Skip to main content

Tag: pedagogia

Montessori Day

Leggi l’approfondimento e scarica l’attività

“Quando la mano si perfeziona in un lavoro scelto spontaneamente, e nasce la volontà di riuscire, di superare un ostacolo, la coscienza si arricchisce di qualcosa di ben diverso da una semplice cognizione: è la coscienza del proprio valore.”

Maria Montessori

Il 31 agosto 1870 nasceva Maria Tecla Artemisia Montessori a Chiaravalle, grande pedagogista che divenne famosissima nel mondo grazie al famoso metodo educativo per bambine e bambini che prese il suo nome, ovvero il “Metodo Montessori”. Per festeggiare questo giorno speciale, per te un approfondimento dalla Guida Didattica per la Scuola dell’Infanzia “Educare Imparare Crescere” (2019). Inoltre, in fondo, un’attività speciale da scaricare e proporre alla tua sezione dopo il rientro a scuola.
Buona lettura!

Il metodo Montessori è uno dei metodi più famosi della pedagogia contemporanea, affonda le sue radici in un’Italia a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e deve la vita al lavoro instancabile e pieno di entusiasmo di una giovane e appassionata dottoressa.

Maria Montessori (1870-1952) iniziò la sua carriera da medico, lavorando a Roma nelle cliniche che si occupavano di educare e sostenere lo sviluppo di bambini ortofrenici, ossia bambini con disturbi di deficienza mentale congenita o acquisita, per poi approdare all’apertura di scuole chiamate “Case dei bambini”. Da quella prima esperienza molti furono gli aggiustamenti, le rivisitazioni, le innovazioni e i miglioramenti, ma i princìpi che Maria Montessori individuò inizialmente rimasero immutati e possono essere sintetizzati così:

  • i bambini sono guidati da periodi sensitivi, istinti guida che permettono loro, in situazione di libertà, di scegliere le attività, le esperienze e i materiali che hanno lo scopo di far acquisire al bambino le abilità psico-fisiche necessarie per accedere ai gradini evolutivi successivi;
  • per poter sperimentare in maniera efficace i periodi sensitivi è necessario che gli insegnanti preparino un setting educativo che sostenga e stimoli il bambino in autonomia e sicurezza;
  • l’ambiente gioca un ruolo centrale e deve essere studiato nei minimi dettagli, con estrema attenzione agli arredamenti, ai colori, ai materiali, alla proporzionalità degli strumenti, alla disposizione degli oggetti e al significato pedagogico che ciascuno riveste;
  • l’insegnante ha il ruolo di sostenere i bambini accompagnandoli nei singoli processi di maturazione. Maria Montessori vedeva l’insegnante come un angelo custode che protegge il bambino, che aiuta senza anticipare, che funge da ponte con il materiale presente, che accompagna con umiltà e rispetto.

Se tutti questi princìpi verranno attentamente corrisposti nella pratica educativa quotidiana, i benefici che i bambini ne otterranno saranno numerosi e stupefacenti. I bambini saranno rilassati, profondamente appagati perché in contatto profondo con i loro bisogni evolutivi, tolleranti perché abituati a muoversi e vivere all’interno di una comunità, autonomi perché affiancati nel processo di conquista della cura del sé e dell’ambiente circostante, liberi nel pensiero e nello spirito e in armonia con il mondo circostante fatto di relazioni e incontri.

E ora… dalla teoria alla pratica!
Scarica l’attività dedicata al Metodo Montessori (dalla Guida “Didattica per competenze” 2018).

Maria Montessori: educazione e pace

70 anni dalla morte di Maria Montessori

Maria Montessori (Chiaravalle, 31 agosto 1870 – Noordwijk (Paesi Bassi) Olanda, 6 maggio 1952)

Il 6 maggio 2022 ricorrono 70 anni dalla morte di Maria Montessori.
Fu candidata per tre volte al Premio Nobel per la Pace nel 1949, nel 1950 e nel 1951. Morì a Noordwijk (Paesi Bassi) il 6 maggio 1952.

 

Io prego i cari bambini che possono tutto di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo

Queste parole, scritte sulla tomba di Maria Montessori a Noordwijk, rappresentano il senso dell’intero progetto montessoriano.

Ma quale educazione può davvero creare le premesse per un mondo di pace?

Quando, nel 1932, per Maria Montessori vivere ed operare in Italia era diventato difficile per le mutate condizioni culturali e politiche, quando il suo nome si andava affermando più all’estero che in Patria, la grande pedagogista non esitò a guardare oltre i confini italiani per rimanere fedele al suo ideale di educazione e di società. L’ispirazione antidogmatica e antiautoritaria che contraddistingue il suo pensiero non poteva accettare la deriva verso la negazione dei principi di libertà che la dittatura imponeva.

Visse in diversi luoghi in Europa prima di far ritorno in Italia dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale.

Fuori d’Italia aveva provato l’angoscia della guerra, ma continuò a impegnarsi con sempre maggiore tenacia nella ricerca di verità fondamentali per l’umanità.

Costruire la pace è l’opera dell’educazione, la politica può solo evitare la guerra

Questo assunto è il messaggio centrale che scaturisce dai discorsi pronunciati dalla grande pedagogista in Europa e nel Mondo, in occasione delle Conferenze che l’hanno vista protagonista nella disseminazione di principi di formazione libera, per una vera e propria crociata dell’educazione.

Il testo “Educazione e Pace” del 1949 raccoglie una serie di conferenze tenute da Maria Montessori sul tema della pace a partire da quella di Ginevra del 1932, presentata al Bureau international d’éducation. Il tema fu successivamente sviluppato con interventi che l’hanno vista a Bruxelles nel 1936 (Congresso europeo per la pace), a Copenaghen, per molte occasioni pubbliche, tra cui il Congresso internazionale Montessori del 1937, fino al discorso pronunciato a Londra, al World Fellowship of Faiths, nel 1939.

Il testo stesso è stato in più occasioni ripubblicato e riproposto all’attenzione di educatori e politici con la volontà di continuare ad affermare e rilanciare un tema nuovo nella storia del pensiero educativo, un tema che Maria Montessori ha considerato non solo fondamentale ma costitutivo dell’azione educativa stessa.

Rileggendo pagine così fondamentali per i giorni che attraversa l’umanità in questo tempo di atrocità, di guerra, di negazione di valori di umanità, colpisce la capacità profonda di Maria Montessori di indicare la strada della libertà, della salvezza, dell’affermazione della dignità umana.

 

“Sembra singolare e non consono ai nostri tempi, in cui è così vivo il culto della “specializzazione”, che io sia chiamata a parlare della pace; della pace che, se fosse elevata a disciplina, nessuna ve ne sarebbe di più alta, poiché da essa dipende la vita stessa del popolo e forse il progredire o lo sparire di tutta la nostra civiltà.”

(Maria Montessori, Preambolo, La Pace, in Educazione e Pace)

“La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo, e due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, vale a dire di eludere le guerre; l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini. Ora evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione.”

(Maria Montessori, Per la pace, in Educazione e Pace)

“L’educazione assume oggi, nel particolare momento sociale che attraversiamo, un’importanza veramente illimitata. E questa accentuazione del suo valore pratico si può esprimere con una sola frase: l’educazione è l’arma della pace.” “Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione.”

“Oggi il bambino è un “cittadino dimenticato”: la società deve ormai ricordarsi di lui e preparargli un ambiente adatto alle sue esigenze vitali ed alla liberazione spirituale.”

“Il bambino che ha sentito fortemente l’amore verso l’ambiente e gli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo.

La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.”

“L’Educazione che preparerà un’umanità nuova ha una finalità sola: quella che conduce insieme all’elevazione dell’individuo e della società.” “L’uomo così preparato, conscio della sua missione cosmica, sarà capace di costruire il nuovo mondo della pace.”

(Maria Montessori, Educate per la pace, in Educazione e Pace)

Mario Lodi e Gianni Rodari: un’idea di scuola

Quale idea di scuola li unisce?

Mario Lodi e Gianni Rodari possono essere valorizzati con una sensibilità illuminata se si sceglie, nei loro riguardi, un approccio di conoscenza che considera il forte rapporto di amicizia e di stima che li ha uniti.

Una ricchezza di testimonianze e documenti, molti riferimenti nell’ambito del Movimento di Cooperazione Educativa, consentono di conoscere la loro figure di scrittori, insegnanti, pedagogisti nell’orizzonte dello slancio creativo, della tensione alla ricerca e all’impegno etico che hanno contraddistinto la loro vita e la loro attività.

C’è una idea di scuola che hanno condiviso?

Lodi e Rodari, partendo da esperienze personali autonome di studio e di operatività, hanno condiviso, soprattutto, quei valori di democrazia che li ha portati a elaborare concetti e proposte propulsive per una idea di scuola nuova, finalizzata a offrire a ogni individuo l’opportunità di sviluppare la propria personalità, nel rispetto della dimensione sociale di vita.

Così la scuola del nostro tempo deve a Mario Lodi e a Gianni Rodari un patrimonio di conoscenze e di esperienze che alimenta il fare scuola di ogni giorno, che definisce i tratti fondamentali della formazione dei docenti e delle docenti e, soprattutto, illumina il potenziale di crescita e di apprendimento di ogni bambino/a.

Non conosce Gianni Rodari chi pensa sia uno scrittore per bambini, pur se ai bambini ha dedicato testi originali, ormai “classici” della letteratura infantile. Per l’insieme della sua produzione ha ricevuto nel 1970, da una giuria internazionale, quel Premio Andersen che viene definito “il Nobel della letteratura infantile”. Alla cerimonia per la consegna del premio, Rodari ha detto: “Si può parlare agli uomini anche parlando di gatti e si può parlare di cose serie e importanti anche raccontando fiabe allegre. Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire ad educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo…”.

Rodari ha scritto “Grammatica della Fantasia”, con il sottotitolo Introduzione all’arte di inventare storie. Un testo che tutti i docenti dovrebbero leggere e non solo, un testo per genitori, intellettuali, politici. Una proposta con cui rivendica all’immaginazione lo spazio che deve avere nella vita di ciascuno

Nella sua premessa all’edizione “Scuola di Fantasia” (Lodi, La scuola di Rodari, in Rodari, 1992) Mario Lodi scrive:

“L’attenzione di Rodari per le scuole si collocava nell’analisi di una società che, uscita dalla dittatura fascista e dalla guerra, cercava in se stessa le forze vitali per ricostruire sui valori della Costituzione un nuovo modello di vivere”.

In modo parallelo, Lodi, nel suo ruolo di Maestro, ha anticipato l’idea di scuola come “comunità educante” organizzando la classe non in modo rigido e gerarchico, secondo il modello tradizionale per cui il maestro/la maestra insegna e gli alunni/alunne imparano, ma come comunità aperta, in cui sono compresi alunni, territorio, insegnanti, genitori, per realizzare l’esperienza di un organismo vitale per la costruzione della società democratica.

Entrambi hanno testimoniato l’idea di un’educazione nuova, non autoritaria, finalizzata ad una società nuova.

Gianni Rodari e Mario Lodi pensano a una scuola che abbia come fine la formazione del cittadino, che sia luogo aperto alla dimensione sociale, in cui trovano spazio, in modo consapevole, ricerca e pensiero critico. La scuola palestra di democrazia e di cultura è il concetto che integra e unisce la visione dell’educazione e della funzione docente dei due grandi interpreti del discorso pedagogico del nostro tempo.

Lodi e Rodari sono gli ispiratori del messaggio di “liberazione” dell’uomo e del bambino che assegna alla scuola, agli insegnanti, agli alunni la responsabilità di cambiare il mondo.

“Subito il primo giorno, devi decidere di fronte ai bambini come impostare il tuo lavoro: per asservire o per liberare. Da questa scelta dipende tutto il resto, anche la tua dimensione umana. Se scegli il metodo della liberazione senti nascere dentro di te una grande forza che è l’amore per i ragazzi, lo stesso amore che non può non trasferirsi sul piano sociale con l’impegno civile. […] Se non sei per la liberazione, porti a scuola la tecnica del padrone, duro o paterno a seconda dei casi: apparentemente è il sistema più facile e comodo ma alla fine trovi un vuoto morale enorme e la noia”
(Mario Lodi, Lettera a Katia in Il paese sbagliato, Torino, Einaudi, 1970)

“È difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo
mostrare la rosa al cieco.

Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi.”

(Gianni Rodari, Lettera ai bambini in Parole per giocare, Manzuoli Editore 1979)

La scuola ha bisogno di “maestri ignoranti”

La pedagogia rivoluzionaria di Mario Lodi

Mario Lodi, straordinaria figura di Maestro, è stato protagonista del rinnovamento pedagogico della scuola italiana, illuminato e appassionato interprete delle tensioni e delle aspirazioni dell’Italia post-guerra.

Celebrare Mario Lodi come maestro, scrittore, pedagogista, vuol dire riconoscere l’importanza e l’attualità del suo pensiero e della sua opera. Riferimenti ideali per cogliere il suo impegno sono Don Lorenzo Milani, Gianni Rodari, Loris Malaguzzi. Il Maestro di Piadena ha saputo comunicare la centralità della Scuola nella società democratica affermando il valore dell’alunno: il bambino e la bambina da accogliere e promuovere come persona. 

MARIO LODI AGLI INIZI DELLA CARRIERA

Esponente del Movimento di Cooperazione Educativa, ha ottenuto premi e riconoscimenti che attestano la sua influenza sul dibattito politico e culturale che ha interessato, in passato, e continua a influenzare, oggi, il cambiamento della scuola e la formazione dei docenti.

Mario Lodi inizia il suo mestiere di maestro in una scuola che definisce classista, autoritaria, trasmissiva, rispetto alla quale saprà affermare una strada nuova, un modello educativo capace di rispettare la personalità delle bambine e dei bambini, in una società del dopoguerra profondamente mutata nei bisogni e negli ideali. Diventa maestro di ruolo nel 1948 a San Giovanni in Croce nel cremonese, dove inizia una esperienza innovativa, focalizzata sulla scoperta delle capacità creative dei bambini e delle bambine.

IL PENSIERO E IL FARE SCUOLA

Il maestro Lodi ascolta, stimola, aiuta, narra e registra in un diario, mantenendo viva l’attenzione alla centralità dell’ambiente interno ed esterno alla scuola, in cui bambine e bambini vivono e si esprimono. Soggetti protagonisti, che hanno la possibilità di attivare (sentendosi liberi e libere di esprimersi insieme agli altri) fantasia e creatività, impegno e responsabilità, gioco e scoperta, apprendimento e sviluppo della personalità.

Il fare scuola di Mario lodi è al tempo stesso “agire educativo” e “documentazione di percorsi”, un itinerario in cui trovano spazio riflessioni, appunti, giornalini di classe, verbalizzazione di scambi comunicativi degli e con le alunne e gli alunni, narrazioni. Un processo che si trasforma via via in proposta educativa capace di allargare l’esperienza originale e personale di Mario Lodi per diventare “metodo”, strategia didattica valida in altre realtà italiane della scuola dell’obbligo.

IL MESTIERE DI MAESTRO

Nel suo primo giorno di scuola, come maestro di ruolo, a San Giovanni in Croce, negli anni 50, Mario Lodi racconta di un alunno che si alza dal banco per andare a guardare fuori dalla finestra. La finestra è aperta. Lasciar fare o reprimere? “Mi alzai e mi misi a guardare il mondo dalla finestra”. La scelta è stata decisiva, ha prefigurato l’orizzonte della professione di maestro, quella professione che egli definirà Mestiere, il più difficile ma il più importante.

Nel testo “Guida al mestiere di maestro” (1982), Mario Lodi esprime un concetto fondamentale per capire il suo pensiero e la concezione di quella specifica professione “mestiere”. Nel concetto di mestiere egli rappresenta la competenza operativa, l’originalità e l’innovazione. Parlare di mestiere vuol dire pensare alla scuola come a un laboratorio in cui ogni giorno è possibile migliorare l’attività didattica, la capacità di essere in relazione, la possibilità di realizzare una comunità di apprendimento.

Per Mario Lodi la scuola ha bisogno di “maestri ignoranti, insegnanti che sappiano imparare con i bambini e dai bambini, motivati a capire il loro modo di leggere il mondo.

Non avrei mai pensato di diventare maestro di scuola. Volevo fare il falegname, vivere una segheria tra trance e pialle, sgorbie e lime. Il mio modello era Geppetto, l’artigiano di Collodi. Sì, volevo essere come Geppetto con Pinocchio”.

Nella scuola di Mario Lodi bambine e bambini imparano attraverso il gioco, attraverso l’esperienza che coinvolge tutti i sensi, imparano insieme agli altri. Seguendo i principi della Pedagogia di Célestin Freinet, la scuola è un laboratorio di idee, una tipografia in cui si stampa il giornalino della scuola, una palestra di discussione sui principi della Costituzione.

Con la spinta ideale a valorizzare la ricchezza delle attività realizzate, dopo il pensionamento, nel 1989, Mario Lodi fondò la Casa delle Arti e del Gioco, un laboratorio, trasformatosi poi in Associazione, di sperimentazione di tutti i linguaggi espressivi. Queste istanze hanno portato a definire l’azione educativa di Mario Lodi “pedagogia rivoluzionaria” e a coniare per lui la definizione di “maestro del fare insieme”, “maestro della Costituzione”.

“Occorre credere nel bambino come persona e soggetto culturale, e come cittadino alla pari, la cui esperienza ha, al suo livello psicologico, la stessa dignità dell’adulto scrittore, artista, scienziato e filosofo…”.

Queste parole sono riportate in A&B, giornale che nasce nel 1983 come inserto mensile del giornale di Cremona Mondo Padano. Un piccolo giornale che rappresenta il sogno di Mario Lodi: dare la parola alle bambine e ai bambini, per conoscere chi sono, come vivono, cosa fanno per migliorare il mondo.

” … i bisogni dei bambini di oggi sono per molti versi differenti da quelli dell’Italia degli anni Cinquanta, eppure uguale è il loro bisogno di autentica felicità. A questo deve mirare una buona scuola”.

(C’è speranza se questo accade al Vho, Einaudi, 1972, Prefazione di Mario Lodi)

 

Mario Lodi scrive il motto che fu di Don Milani “I care” (foto di Attilio Rossetti)

Può essere la scuola a misura di bambino? Come?

Adolphe Ferrière già un secolo fa proponeva la “scuola attiva”

Adolphe Ferrière, psicologo, pedagogista ginevrino (1879-1960), ha rappresentato, con il suo contributo originale, il movimento delle “Scuole Nuove”.

Diede organicità alle diverse idee che avevano ispirato i movimenti delle scuole nuove, accogliendo da Pierre Bovet quel termine “scuole attive” che diventerà il termine di riferimento nella diffusione di proposte educative innovative rispetto alla tradizione della didattica.

Ad un secolo di distanza dalla sua concezione pedagogica, l’impegno a realizzare una “scuola attiva” appare sorprendentemente attuale e lungimirante. Per Ferrière scuola attiva vuol dire scuola che rispetta il bambino nella sua spontaneità,  che offre le opportunità per una libera espressione della personalità di ciascuno.

La scelta di riflettere sul pensiero di questo autore, protagonista riconosciuto a livello internazionale del rinnovamento dell’educazione, è collegata all’attualità della sua concezione del bambino e dell’insegnamento, in un tempo i cui l’attenzione alla scuola, in conseguenza della pandemia ha assunto molteplici prospettive, nel confronto, spesso aspro, che coinvolge docenti, genitori, amministratori, opinione pubblica. Il dibattito sulla frequenza scolastica, sugli spazi, sulle strutture, sulle modalità possibili di insegnare e di apprendere rende attuale la provocazione di un autore del secolo scorso, che ha posto al centro delle sue ricerche il bambino e il rispetto della sua individualità.

Può essere la scuola a misura di bambino? Come?
In un famoso epigramma, scritto in occasione del Congresso fondativo della Lega Internazionale dell’Educazione Nuova (Calais, 1921), Ferrière afferma:

La scuola è stata creata su indicazione del diavolo.

Il bambino ama la natura: è stato parcheggiato in stanze chiuse.

Il bambino vuol vedere che la sua attività sia servita a qualcosa: si è fatto in modo che non avesse alcuno scopo.

Ama muoversi: è stato obbligato a restare immobile.

Ama servirsi delle mani: è stato messo in azione solo il suo cervello.

Ama parlare: è stato costretto al silenzio.

Vorrebbe ragionare: gli è stato chiesto di mandare a memoria.

Vorrebbe cercare la scienza: gli è stata presentata già pronta.

Vorrebbe entusiasmarsi: sono state inventate le punizioni.

Così Ferrière contesta i limiti di una scuola tradizionale che soffoca la spontaneità del bambino, per cui incoraggia spazi e tempi di libertà che tengano conto degli istinti più autentici e profondi muovendo verso lo sviluppo di una personalità aperta alla socievolezza.

Ferrière non lancia solamente messaggi ideali; fu tra i fondatori del movimento dell’Éducation Nouvelle per affrontare concretamente i temi chiave dell’educazione, in particolare quelli della motivazione ad apprendere e dell’interesse. Propone metodi attivi, lavorando in situazioni educative finalizzate, sperimentando nuove modalità organizzative capaci di tener conto delle differenze individuali e di dare valore alla creatività.

Parla di slancio vitale per definire l’energia che produce la vita intesa nelle varie dimensioni: fisica, intellettuale, emotiva, spirituale. Ogni essere vivente va stimolato ed “educato” ad accrescere le sue possibilità per poter vivere sempre meglio nella relazione positiva con gli altri e con l’ambiente.
Importanti sono l’attività manuale, l’esperienza dell’agricoltura e dell’allevamento, il movimento e il contatto con la natura, oltre le escursioni e i viaggi che permettono la scoperta e lo sviluppo di uno spirito di comunità.

Il sapere proposto dalla scuola nuova si incentra su una formazione fatta di esperienza e di cultura, di sviluppo delle attitudini personali nei vari ambiti della conoscenza, dell’arte e della ricerca.

L’interesse è un concetto forte di riferimento perché permette di programmare le attività secondo gli stadi di sviluppo della personalità di ciascuno. L’organizzazione della scuola si struttura secondo moduli di attività finalizzati alla formazione del senso di responsabilità e allo sviluppo di valori etici e democratici. La scuola nuova è un ambiente di vita che tiene in conto la bellezza, che privilegia la sensibilità verso le arti, l’apertura al pensiero creativo e riflessivo.

L’idea di una scuola attiva è efficace nel progettare l’innovazione e nell’ideare contesti scolastici significativi. Ripercorrendo le proposte di Ferrière, la scuola nuova è una scuola laboratorio, realizzata a stretto contatto con la natura, in cui è possibile il lavoro individualizzato e di gruppo.

Una scuola attiva perché capace di superare indici di passività legati alla strutturazione rigida di orari e ambienti, alla relazione unidirezionale docente-alunno, alla uniformità dei programmi.

Il movimento delle scuole nuove perseguiva una grande utopia pedagogica, sviluppare la pace e formare, attraverso la scuola, personalità consapevoli del valore della pace dopo la tragedia della prima guerra mondiale.

Una grande utopia pedagogica si pone con urgenza anche per gli educatori del nostro tempo, impegnati a lavorare in una scuola capace di educare i futuri cittadini ai valori della democrazia, nel progetto di uno sviluppo sostenibile.

Ferrière scrisse numerosi libri, tra cui: L’École active (1920), La liberté de l’enfant à l’école active (1928), L’avenir de la psycologie génétique (1931), L’école active à travers l’Europe (1948), Orthogenèse humaine ou l’Ascension vers l’esprit (1960).

 

100 anni di Edgar Morin

Un punto di riferimento per la cultura europea

Il prestigio e l’autorevolezza di Edgar Morin sono indiscutibili. La sua figura emerge sia sul piano teorico e della ricerca, sia nella partecipazione attiva al dibattito culturale europeo e internazionale. Nei suoi libri ha affrontato i temi cruciali dello sviluppo secondo una prospettiva aperta ai nessi che legano uomo, natura, cultura.

I SUOI SCRITTI

I titoli dei suoi scritti si impongono come dichiarazioni e messaggi che coinvolgono il lettore quale singolo individuo e quale persona appartenente della comunità sociale. Dalla pubblicazione di La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero (2000), e I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001) l’importanza per la scuola di formare teste ben fatte, secondo un’espressione già di Montaigne, ha avuto una cornice di riferimento organizzata rispetto ad assunti riconosciuti, a tutt’oggi, fondamentali. Secondo Morin per una testa “ben fatta” occorre superare l’idea di un sapere parcellizzato in tante discipline per privilegiare le interrelazioni fra le conoscenze e favorire l’integrazione tra cultura scientifica e cultura umanistica.

MORIN E LA RIFLESSIONE SULLA SCUOLA

La scuola deve favorire l’attitudine a trattare problemi, a correlare i saperi in un orizzonte di significato. Costante in Morin è il richiamo, rivolto in particolare agli educatori, a considerare tre sfide fondamentali: la sfida culturale verso un pensiero che sappia privilegiare i contesti e le relazioni tra informazioni e conoscenze; la sfida sociologica per cui apprendere è soprattutto apprendere a vivere, a diventare cittadini del villaggio globale; la sfida civica per cui il sapere si definisce anche in termini responsabilità e solidarietà.

Gli insegnanti, in questo progetto di riforma, hanno compiti fondamentali:

  1. Fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali;
  2. Preparare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana;
  3. Preparare le menti ad affrontare l’incertezza favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;
  4. Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani;
  5. Insegnare l’affiliazione a partire dal proprio villaggio sino al villaggio globale;
  6. Insegnare la cittadinanza terrestre come comunità di destino dove tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi.

LA TEORIA DELLA COMPLESSITÀ E LA RIFLESSIONE SULLA PANDEMIA

Negli anni sono state innumerevoli le pubblicazioni di Morin, accanto ad una sua presenza attiva nel dibattito sui temi caldi dello sviluppo. Morin è un pensatore a cui dobbiamo la declinazione della teoria della complessità (La sfida della complessità, 2017) e una costante attenzione ai temi che riguardano l’etica e il rinnovamento della politica.

Il valore del pensiero critico permea ogni suo intervento come condizione basilare nella formazione alla saggezza. Se costanti sono in Morin le riflessioni sulle relazioni che riguardano noi stessi e il rapporto con il pianeta e con gli altri, fondamentale il suo contributo nella situazione di problematicità e di incertezza come quella che ha caratterizzato la pandemia da Covid-19.

Nel libro Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus (2020) Morin afferma che la pandemia permette di imparare per il futuro in quanto rappresenta la possibilità per gli uomini di diventare consapevoli di appartenere a una comunità di destino. È tempo di cambiare strada, di proteggere il pianeta, di umanizzare la società. «Come vivi?», questa la domanda fondamentale del libro. È urgente chiederselo ogni giorno e ogni giorno rispondere. Una domanda per i politici, gli studenti, i professionisti e, infine, per tutti. C’è bisogno di una nuova autocoscienza. Nessun cambiamento è mai nato se non da una consapevolezza nuova delle implicazioni e delle conseguenze del nostro modo di vivere.

“Già dall’alba dell’umanità, dall’alba dei tempi, eravamo nell’avventura ignota; lo siamo più che mai e dobbiamo esserlo con coscienza […] ci si deve preparare al nostro mondo incerto e aspettarsi l’inatteso. Prepararsi al nostro mondo incerto è il contrario di rassegnarsi a uno scetticismo generalizzato. È sforzarsi a pensare bene, rendersi capaci di elaborare e usare strategie, e, infine, fare con tutta coscienza le nostre scommesse. Sforzarsi a pensare bene è praticare un pensiero che si sforzi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le sue informazioni e le sue conoscenze, che senza sosta si applichi a lottare contro l’errore e la menzogna a se stesso […] una strategia porta in sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta per ciò una scommessa, l’integrazione dell’incertezza nella fede o nella speranza”. 1
 

1 Edgar Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina, 2000.