile”, don Lorenzo l’ha sovvertita, il suo trasferimento è ancora la sfida per porre radici nei valori della dignità umana e sociale.

Le intelligenze utili ai cittadini del futuro

Howard Gardner e la teoria delle intelligenze multiple

Dobbiamo a Howard Gardner un concetto innovativo di intelligenza che ha aperto la riflessione psico-pedagogica nella direzione di un nuovo concetto di educazione, a partire dalla domanda: “Possono i test aiutarci a conoscere le capacità umane?”

Howard Gardner, psicologo cognitivo, nato nel 1943 in Pennsylvania (USA), ha condotto il suo lavoro di ricerca ridimensionando e sotto molti aspetti annullando il valore dei test, nella convinzione che gli stessi non possono esaminare le capacità umane, analizzate alla luce di un concetto multidimensionale dell’intelligenza. Nel 1983 pubblicò un testo che lo rese famoso in tutto il mondo “Frames of the Mind. The Theory of Multiple Intelligences”, in italiano “Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza”.

La gran parte della gente, quando usa la parola intelligenza pensa che ci sia una singola intelligenza con la quale si nasce e che non si può cambiare molto. Si attribuisce un gran valore a quello che si chiama un IQ test, una serie di domande alle quali si risponde bene o meno bene. Io penso che il test del quoziente intellettivo sia una misura ragionevole del rendimento delle persone a scuola, ma esso offre una visione molto ristretta di come sia l’intelletto umano una volta usciti dalla scuola. Nel mio lavoro ho gettato via i test perché penso che essi non possano esaminare l’intero spettro delle capacità umane” (Gardner, 1997).

Gardner ha contribuito a scardinare certezze e abitudini consolidate nell’approccio al concetto di intelligenza offrendo, soprattutto agli insegnanti, la possibilità di attuare una didattica inclusiva e diversificata secondo le capacità di studenti e studentesse, per valorizzare attitudini, stili cognitivi, approcci personali alla conoscenza e ai saperi disciplinari. La classe come struttura monolitica, l’insegnamento basato sulla lezione frontale non possono rispondere a bisogni di formazione degli studenti, bisogni sempre più articolati e differenziati.

  

SETTE TIPI DI INTELLIGENZA… ANZI NOVE!
La Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner accetta l’ipotesi che non esista una sola forma, misurabile, di intelligenza ma forme diverse della stessa, ognuna con sue peculiari caratteristiche. Nel tempo l’autore ha rivisto la sua concezione, apportando modifiche e integrazioni a una teoria basata inizialmente su sette forme di intelligenza che possono essere così individuate:

  • Intelligenza Linguistica: “pensare con le parole e riflettere su di esse”.
  • Intelligenza Logico-matematica: “pensare con i numeri e riflettere sulle loro relazioni”.
  • Intelligenza Musicale: “pensare con e sulla musica”.
  • Intelligenza Visuo-spaziale: “pensare con immagini visive e fare elaborazioni su di esse”.
  • Intelligenza Corporeo-cinestetica: “pensare con e sui movimenti e i gesti”.
  • Intelligenza Interpersonale: “avere successo nelle relazioni con gli altri”.
  • Intelligenza Intrapersonale: “riflettere sui propri sentimenti, umori e stati mentali”.

A queste sette rappresentazioni dell’intelligenza, negli anni, Gardner ha aggiunto l’Intelligenza Naturalistica, ovvero il “Pensare alla natura e al mondo che ci circonda” e l’Intelligenza esistenziale, vale a dire il “Pensare alle questioni etiche ed esistenziali”, tutti tratti del pensiero corrispondenti ai differenti approcci alla complessità del nostro tempo.

 

TEORIE INTELLIGENZE MULTIPLE: COME È UTILE ALLA SCUOLA?
Per ogni individuo possono essere riconosciuti i vari aspetti dell’intelligenza, in forme più o meno equilibrate, integrate ed omogenee, ma possono esserci individui che presentano un profilo in cui risultano e addirittura sono esaltate solo forme particolari d’intelligenza. Così la scuola è tenuta a proporre un rapporto con il sapere capace di guidare alla consapevolezza del modo personale di ogni singolo studente di apprendere, per evitare discriminazioni nella mancanza di opportunità di sviluppare attitudini e talenti. Una concezione astratta e monolitica/rigida dell’intelligenza dopo Gardner non è più accettabile e, soprattutto, non è più strategica rispetto ad un concetto di educazione inclusiva e dinamica.

Il rapporto con il sapere presuppone la consapevolezza del proprio stile cognitivo per chi apprende e la necessità, per l’insegnante, di dominare una pluralità di metodologie didattiche utili a favorire l’integrazione e la fluidità nei processi di insegnamento-apprendimento.

 

QUALI INTELLIGENZE SARANNO UTILI AI CITTADINI DEL FUTURO?
Il valore della ricerca di Gardner non riguarda tanto la riflessione sulla validità dei test che misurano le capacità intellettive, quanto il riconoscimento che tutte le tipologie di intelligenza sono importanti. Il variare delle tipologie riconosciute non deve essere ritenuto importante rispetto al numero delle “intelligenze” catalogate, quanto rispetto agli assi della ricerca di Gardner che hanno il futuro come orizzonte di indagine e comparazione. Quali intelligenze saranno utili per i cittadini del futuro? I grandi cambiamenti del nostro tempo richiedono approcci multiformi alle tematiche disciplinari e interdisciplinari, capacità di problem solving rispetto alla necessità di affrontare la complessità e l’imprevedibilità. Le trasformazioni che interessano la vita sociale, le problematiche del lavoro e dell’identità, possono essere vissute consapevolmente e responsabilmente quanto più la scuola opera con percorsi efficaci per sviluppare nelle giovani generazioni capacità di adattamento e creatività, alimentando il potenziale cognitivo proprio a partire da una rinnovata concezione dell’intelligenza.

Così l’attenzione di Gardner alle diverse tipologie di intelligenza, nelle dimensioni intrapersonale, interpersonale, naturalistica ed esistenziale offre un contributo all’individuazione di competenze quali il saper esprimere sentimenti ed emozioni, avere una immaginazione attiva, avere attitudine a trasformare oggetti, avere sensibilità verso la musica, saper lavorare in modo cooperativo. L’intelligenza linguistico verbale deve trovare una scuola attenta a lavorare sulla comunicazione verbale e non verbale, così l’intelligenza logico-matematica deve potersi esprimere nel riconoscimento delle relazioni e delle connessioni. L’evoluzione della ricerca di Gardner verso le dimensioni che riguardano la Natura e l’Esistenza sottolineano la necessità che lo studio dell’intelligenza umana sia vitale per la crescita dell’individuo e delle comunità. Saper riflettere sulle tematiche ambientali ed esistenziali rappresenta al tempo stesso una competenza e un’urgenza per far fronte alle sfide del nostro tempo. Considerare tutti gli aspetti della personalità degli individui in formazioni vuol dire prestare interesse agli atteggiamenti, alle interazioni sociali, alle reazioni emotive come interdipendenti rispetto alle forme di intelligenza analitica, creativa, operativa e in sinergia con la capacità di utilizzare in modo responsabile le risorse della natura.

I mediatori didattici

L’insegnante come mediatore didattico

Considerare la parola mediatore, a partire da un’analisi etimologica (dal lat. tardo “mediator-oris”) significa valutare il termine nel suo significato di “interporsi”, per favorire una scelta o un accordo. La parola ha un’ampia gamma di usi e di applicazioni a livello culturale, sociale, economico, giuridico. Certamente alcune di queste sfaccettature possono costituire apporti significativi per interpretare la complessità della funzione docente. Non possiamo tuttavia considerare l’insegnante un mediatore nel senso a cui ci ha introdotto il termine riferito alle nuove figure professionali che agiscono in quanto facilitatori di relazioni e di integrazioni, come il mediatore culturale. Né è proprio del docente agire in modo imparziale come avviene nella mediazione propria dell’ambito giuridico.

Possiamo affermare senz’altro che l’insegnante, per lo status che identifica il suo operato, per il profilo di responsabilità che lo rappresenta, è garante dell’educazione, attore nel processo di insegnamento-apprendimento che si realizza nella scuola.

Il concetto di mediatore, in particolare l’esame della specificità del ruolo, può essere utile per riconoscere al docente la capacità di utilizzare i mediatori didattici, secondo la valenza che la ricerca psicopedagogica ha elaborato a livello concettuale e operativo.

Alle insegnanti e agli insegnanti spetta considerare e configurare la scuola come “ambiente di apprendimento”, secondo una definizione propria del linguaggio specialistico della pedagogia e della didattica. Non si tratta semplicemente di insegnare ma di costruire, osservare, valutare situazioni di apprendimento, per avere cura di ogni singolo alunna e alunno, organizzando e animando situazioni specifiche di apprendimento. A tal fine l’insegnante si avvale dei mediatori didattici, vale a dire di strumenti e procedimenti che rendono maggiormente funzionale la comunicazione, che stimolano e potenziano il processo formativo.

La tematica è stata affrontata in modo organico e puntuale dal pedagogista Elio Damiano, autore del libro “La mediazione didattica”, in cui definisce il mediatore didattico come “ciò che agisce da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di conoscenza, sostituisce la realtà perché possa avvenire la conoscenza, ma non si sostituisce alla realtà esautorandola, pur richiedendo di essere trattato come se fosse la realtà, ma sempre, in quanto mediatore, conservando lucidamente la consapevolezza che la realtà non è esauribile da parte dei segni, quali che essi siano”. (E. Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Franco Angeli Editore, 2013)

Damiano rimanda all’indagine sulla conoscenza di Piaget, di Brofenbrenner, alle forme rappresentative esecutiva, iconica e simbolica, studiate da Bruner, alla teoria dell’oggetto transizionale di Winnicott, per analizzare i mediatori didattici definiti: attivi, iconici, analogici, simbolici.

Rispetto agli stessi l’insegnante saprà effettuare le scelte più adeguate e opportune per alunne e alunni, saprà utilizzare mediatori caldi oppure mediatori freddi, come abile manovratore del termostato che regola la temperatura e il clima della classe.  

I DIVERSI TIPI DI MEDIATORI

  • I mediatori attivi sono quelli che fanno riferimento all’esperienza diretta, all’esplorazione, dall’azione in contatto con la realtà fino all’esperimento scientifico, programmato nella dimensione laboratoriale.
  • I mediatori iconici utilizzano il disegno spontaneo, le immagini, gli schemi, le mappe concettuali, il linguaggio delle icone, valorizzando la dimensione grafica e spaziale.
  • I mediatori analogici sono chiamati “ludici” poiché si basano sulle dinamiche del gioco, della drammatizzazione e della simulazione.
  • I mediatori simbolici utilizzano la narrazione, i concetti astratti, i simboli, i codici linguistici, le figure retoriche, la riflessione sul linguaggio e sulle regole.

LA DIDATTICA RETICOLARE E LA DIDATTICA A DISTANZA

La didattica che si avvale dei mediatori didattici è una didattica reticolare, nella prospettiva di una didattica per competenze. Usa in modo integrato tutti i percorsi e le strategie possibili, con l’attenzione ai singoli alunni e alla classe. Variabili importanti sono, infatti, lo stile cognitivo di ogni alunno, la sua storia, la composizione della classe, la realtà extrascolastica.

Non si tratta quindi di variare modalità di presentazione dei contenuti, si tratta di sollecitare l’interesse e la motivazione, di facilitare l’apprendimento con percorsi specifici e integrati. La scelta dei mediatori può offrire risposte alla necessità di differenziare gli interventi, di rispettare le tappe evolutive degli alunni, di valorizzare azioni didattiche coerenti con i molteplici aspetti dello sviluppo della personalità.

Le insegnanti e gli insegnanti utilizzano i mediatori didattici spesso in modo spontaneo, ovvero condizionati dalle risorse a disposizione. La loro attenzione è rivolta a creare occasioni produttive nello svolgersi della programmazione didattica, consapevoli dell’importanza che rivestono mezzi, strumenti, metodologie differenziate nel migliorare la gestione della classe e la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento. La riflessione è aperta sull’impatto dei linguaggi digitali, che in tempo di didattica a distanza hanno cambiato profondamente l’azione didattica e la funzione stessa dell’insegnante e dei mediatori. Il computer permette di differenziare la didattica in classe, favorisce un uso da parte dell’alunno non semplicemente strumentale se gli insegnanti possono utilizzarlo come risorsa finalizzata a superare disabilità, sviluppare l’osservazione, consolidare abilità, sviluppare pensiero critico e creatività. La didattica a distanza ha contribuito a definire l’insegnante un mediatore egli stesso, oltre un professionista capace di utilizzare i mediatori didattici, ha innovato il ruolo focalizzando il suo porsi come “interfaccia”, facilitatore, nella relazione con gli alunni attraverso lo schermo. La trasmissione a distanza implica modi nuovi, molti da esplorare, riguardo la cura degli aspetti affettivi ed emozionali delle situazioni di apprendimento, finalizzate alla elaborazione del sapere e alla strutturazione di percorsi di maturazione dell’identità e dell’autonomia.

Considerando, tuttavia, che la formazione avviene dentro e fuori la scuola, la mediazione didattica deve riguardare anche modalità di intervento della famiglia e degli ambiti sociali di appartenenza, come processo che interessa gli individui nella pluralità e nell’integrazione dei contesti di vita in cui avviene la formazione stessa. Si tratta di rafforzare il confronto, il dialogo e la condivisione, nell’ottica di una consapevole alleanza educativa.

Imparare ad imparare

L’apprendimento e le strategie metacognitive

Nel percorso scolastico di ogni alunno e alunna un nodo spesso problematico riguarda il rendimento, sia quello accertato e verificato, sia quello percepito, correlato alla motivazione ad apprendere.

È nel sentire comune l’esperienza di constatare che i risultati conseguiti nello studio spesso non corrispondono alle aspettative. Capita di ascoltare docenti sconfortati dall’esito delle prove somministrate in classe, studenti e studentesse deluse dalla valutazione ricevuta in un compito, genitori preoccupati del rendimento scolastico dei figli.

Spesso, purtroppo, si consolida l’idea che la difficoltà del compito è insormontabile, che non si hanno capacità adeguate a portarlo a termine.

Si tratta, invece, di riflettere sull’insuccesso, di analizzarne aspetti e manifestazioni, per individuare nuove modalità di avvicinarsi al sapere e all’apprendimento. Così è importante chiedersi se le conoscenze sono state utilizzate in modo efficace, soprattutto se sono state organizzate in modo strategico rispetto ai risultati attesi. Si tratta di avere consapevolezza del funzionamento cognitivo, di poterlo autoregolare rispetto a un compito dato.

Obiettivo formativo per gli insegnanti è guidare l’alunno a diventare capace di migliorare il proprio apprendimento con strategie metacognitive.

Come dimostrano le ricerche condotte a livello di disturbi specifici di apprendimento, esistono correlazioni tra prestazioni cognitive e consapevolezza del funzionamento della propria mente. Ecco che studente e insegnante dovrebbero impegnarsi a individuare strategie per riflettere sulle operazioni mentali svolte per controllarle ed eventualmente modificarle al fine di avere prestazioni migliori. Si tratta di stimolare abilità metacognitive, di attivare la mente a lavorare su se stessa. A livello di metacognizione si considerano, ad esempio, riflessioni dettate dalla volontà di migliorare, quali: “Di quanto tempo ho bisogno per svolgere questo compito?” “A quali difficoltà devo fare attenzione in questa prova?” “Come considero lo svolgimento della prova che mi è stata assegnata?” “In passato ho svolto un compito con difficoltà simili?” Questi interrogativi non sono altro che strategie o conoscenze metacognitive.

La consapevolezza di come si svolge e come può modificarsi il processo conoscitivo è il presupposto per costruire l’abilità fondamentale dell’imparare ad imparare. La psicologia dell’apprendimento usa il concetto di autoregolazione, considera l’importanza di assumere limiti e risorse come sfide positive, considera la valutazione essenzialmente nella dimensione di autovalutazione.

 

LE MAPPE CONCETTUALI

Per imparare ad imparare ed essere capaci di riflettere sulla conoscenza, strumento utile sono le mappe concettuali, che rappresentano e comunicano sapere e processi di apprendimento. Approfondire la tematica prevede di differenziare mappe di tipo concettuale, mentale e strutturale, secondo gli orientamenti propri della ricerca a riguardo. Tuttavia, per quanto riguarda l’uso delle mappe a scuola è importante sottolineare il loro potenziale di risposta ai problemi scolastici degli alunni e delle alunne con difficoltà di apprendimento, con bisogni educativi speciali.

Le mappe concettuali (teorizzate da Joseph Novak) hanno un valore cognitivo, possono definirsi l’individuazione e l’organizzazione dei concetti chiave e delle loro connessioni; possono essere usate sia nelle fasi di studio, sia come schema finale delle conoscenze acquisite. Contribuiscono alla realizzazione di un “apprendimento significativo”, contrapponendosi ad un tipo di apprendimento prevalentemente mnemonico.

La mappa concettuale non rappresenta uno schema sintesi, è una rappresentazione che favorisce la comunicazione, stimola la riflessione, potenzia l’attività cognitiva, genera creatività.   

Le mappe rappresentano uno dei possibili modi di comunicare la conoscenza, una rappresentazione per chiarire, illustrare, esplicitare il sapere su un argomento, una disciplina, un progetto, attraverso relazioni che vengono poste in evidenza. Può essere definita una strategia di tipo organizzativo nel processo di apprendimento. Importante sarà perciò considerare i legami individuati e considerarli nessi di scoperta di relazioni e significati.

 

ALTRE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E LA META-MEMORIA

Altre importanti strategie metacognitive con valenza didattica riguardano la selezione, l’elaborazione, la memorizzazione delle informazioni. Gli insegnanti e le insegnanti possono guidare gli alunni e le alunne ad evidenziare informazioni importanti in un testo stimolando la capacità di scegliere dati pertinenti, essenziali, centrali. Anche leggere un sommario rappresenta una strategia funzionale a poter padroneggiare conoscenze, oppure provare a costruirlo a partire da materiali a disposizione. A livello di elaborazione del sapere una modalità che può sembrare ovvia, spesso sottovalutata, riguarda la capacità di porre attenzione ai legami fra le conoscenze, il saper collegare un nuovo concetto a quanto si è già appreso. Non ultima la memorizzazione, considerata, a livello di ricerca sui processi di apprendimento, meta-memoria.    

Si riferisce alla possibilità di sviluppare la memoria considerandola una capacità da potenziare. Significa superare l’idea che si possa avere buona o cattiva memoria e far uso di strategie di ripetizione efficaci, riuscendo a trovare modalità personali di ripetizione che implicano, ad esempio, la visualizzazione dei dati e delle conoscenze da assimilare.

La didattica metacognitiva contribuisce a stimolare un atteggiamento attivo e responsabile rispetto all’apprendimento. L’alunno impara ad imparare e costruisce il suo metodo di studio. Matura uno stile cognitivo che privilegia la capacità di porre domande, di evidenziare analogie, di astrarre, di stabilire relazioni, di valorizzare la creatività nei problemi da risolvere e nelle attività da svolgere.