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Tag: strategie

Gamification a scuola: cosa è?

Come applicarla nell’insegnamento dell’inglese

Potrebbe non essere qualcosa di nuovo per coloro che conoscono un po’ il greco il fatto che le parole: “child”, “game” e “play” in greco hanno in comune la stessa origine. Condividono tutte la stessa radice: paidi, che significa bambino.

Quindi, la frase “Il bambino gioca” sarebbe qualcosa del tipo: “To paidi paizei paixnidia”. Non è sorprendente che in un linguaggio così ricco una sola parola sia usata per trasmettere tre idee diverse? Forse questo potrebbe essere semplicemente perché i termini “child”, “play” e “game” racchiudono tre aspetti dello stesso concetto.

Sin dai tempi antichi si sostiene che il gioco sia di grande importanza per i bambini piccoli e per la loro crescita. Questo assunto è vero ed è confermato da diversi studi che dimostrano come i giochi educativi, compreso l’apprendimento delle lingue, sono utili in svariati modi. Tale consapevolezza ha portato alla crescente popolarità dell’utilizzo di attività impostate sul gioco nell’ambiente di apprendimento, in altre parole, gamification.

Al centro della gamification nelle lezioni di inglese c’è l’incoraggiamento dell’apprendimento attivo. Attraverso giochi e attività ludiche, gli studenti possono sviluppare innumerevoli abilità come il pensiero critico, la creatività, il lavoro di squadra, la leadership, migliorare le strategie per trovare soluzioni e il tutto divertendosi.

Giochi ben progettati, utilizzati in vari modi, attraverso diversi media e piattaforme, possono coinvolgere gli studenti in un modo che pochi altri metodi possono fare. La bellezza del gioco nell’ambiente di apprendimento è che gli studenti sviluppano rapidamente l’autonomia e possono auto-correggersi facilmente, riducendo lo stress emotivo. C’è un chiaro percorso di progressione e gli studenti possono imparare seguendo il proprio ritmo.

Durante il webinar “Let the children play while Santa is coming to town! di mercoledì 9 novembre alle 17 esploreremo il concetto di gamification, vedremo alcuni esempi di attività ludiche (alcune con un tocco natalizio) oltre a siti Web utili e strumenti digitali per aiutarti ad accendere l’entusiasmo per i tuoi piccoli “giocatori”.

 

ENGLISH VERSION
It might not be new to those who understand a little bit of Greek that the words: “child” “game” and “play” in Greek have the same word origin. They all derive from the same root: paidi.meaning child .

So, the phrase “The child plays games” would be something like: “To paidi paizei paixnidia “ Isn’t it interesting that in such a rich language a single word is used to convey three different ideas? Perhaps this might be simply because the terms “child” “play” and “game” reflect three aspects of the same concept.

Since ancient times people seem to believe that playing games is of great importance for young children and their growth. This is quite true and it is confirmed by various studies which show that educational games including language learning are beneficial in numerous ways. This has lead to the ever-growing popularity of using  game-like activities in learning environment, in other words, gamification.

At the core of gamification in the ESL classroom is encouraging active learning. Through games and gamified activities, students can develop countless skills such as critical thinking, creativity, teamwork, leadership, improve strategies to find solutions, all these while having fun.

Well-designed games, played in a variety of ways, using different media and platforms, can engage learners in a way that few other methods can. The beauty of play in the learning environment is that learners develop autonomy quickly and can self-correct easily, with a minimum of emotional stress. There is a clear path of progression and learners can learn at their own pace.

During the webinar Let the children play…while Santa is coming to town” on Wednesday, 9th November at 5p.m  we are going to explore the concept of gamification , will look at some examples of gamified activities  (some with a Christmas touch) as well as useful websites and digital tools to help you ignite excitement to your little “players “ around the classroom.

 

Katerina Nikolla
Teacher Trainer e insegnante di lingua inglese

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I mediatori didattici

L’insegnante come mediatore didattico

Considerare la parola mediatore, a partire da un’analisi etimologica (dal lat. tardo “mediator-oris”) significa valutare il termine nel suo significato di “interporsi”, per favorire una scelta o un accordo. La parola ha un’ampia gamma di usi e di applicazioni a livello culturale, sociale, economico, giuridico. Certamente alcune di queste sfaccettature possono costituire apporti significativi per interpretare la complessità della funzione docente. Non possiamo tuttavia considerare l’insegnante un mediatore nel senso a cui ci ha introdotto il termine riferito alle nuove figure professionali che agiscono in quanto facilitatori di relazioni e di integrazioni, come il mediatore culturale. Né è proprio del docente agire in modo imparziale come avviene nella mediazione propria dell’ambito giuridico.

Possiamo affermare senz’altro che l’insegnante, per lo status che identifica il suo operato, per il profilo di responsabilità che lo rappresenta, è garante dell’educazione, attore nel processo di insegnamento-apprendimento che si realizza nella scuola.

Il concetto di mediatore, in particolare l’esame della specificità del ruolo, può essere utile per riconoscere al docente la capacità di utilizzare i mediatori didattici, secondo la valenza che la ricerca psicopedagogica ha elaborato a livello concettuale e operativo.

Alle insegnanti e agli insegnanti spetta considerare e configurare la scuola come “ambiente di apprendimento”, secondo una definizione propria del linguaggio specialistico della pedagogia e della didattica. Non si tratta semplicemente di insegnare ma di costruire, osservare, valutare situazioni di apprendimento, per avere cura di ogni singolo alunna e alunno, organizzando e animando situazioni specifiche di apprendimento. A tal fine l’insegnante si avvale dei mediatori didattici, vale a dire di strumenti e procedimenti che rendono maggiormente funzionale la comunicazione, che stimolano e potenziano il processo formativo.

La tematica è stata affrontata in modo organico e puntuale dal pedagogista Elio Damiano, autore del libro “La mediazione didattica”, in cui definisce il mediatore didattico come “ciò che agisce da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di conoscenza, sostituisce la realtà perché possa avvenire la conoscenza, ma non si sostituisce alla realtà esautorandola, pur richiedendo di essere trattato come se fosse la realtà, ma sempre, in quanto mediatore, conservando lucidamente la consapevolezza che la realtà non è esauribile da parte dei segni, quali che essi siano”. (E. Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Franco Angeli Editore, 2013)

Damiano rimanda all’indagine sulla conoscenza di Piaget, di Brofenbrenner, alle forme rappresentative esecutiva, iconica e simbolica, studiate da Bruner, alla teoria dell’oggetto transizionale di Winnicott, per analizzare i mediatori didattici definiti: attivi, iconici, analogici, simbolici.

Rispetto agli stessi l’insegnante saprà effettuare le scelte più adeguate e opportune per alunne e alunni, saprà utilizzare mediatori caldi oppure mediatori freddi, come abile manovratore del termostato che regola la temperatura e il clima della classe.  

I DIVERSI TIPI DI MEDIATORI

  • I mediatori attivi sono quelli che fanno riferimento all’esperienza diretta, all’esplorazione, dall’azione in contatto con la realtà fino all’esperimento scientifico, programmato nella dimensione laboratoriale.
  • I mediatori iconici utilizzano il disegno spontaneo, le immagini, gli schemi, le mappe concettuali, il linguaggio delle icone, valorizzando la dimensione grafica e spaziale.
  • I mediatori analogici sono chiamati “ludici” poiché si basano sulle dinamiche del gioco, della drammatizzazione e della simulazione.
  • I mediatori simbolici utilizzano la narrazione, i concetti astratti, i simboli, i codici linguistici, le figure retoriche, la riflessione sul linguaggio e sulle regole.

LA DIDATTICA RETICOLARE E LA DIDATTICA A DISTANZA

La didattica che si avvale dei mediatori didattici è una didattica reticolare, nella prospettiva di una didattica per competenze. Usa in modo integrato tutti i percorsi e le strategie possibili, con l’attenzione ai singoli alunni e alla classe. Variabili importanti sono, infatti, lo stile cognitivo di ogni alunno, la sua storia, la composizione della classe, la realtà extrascolastica.

Non si tratta quindi di variare modalità di presentazione dei contenuti, si tratta di sollecitare l’interesse e la motivazione, di facilitare l’apprendimento con percorsi specifici e integrati. La scelta dei mediatori può offrire risposte alla necessità di differenziare gli interventi, di rispettare le tappe evolutive degli alunni, di valorizzare azioni didattiche coerenti con i molteplici aspetti dello sviluppo della personalità.

Le insegnanti e gli insegnanti utilizzano i mediatori didattici spesso in modo spontaneo, ovvero condizionati dalle risorse a disposizione. La loro attenzione è rivolta a creare occasioni produttive nello svolgersi della programmazione didattica, consapevoli dell’importanza che rivestono mezzi, strumenti, metodologie differenziate nel migliorare la gestione della classe e la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento. La riflessione è aperta sull’impatto dei linguaggi digitali, che in tempo di didattica a distanza hanno cambiato profondamente l’azione didattica e la funzione stessa dell’insegnante e dei mediatori. Il computer permette di differenziare la didattica in classe, favorisce un uso da parte dell’alunno non semplicemente strumentale se gli insegnanti possono utilizzarlo come risorsa finalizzata a superare disabilità, sviluppare l’osservazione, consolidare abilità, sviluppare pensiero critico e creatività. La didattica a distanza ha contribuito a definire l’insegnante un mediatore egli stesso, oltre un professionista capace di utilizzare i mediatori didattici, ha innovato il ruolo focalizzando il suo porsi come “interfaccia”, facilitatore, nella relazione con gli alunni attraverso lo schermo. La trasmissione a distanza implica modi nuovi, molti da esplorare, riguardo la cura degli aspetti affettivi ed emozionali delle situazioni di apprendimento, finalizzate alla elaborazione del sapere e alla strutturazione di percorsi di maturazione dell’identità e dell’autonomia.

Considerando, tuttavia, che la formazione avviene dentro e fuori la scuola, la mediazione didattica deve riguardare anche modalità di intervento della famiglia e degli ambiti sociali di appartenenza, come processo che interessa gli individui nella pluralità e nell’integrazione dei contesti di vita in cui avviene la formazione stessa. Si tratta di rafforzare il confronto, il dialogo e la condivisione, nell’ottica di una consapevole alleanza educativa.

Imparare ad imparare

L’apprendimento e le strategie metacognitive

Nel percorso scolastico di ogni alunno e alunna un nodo spesso problematico riguarda il rendimento, sia quello accertato e verificato, sia quello percepito, correlato alla motivazione ad apprendere.

È nel sentire comune l’esperienza di constatare che i risultati conseguiti nello studio spesso non corrispondono alle aspettative. Capita di ascoltare docenti sconfortati dall’esito delle prove somministrate in classe, studenti e studentesse deluse dalla valutazione ricevuta in un compito, genitori preoccupati del rendimento scolastico dei figli.

Spesso, purtroppo, si consolida l’idea che la difficoltà del compito è insormontabile, che non si hanno capacità adeguate a portarlo a termine.

Si tratta, invece, di riflettere sull’insuccesso, di analizzarne aspetti e manifestazioni, per individuare nuove modalità di avvicinarsi al sapere e all’apprendimento. Così è importante chiedersi se le conoscenze sono state utilizzate in modo efficace, soprattutto se sono state organizzate in modo strategico rispetto ai risultati attesi. Si tratta di avere consapevolezza del funzionamento cognitivo, di poterlo autoregolare rispetto a un compito dato.

Obiettivo formativo per gli insegnanti è guidare l’alunno a diventare capace di migliorare il proprio apprendimento con strategie metacognitive.

Come dimostrano le ricerche condotte a livello di disturbi specifici di apprendimento, esistono correlazioni tra prestazioni cognitive e consapevolezza del funzionamento della propria mente. Ecco che studente e insegnante dovrebbero impegnarsi a individuare strategie per riflettere sulle operazioni mentali svolte per controllarle ed eventualmente modificarle al fine di avere prestazioni migliori. Si tratta di stimolare abilità metacognitive, di attivare la mente a lavorare su se stessa. A livello di metacognizione si considerano, ad esempio, riflessioni dettate dalla volontà di migliorare, quali: “Di quanto tempo ho bisogno per svolgere questo compito?” “A quali difficoltà devo fare attenzione in questa prova?” “Come considero lo svolgimento della prova che mi è stata assegnata?” “In passato ho svolto un compito con difficoltà simili?” Questi interrogativi non sono altro che strategie o conoscenze metacognitive.

La consapevolezza di come si svolge e come può modificarsi il processo conoscitivo è il presupposto per costruire l’abilità fondamentale dell’imparare ad imparare. La psicologia dell’apprendimento usa il concetto di autoregolazione, considera l’importanza di assumere limiti e risorse come sfide positive, considera la valutazione essenzialmente nella dimensione di autovalutazione.

 

LE MAPPE CONCETTUALI

Per imparare ad imparare ed essere capaci di riflettere sulla conoscenza, strumento utile sono le mappe concettuali, che rappresentano e comunicano sapere e processi di apprendimento. Approfondire la tematica prevede di differenziare mappe di tipo concettuale, mentale e strutturale, secondo gli orientamenti propri della ricerca a riguardo. Tuttavia, per quanto riguarda l’uso delle mappe a scuola è importante sottolineare il loro potenziale di risposta ai problemi scolastici degli alunni e delle alunne con difficoltà di apprendimento, con bisogni educativi speciali.

Le mappe concettuali (teorizzate da Joseph Novak) hanno un valore cognitivo, possono definirsi l’individuazione e l’organizzazione dei concetti chiave e delle loro connessioni; possono essere usate sia nelle fasi di studio, sia come schema finale delle conoscenze acquisite. Contribuiscono alla realizzazione di un “apprendimento significativo”, contrapponendosi ad un tipo di apprendimento prevalentemente mnemonico.

La mappa concettuale non rappresenta uno schema sintesi, è una rappresentazione che favorisce la comunicazione, stimola la riflessione, potenzia l’attività cognitiva, genera creatività.   

Le mappe rappresentano uno dei possibili modi di comunicare la conoscenza, una rappresentazione per chiarire, illustrare, esplicitare il sapere su un argomento, una disciplina, un progetto, attraverso relazioni che vengono poste in evidenza. Può essere definita una strategia di tipo organizzativo nel processo di apprendimento. Importante sarà perciò considerare i legami individuati e considerarli nessi di scoperta di relazioni e significati.

 

ALTRE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E LA META-MEMORIA

Altre importanti strategie metacognitive con valenza didattica riguardano la selezione, l’elaborazione, la memorizzazione delle informazioni. Gli insegnanti e le insegnanti possono guidare gli alunni e le alunne ad evidenziare informazioni importanti in un testo stimolando la capacità di scegliere dati pertinenti, essenziali, centrali. Anche leggere un sommario rappresenta una strategia funzionale a poter padroneggiare conoscenze, oppure provare a costruirlo a partire da materiali a disposizione. A livello di elaborazione del sapere una modalità che può sembrare ovvia, spesso sottovalutata, riguarda la capacità di porre attenzione ai legami fra le conoscenze, il saper collegare un nuovo concetto a quanto si è già appreso. Non ultima la memorizzazione, considerata, a livello di ricerca sui processi di apprendimento, meta-memoria.    

Si riferisce alla possibilità di sviluppare la memoria considerandola una capacità da potenziare. Significa superare l’idea che si possa avere buona o cattiva memoria e far uso di strategie di ripetizione efficaci, riuscendo a trovare modalità personali di ripetizione che implicano, ad esempio, la visualizzazione dei dati e delle conoscenze da assimilare.

La didattica metacognitiva contribuisce a stimolare un atteggiamento attivo e responsabile rispetto all’apprendimento. L’alunno impara ad imparare e costruisce il suo metodo di studio. Matura uno stile cognitivo che privilegia la capacità di porre domande, di evidenziare analogie, di astrarre, di stabilire relazioni, di valorizzare la creatività nei problemi da risolvere e nelle attività da svolgere.

A good and happy start

Let’s have a good and happy start!

Ad oggi, i programmi di formazione per insegnanti di inglese come lingua straniera offrono, da un lato, tecniche di sviluppo delle competenze linguistiche (reading, writing, speaking e listening) e, dall’altro, della consapevolezza linguistica (ad esempio, grammatica e fonologia).

Sebbene non vi siano dubbi sul fatto che i due aspetti debbano costituire una parte essenziale del bagaglio dell’insegnante, di fatto, ai docenti non è data la stessa opportunità. Per un numero consistente di insegnanti di inglese, in particolare quelli delle scuole primarie, il desiderio pressante è quello di migliorare la propria padronanza linguistica.

Con la diffusione e la crescente accettazione dei principi comunicativi dell’insegnamento delle lingue straniere nel mondo, c’è una maggiore richiesta, rispetto al passato, affinché gli insegnanti parlino correntemente l’inglese per usarlo in modo naturale e spontaneo in classe. Questa pressione spesso genera stress e disagio nei docenti con l’effetto opposto, cioè, si evita di usare l’inglese in aula per non commettere errori.

Se vogliamo che i bambini usino l’inglese in classe e anche fuori di essa è importante che noi, come insegnanti, cerchiamo di usare l’inglese il più possibile. In questo modo, non solo diamo un buon esempio, ma offriamo anche ai bambini una maggiore esposizione alla lingua. Inoltre, ci concediamo l’opportunità di migliorare la nostra padronanza linguistica.

Tuttavia, c’è resistenza nell’uso dell’inglese in classe. Tra le ragioni per cui i docenti, talvolta, sono restii ad adottare l’inglese ci sono la mancanza di fiducia nelle loro capacità linguistiche, paura di sbagliare o pronunciare erroneamente alcune parole. In altre parole, parlare in italiano “risulta più semplice”…

Durante il webinar “A good and happy start” – Classroom Language routines to build teachers’ confidence and improve fluency and comprehension in the primary classroom di mercoledì 21 settembre alle ore 17.00, vi illustreremo alcune strategie e attività in lingua inglese per rafforzare la fiducia in sé e sviluppare le proprie capacità linguistiche e quelle dei bambini, promuovendo maggiore interazione in classe.

Mariana Laxague
Teacher Trainer

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CLIL made easy

Progettare una lezione CLIL

Sebbene il CONTENT AND LANGUAGE INTEGRATED LEARNING (CLIL) possa essere la metodologia più adatta per l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue in un’Europa multilingue, l’applicazione del metodo rimane incompiuta. Una lezione CLIL non è, come si può pensare, una lezione di lingua né una lezione di materia tenuta in una lingua straniera. Una lezione CLIL di successo dovrebbe combinare una serie di elementi relativi allo sviluppo cognitivo, culturale, comunicativo e nozionistico dei bambini oltre a sviluppare in maniera bilanciata le quattro abilità linguistiche (Reading, Writing, Speaking and Listening).

Progettare una lezione CLIL è molto più semplice e immediato di quanto si possa pensare. Occorrerà tanta voglia di esplorare, condividere, riflettere e progettare con altri colleghi affinché si possano organizzare delle attività interdisciplinari stimolanti e rilevanti per i bambini.

Infine, sarà necessario creare delle routine all’interno della classe perché i bambini si abituino a fare associazioni di concetti e contenuti mentre sviluppano le proprie capacità linguistiche.

Durante il webinar “CLIL made easy” three simple steps to create CLIL lessons in the primary classroom di mercoledì 19 ottobre alle ore 17.00, vi illustreremo brevemente la metodologia CLIL per creare velocemente ed efficacemente lezioni innovative affrontando argomenti di varia natura in lingua inglese.

Mariana Laxague
Teacher Trainer

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Fine dell’anno

Tempo di raccolta: risponderà alle nostre aspettative?

La fine dell’anno per le insegnanti e gli insegnanti è il momento della raccolta.

Se vogliamo fare un paragone poetico, possiamo pensare al grano. In autunno il seme, a giugno la spiga.

A settembre accogliamo le nostre alunne e i nostri alunni per un nuovo percorso di semina, li affianchiamo, stimoliamo la loro curiosità e i loro pensieri. Mettiamo in atto strategie affinché crescano nel sapere, nella consapevolezza, nelle competenze.

Durante l’anno ci fermiamo per verificare se la crescita procede con regolarità, se dobbiamo modificare qualche passaggio o innaffiare di più.

Ora siamo qui a chiederci: come sarà questa raccolta? Risponderà alle nostre aspettative?

Non è detto. Le variabili che incidono sui risultati sono tantissime: le bambine e i bambini sono tutti diversi per attitudine, temperamento, storia, retroterra familiare e sociale.

Dunque, la prima cosa che dico sempre quando parlo alle giovani colleghe o colleghi, bando agli stati d’animo negativi o alle colpevolizzazioni.

Nessuno di noi è perfetto, ogni scelta che abbiamo operato è stata oggetto di riflessione e ponderata con cura. Tuttavia, può essere che alcune cose abbiano funzionato meno di altre, l’importante è riuscire a metterle a fuoco per modificare il tiro.

Come? Direte voi. Ad esempio, utilizzando una metaforica cartina di tornasole.

Se in una classe di 22 bambini e bambine, almeno 18 dimostrano di aver capito l’argomento, significa che il mio intervento ha avuto una buona efficacia.

In questo caso l’obiettivo sarà ristrutturare il percorso con i 4 bambini che hanno avuto risultati negativi, proponendo attività e prospettive diverse, facendo in modo che colmino il divario che li separa dall’acquisizione della competenza. Tenendo sempre bene a mente che esistono LIVELLI differenti e che le richieste vanno tarate sul singolo bambino o bambina e sulle sue difficoltà.

Se il rapporto è invertito e sono solo 4 i bambini che hanno raggiunto l’obiettivo prefissato allora significa che è l’insegnante ad avere sbagliato l’approccio.

Soprattutto in questo caso, bando allo scoramento. I riscontri servono proprio per farci aggiustare il tiro. L’apprendimento nella Primaria si situa su una spirale, gli argomenti si ripropongono più volte, in modalità via via più complessa.

Se un anno ci sembra lungo, cinque anni sono quasi una vita per la nostra classe. Dunque, c’è tempo per ogni cosa. Credetemi, ve lo dice una che di turni ne ha visti più di uno…

E, mi raccomando, tenete sempre bene a mente il mio mantra: “i bambini sono come i fiori, fioriscono quando è ora”.

Buona fine dell’anno scolastico!