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Autore: Redazione Raffaello

Educazione civica come educazione alla libertà

Rendere viva la Costituzione italiana e formare persone libere

L’educazione civica dovrebbe avere come centro, come cuore, la Costituzione Italiana.

Nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale per opera delle madri e dei padri costituenti, la Carta  si basa sulla partecipazione libera e consapevole dei cittadini alla vita del Paese e prescrive come sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscano tale partecipazione. Uno di questi ostacoli è, con tutta evidenza, la poca o nulla conoscenza della Costituzione stessa in cui vi appunto sono espressi, con chiarezza e con un linguaggio accessibile a tutti, i diritti e i doveri di ciascuno di noi.

Ragazzi e ragazze dovrebbero avere una doppia dimestichezza con la Costituzione: sapere quali sono i principi fondamentali su cui essa si basa e attuare quelle azioni che permettano di metterla in pratica. Se l’insegnamento teorico dell’educazione civica è importante per essere davvero cittadini italiani e non solo ospiti inconsapevoli del territorio, senza azioni concrete esso diventa un mero esercizio scolastico, concluso da una valutazione finale analoga a quella che potrebbe meritare un esercizio di grammatica o un test di aritmetica.

L’apprendimento delle azioni concrete avviene, durante tutta l’età evolutiva e forse anche oltre, specialmente per mezzo dell’esempio.

Si può affermare senza cadere nella retorica che l’insegnante incarna, con il proprio comportamento, i principi costituzionali. Se i suoi atti contraddicono le sue parole, queste ultime risultano vuote di reale significato. Creare un ambiente senza disuguaglianze, fare in modo che siano rimossi gli ostacoli che impediscono agli allievi di partecipare pienamente alla vita scolastica significa applicare i valori espressi nella Carta.

Se la libertà personale rappresenta il valore irrinunciabile di una democrazia, essa dovrebbe essere anche il fondamento della scuola. La libertà non si può insegnare a persone che non sono in grado di pensare con la propria testa, di accedere a un’informazione corretta, di esprimere le proprie idee, di rincorrere quei sogni, quei desideri, quelle speranze che rendono la vita degna di essere vissuta. Inoltre, non è certo libero l’allievo cui non sia concesso di valorizzare i talenti dei quali è dotato, talenti che non sempre corrispondono agli standard stabiliti dal programma. E, nonostante la Costituzione affermi nell’articolo 33 che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” non è certo libero quell’insegnante che antepone programmi, aspettative, risultati all’unicità di ciascun allievo.

In un ambiente scolastico e in un Paese ideali, esercitare la propria libertà e, nello stesso tempo, riconoscere la libertà altrui significa evitare qualsiasi forma di prevaricazione. Non è perciò abbastanza corretto affermare che “la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro”, ma è meglio essere consapevoli che siamo liberi se sono liberi anche gli altri: in una galera il carceriere, pur potendo comandare e sottomettere, non è meno prigioniero del carcerato. Per fare un esempio molto semplice, in genere un allievo, per andare in bagno, deve chiedere il permesso all’insegnante. Da studentessa prima e da docente, in seguito, ho sempre ritenuto umiliante questa prassi, umiliante per ambedue i soggetti. Un allievo dovrebbe andare in bagno senza chiedere il permesso, ma rispettando un paio di regole: uscire uno alla volta, attendere la fine di una spiegazione importante, a meno che non ci sia un’urgenza. Sembra una sciocchezza, ma è anche su questo che si basa la quotidianità della comunità scolastica. È necessario, perciò, scardinare tutti quei pregiudizi e convenzioni, che, nell’ambito della scuola, imprigionano parimenti allievi e docenti e limitano di fatto la libertà personale.

Del resto, l’educazione civica mira a formare cittadini non sudditi. E un/una insegnante, che antepone le regole burocratiche all’allievo e al proprio lavoro educativo e didattico, non può formare cittadini consapevoli.

A volte, nella scuola, si perpetuano delle abitudini su cui non si riflette. Una tradizione ha un valore in quanto storia, non perché debba essere immutabile.

L’educazione civica come esempio è perciò la conditio sine qua non per rendere viva la Costituzione e per formare persone libere. La libertà favorisce l’azione creativa e rende responsabili. Gli esecutori di ordini, coloro che credono di non avere scelta, sono privi di qualsiasi senso di responsabilità.

La libertà diventa un argomento scivoloso al pari di quello che tratta dei diritti e dei doveri quando il punto di partenza siamo noi: noi desideriamo la nostra libertà, vogliamo che siano riconosciuti i nostri diritti personali o di categoria e, in genere, ci diamo da fare per questo.  Cambiando il punto di vista, se tutti invece ci dessimo da fare per la libertà altrui, per i diritti altrui? Se avessimo solo dei doveri? Lo affermò con estrema lucidità la filosofa Simone Weil che, ne La prima radice (edizioni SE) scrisse: Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti e dei doveri a essi corrispondenti. (…) Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono degli obblighi verso di lui.

È pur vero che un simile modo di considerare l’altro sembra appartenere a un mondo ideale, a un’utopia, ma spesso è l’idea che dà forma al pensiero e che guida l’azione. Mi sembra si possa almeno tentare di realizzare quelle visioni che potrebbero migliorare il mondo, invece di rassegnarsi a una piatta consuetudine. La rivoluzione fatta a suon di forconi finisce spesso nel modo descritto da Orwell ne La fattoria degli animali oppure così come afferma il motto del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente.

La rivoluzione delle idee (da non confondere con le ideologie!), che favorisce un mutamento di prospettiva, ha una potenza secolare se non millenaria. Basti pensare a come, dopo la diffusione dei Vangeli, cambiarono i rapporti umani e la concezione del bene e del male. Quindi possiamo accontentarci di propinare agli allievi un certo numero di ore di “educazione civica” con tanto di programma e di verifiche, con l’illusione di aver fatto il nostro dovere e di aver meritato lo stipendio a fine mese, oppure possiamo crederci davvero e rendere l’educazione civica un’iniziazione a una vita migliore.

L’educazione civica dovrebbe condurci alla pratica di idee nuove, oppure di idee che tanto nuove non sono, ma che non abbiamo mai applicato del tutto o in parte, così come risultano inapplicati o applicati solo in parte alcuni principi costituzionali. È evidente che c’è ancora molta strada da fare per realizzare le idee che ispirarono le madri e i padri costituenti. Alcune sono rimaste fisse sulla Carta, ma non sono state attuate, tanto che, ancora ai giorni nostri, si rende necessario, per esempio, trovare dei modi per rendere effettiva la parità fra i sessi, oppure per assicurare un’autentica libertà di stampa.

Quest’ultima necessità è tanto più urgente quanto più le nuove tecnologie, pur assicurando da un lato una diffusione vastissima delle notizie e la conoscenza di ciò che accade nelle zone più sperdute del pianeta, dall’altro propinano un’informazione drogata dalle cosiddette fake news e comportano un controllo capillare sulle persone. Bene ha fatto quindi il legislatore nell’introdurre il tema nell’educazione civica, perché i giovani (e non solo), anche se sono abilissimi nell’uso dello strumento tecnologico, non sempre possiedono gli strumenti mentali per discernere, comprendere, discriminare. E il problema diventa maggiore in quanto neppure i docenti sono in grado di verificare l’autenticità di alcune informazioni che sono scelte in base agli interessi e anche ai pregiudizi di chi le cerca.

Un altro tema, fondamentale per la qualità della vita e perfino per la nostra sopravvivenza, è la protezione dell’ambiente. L’8 febbraio 2022 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di riforma costituzionale sulla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, integrando l’articolo 9 della Costituzione che determina la protezione del paesaggio. Inoltre, è stato riformato anche l’articolo 41, in cui si ribadisce che la libera iniziativa economica non deve recare danno alla salute e all’ambiente. Come ho già affermato, l’insegnamento dell’educazione civica passa in prevalenza attraverso l’esempio e l’azione. Non è sufficiente spiegare agli allievi che il territorio deve essere protetto, ma bisogna attuare comportamenti e progetti per cambiare il modo di rapportarsi con i luoghi dove si vive. In questo caso, il luogo principale è la scuola con suoi annessi.

Qui avvengono spesso sprechi di materiale, di acqua, di carta, di energia che sono diventati una brutta abitudine e, come tutte le abitudini, una consuetudine invisibile. Dal cibo buttato nelle mense scolastiche alla carta utilizzata per qualche scarabocchio, dai rubinetti lasciati aperti nei bagni ai cestini colmi di materiali eterogenei, dalle luci dimenticate accese nelle aule vuote alla ridondanza delle fotocopie, dal verde violato, strappato, deperito nei giardini (quando ci sono) alle colonne di auto con il motore acceso che si forma all’uscita e all’entrata delle scuole: da tutto questo possono costituirsi progetti di miglioramento, di sensibilizzazione e di protezione che rappresentano un percorso attivo di educazione civica.

Non si tratta, quindi, di sottrarre ore alle altre discipline per inventarsi una nuova materia, ma di fare meglio e con più consapevolezza ciò che già si intraprende in molte scuole in modo estemporaneo e in base alla buona volontà dei singoli insegnanti. Ora tutto il corpo docente è chiamato a educare se stesso e gli allievi a una cittadinanza libera, partecipata, informata. Mi sembra sia questo il discrimine introdotto dalla legge 92 del 2019 e dalle linee guida del decreto 35 del 2020: l’educazione civica non è più un complemento delle altre discipline, ma un’azione discussa e programmata insieme per formare cittadini responsabili che abbiano compreso e maturato i valori della legalità, della solidarietà e della partecipazione democratica.

Gli insegnanti hanno spesso l’impressione di fare le nozze con i fichi secchi, così come recita il detto popolare. La scuola è caricata di un sempre maggior numero di incombenze e di responsabilità, spesso deve sostituirsi a una famiglia assente o insicura. La società diventa più complessa, aumentano i problemi. Se gli attrezzi del mestiere di insegnante rimangono quasi primitivi, se gli ambienti scolastici, gli spazi, i sussidi si riducono a causa dei tagli delle spese e del fatto che la scuola non è considerata un investimento per il futuro, ma un debito per il presente, ebbene, il lavoro diventa difficoltoso e ci si scoraggia. Una legge, per quanto efficace e lungimirante, senza adeguati finanziamenti rimane quasi lettera morta. La formazione dei docenti inoltre è quasi sempre teorica e burocratica: indica degli obiettivi, propone griglie e format di programmazione e di valutazione, ma non suggerisce quasi mai percorsi e azioni. 

Credo sia giunto il momento che i docenti prendano in mano la situazione da cittadini consapevoli esercitando la libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione,  abbandonando la brutta abitudine di accettare che tutte le decisioni e le scelte siano fatte per loro da qualcun altro. Consapevoli di essere non i frammenti di un’istituzione gerarchica incollati a malapena insieme come un vaso rotto, ma un organismo di professionisti uniti da uno scopo nobile e fondamentale, un corpo i cui organi funzionano bene se stanno tutti bene.

Una rivoluzione delle idee può essere il fondamento di una scuola più fresca, libera, felice. Sì, felice perché, in fondo, lo scopo della democrazia dovrebbe essere quello di fondare una società mite, gioiosa, dove l’apprendimento nutra non solo il corpo avendo come finalità il successo lavorativo e personale, ma soprattutto lo spirito e dove l’accoglienza e l’uguaglianza siano tanto realizzate quanto divenga superfluo affermare che lo debbano essere.

Primavera in versi

Tre poesie per celebrare la natura

 

L’armonia dell’uomo nei confronti della natura è una possibilità, una sfida, un atto di coraggio, una conquista.

La poesia è una forma espressiva e un’esperienza da vivere per esprimere il rapporto dell’uomo con la natura, alla ricerca di una possibile armonia.    

Avvicinarsi alla Natura con testi tra loro diversissimi per stile e storia degli autori è ancora un modo per riflettere su cosa sia l’incanto della Natura e cosa rappresenti il rischio della sua distruzione.

 

L’incanto dei boschi senza sentiero

Vi è un incanto nei boschi senza sentiero.
Vi è un’estasi sulla spiaggia solitaria.
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
in riva alle acque del mare profondo,
e vi è un’armonia nel frangersi delle onde.
Non amo meno gli uomini, ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei io mi libero
da tutto quello che sono e da quello che ero prima,
per confondermi con l’universo
e sento ciò che non so esprimere
e che pure non so del tutto nascondere.

George Gordon Noel Byron, poeta e politico britannico, noto come Lord Byron (Londra, 22 gennaio 1788 – Missolungi, 19 aprile 1824)  

 

Natura, vattene!

Le gridarono:
“Vattene, Natura!”.
Lei si prese paura.
Fece il suo fagottello:
ci mise dentro
l’ultimo alberello,
l’ultima viola
dell’ultima aiuola
e uscì dalla città.
E va, e va…pensava:
“Mi fermerò nei boschi!”.
Ma i boschi erano stati
disboscati.
“Mi fermerò nei prati!”.
Ma erano tanto piccoli:
non c’era posto per tutti
gli insetti, i mammiferi,
gli uccelli, i tramonti…
“Vattene, Natura!”
E lei se ne andò:
in quattro ripiegò
gli ultimi prati
come fazzoletti.
Lasciò il pianeta
AccaZeta…
Adesso lassù
è tutta una città:
di verde – ve lo posso
giurare – c’è rimasto
solo il semaforo,
quando non è rosso…

Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980)

 

Il 23 aprile si festeggia la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’autore, ricorrenza promossa dall’UNESCO  per valorizzare e celebrare la lettura come attività culturale fondamentale nella vita e nella storia dei popoli e dell’umanità.

Per questa data così importante scegliamo di leggere una poesia dedicata al mese di Aprile da Anna Frank. Il suo invito, rivolto a guardare il cielo fuori dalla soffitta, comunica la tristezza della segregazione e della solitudine ma, al tempo stesso, è un invito a superare  confini di sofferenza, perché esprime il pensiero della felicità legata alla libertà di guardare il cielo.

 

Aprile

Prova anche tu,
una volta che ti senti solo
o infelice o triste,
a guardare fuori dalla soffitta
quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare
il cielo senza timori,
sarai sicuro
di essere puro dentro
e tornerai
ad essere Felice.

 Anna Frank  (Francoforte 1929  –  Bergen-Belsen, 1945)

8 Marzo: la festa di tutte le donne

Il primo, più evidente, è l’intento di rendere omaggio allo spirito femminile, che custodisce e genera il mistero della vita e ha contribuito, al pari dell’uomo, al progresso dell’umanità.

La seconda lettura è più sottile, ma in molti non mancano di sottolinearla: in genere le giornate speciali vengono dedicate alle minoranze, a quelle categorie che hanno lottato o stanno lottando per i loro diritti, per vederli riconosciuti in una società che tende a sottovalutarli.

Purtroppo, ancora oggi, le donne appartengono a questa categoria e reclamano una società più giusta che riconosca pari dignità alla donna, non nella misura in cui essa uguaglia il modello maschile, ma in quanto rispetta la sua vera natura, diversa sì, ma mai inferiore.

Ciò è dimostrato dai fatti: l’intelligenza, il lavoro, l’impegno, il coraggio delle donne sono testimoniati da tante figura femminili vissute in ogni spazio e in ogni tempo.

I nomi da citare a questo proposito sono molti, troppi per farne un elenco esaustivo, ma ognuna di queste donne ha condotto una vita speciale, fatta di dedizione assoluta all’obiettivo da raggiungere, in una società che ha spesso tentato di ostacolarne il valore.
Pensiamo a Ipazia, matematica e filosofa vissuta quasi 2000 anni fa che fu uccisa in modo atroce per la pericolosità delle sue idee, fino ad arrivare a Marie Skłodowska Curie, costretta a lasciare la Polonia, suo paese natale per terminare gli studi in Francia dove scoprì, insieme al marito, le proprietà radioattive del radio che sta alla base dei raggi X. E più avanti nel tempo troviamo Rita Levi Montalcini che, lavorando nel suo laboratorio fino all’età di 100 anni, ha scoperto il fattore di crescita delle cellule nervose consentendo la cura di malattie ritenute inguaribili.
E potremmo continuare presentando  eccellenze femminili che non riguardano solo il mondo della scienza, ma anche quello delle arti, dello sport e dell’impegno civile.

Queste persone eccezionali rappresentano un esempio importante anche per ragazze e ragazzi.

Per stimolarli a riconoscere il proprio valore e a impegnarsi per realizzarlo, a non arrendersi e a lottare quando serve, perché i talenti individuali esigono di essere espressi, pena l’infelicità e l’impossibilità di raggiungere una autentica realizzazione personale.

E LA FIGURA FEMMINILE  NELL’ EDUCAZIONE? 

Parlando di educazione dobbiamo sottolineare il ruolo fondamentale che la donna esercita anche in questo campo, un ruolo che le compete fin da quando il bambino viene alla luce e, attraverso la “cura” che la madre gli dedica, acquisisce il senso del suo valore nel mondo.

Il valore formativo dell’azione della donna prosegue poi fino alla maggiore età, se consideriamo che nella scuola italiana circa l’80% dei docenti è costituito da donne.

Sono molte le figure femminili che si sono distinte per attività di ricerca e innovazione riguardo ai processi di apprendimento e ai metodi per favorirlo. Citiamo, una fra tutte, Maria Montessori, una delle prime donne medico italiane, la quale ha attuato una vera e propria rivoluzione della pratica scolastica.
Quasi un secolo fa, essa ha messo al centro dell’atto pedagogico l’esperienza del bambino, i suoi interessi, la sua sensorialità, incoraggiandolo a sviluppare autonomia e libertà di scelta.

Storie di grandi uomini e grandi donne

 

Sarebbe ancora lungo l’elenco delle grandi donne, celebrate anche nel libro “Storie di grandi uomini e di grandi donne” edito da Raffaello Libri nella sezione Raffaello Ragazzi, alla cui lettura rimandiamo chi volesse approfondire l’argomento.

 

 

Voglio infine concludere rendendo omaggio a tutte le  donne il cui nome non comparirà mai nei libri di storia,  ma che, non per questo, sono meno importanti.

Si tratta di  lavoratrici, madri, figlie, compagne che quotidianamente tengono le fila di un equilibrio complicatissimo dividendo tempo ed energie tra impegni professionali, sociali e familiari.
Sono affiancate in questo, da uomini divenuti in genere, più collaborativi, ma la reale parità di richieste sociali tra uomo e donna non è ancora pienamente raggiunta.

Dunque auguro buon 8 marzo a tutte le donne, “comuni” o famose, per tutti gli atti di eroismo che, ogni giorno, in ogni paese del mondo, diffondono e tengono alto l’orgoglio del femminile.

L’estate in versi

Colori della natura, colori dell’anima

Ci sono ancora le stagioni?

Quante volte sentiamo dire “le stagioni di una volta non ci sono più!”.
Quelle familiari, consuete, ricorrenti stagioni che segnano le atmosfere di un luogo, le trasformazioni di un bosco, i colori di un giardino, le abitudini, le feste e i ritmi del vivere quotidiano. Non ci sono più, ovvero non si fanno riconoscere, quando una pioggia improvvisa o un gelido vento annullano ogni presagio di bella stagione oppure quando un cielo terzo e una temperatura mite sconfiggono l’uggia e il grigio di un periodo cosiddetto invernale.

 

Eppure, le stagioni ci sono, basta aprire un libro di scuola, un testo di studio che, nelle pagine dedicate alle scienze, invita i bambini a scoprire i frutti di stagione, il letargo di certi animali, il variare di alba e tramonto. Queste le stagioni astronomiche, le quattro puntuali primavera, estate, autunno, inverno, che possono in alcune parti della terra corrispondere alle stagioni meteorologiche, le quali, nelle regioni polari o nelle zone tropicali, possono essere due, considerando i mutamenti climatici e ambientali che intervengono. Uno sguardo che sappia tener conto di una molteplicità di fattori è sempre vincente per elaborare conoscenze mirate a costruire il sapere! Poi ci sono le stagioni della storia, le stagioni dei ricordi e quelle della vita. Ricorsività e cicli che accompagnano evoluzioni e involuzioni, criticità e progresso, successo e fallimenti.

 

Siamo adesso in estate, il tempo del riposo per alcuni, della luce più intensa, dei colori più accesi.

Tra i molti modi di godere di questa stagione, rispecchiando in essa la vita, sicuramente il più meditativo è riscoprirla nelle parole, e ritrovare la sua bellezza attraverso la poesia. Ci sono molti testi, ormai classici, dedicati, appunto, all’estate, o che attraverso l’estate sollecitano il pensiero.

 

Così quando Fernanda Pivano scrive “Piovve tutta la notte/ Sulle memorie dell’estate”, il verso interpella la memoria della stagione che passa e anche la riflessione del lettore che è disponibile a interrogarsi.

 

Estate è il titolo di questa poesia di Hermann Hesse:

“Improvvisamente fu piena estate.

I campi verdi di grano, cresciuti e

riempiti nelle lunghe settimane di piogge,

cominciavano a imbiancarsi,

in ogni campo il papavero lampeggiava

col suo rosso smagliante”.

 

 

Questa la descrizione unica di Vincenzo Cardarelli:

“Distesa estate,

stagione dei densi climi

dei grandi mattini

dell’albe senza rumore

ci si risveglia come in un acquario

dei giorni identici, astrali,

stagione la meno dolente

d’oscuramento e di crisi,

felicità degli spazi,

nessuna promessa terrena

può dare pace al mio cuore

quanto la certezza di sole

che dal tuo cielo trabocca,

stagione estrema, che cadi

prostrata in riposi enormi,

dai oro ai più vasti sogni,

stagione che porti luce

a distendere il tempo

di là dai confini del giorno,

e sembri mettere a volte

nell’ordine che procede

qualche cadenza dell’indugio eterno.”

(Vincenzo Cardarelli, Estiva, 1915)

 

L’Estate è anche nei versi di Pablo Neruda:

“Ardono i seminati,

scricchiola il grano,

insetti azzurri cercano ombra,

toccano il fresco.

E a sera

salgono mille stelle fresche

verso il cielo cupo.

Son lucciole vagabonde.

crepita senza bruciare

la notte dell’estate.”

 

 

La riflessione profonda di Anna Andreevna Achmatova:

Ed è caduta la parola di pietra

Sul mio petto ancor vivo.

Non è nulla, vi ero preparata,

Ne verrò a capo in qualche modo.

Ho molto da fare, oggi:

Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,

Bisogna che l’anima si pietrifichi,

Bisogna di nuovo imparare a vivere,

Se no… L’ardente stormire dell’estate,

Come una festa oltre la finestra.

Da tempo avevo presentito questo

Giorno radioso e la casa vuota.

(Anna Andreevna Achmatova, Sentenza, Estate 1939)

 

 

 

 

Estate è anche intimità:

“L’estate è finita

Sono più miti le mattine

e più scure diventano le noci

e le bacche hanno un viso più rotondo.

La rosa non è più nella città.

L’acero indossa una sciarpa più gaia.

La campagna una gonna scarlatta,

Ed anch’io, per non essere antiquata,

mi metterò un gioiello.”

(Emily Dickinson, Poesie, 1858-1859)

 

Estate è lasciarsi andare con Sensazione:

“Nelle azzurre sere d’estate, me n’andrò per i sentieri,

punzecchiato dal grano, calpestando l’erba fina:

sognando, ne sentirò ai miei piedi la freschezza.

Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Non parlerò, non penserò a nulla:

ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,

e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo,

per la Natura, – felice come con una donna.”

(Arthur Rimbaud, Sensazione, 1870)

 

 

Estate vuol dire anche Ferragosto, così nella filastrocca, tutta giocata tra scherzo e ironia, di Gianni Rodari:

“Filastrocca vola e va

dal bambino rimasto in città.

Chi va al mare ha vita serena

e fa i castelli con la rena,

chi va ai monti fa le scalate

e prende la doccia alle cascate…

E chi quattrini non ne ha?

Solo, solo resta in città:

si sdrai al sole sul marciapiede,

se non c’è un vigile che lo vede,

e i suoi battelli sottomarini

fanno vela nei tombini.

Quando divento Presidente

faccio un decreto a tutta la gente;

“Ordinanza numero uno:

in città non resta nessuno;

ordinanza che viene poi,

tutti al mare, paghiamo noi,

inoltre le Alpi e gli Appennini

sono donati a tutti i bambini.

Chi non rispetta il decretato

va in prigione difilato”.

(Ferragosto, da Filastrocche in Cielo e in Terra, Gianni Rodari, Einaudi Ragazzi, 1996)

 

 

Non dimentichiamoci del corpo dei bambini

Come aumentare la resilienza corporea in tempi di distanziamento fisico

Secondo il famoso dizionario della lingua inglese “Collins” delle 10 parole più utilizzate nel 2020 sia nella lingua parlata che scritta, ben sei sono correlate alla pandemia mondiale.

 

Vediamole insieme: lockdown, coronavirus, furlough (congedo non retribuito), key worker (lavoratore essenziale), self-isolate (auto-isolamento), social distancing (distanziamento sociale).

 

Guardo allora con curiosità le ultime quattro nella speranza di trovare qualcosa che abbia a che fare con “fiducia, ripresa, cura, benessere, resilienza”, ma trovo soltanto: BLM, acronimo del movimento USA contro la discriminazione razziale e le violenze, Megxit, termine usato per descrivere il “divorzio” di Harry e Meghan con la casa reale britannica, TikToker, utente della piattaforma TikTok e infine mukbang“, un neologismo creato in Corea del Sud che descrive chi posta video di sé stesso mentre ingurgita quantità esagerate di cibo.

Immagino allora di poter aggiungere almeno una parola in coda, che è stata per necessità trascurata in questi mesi, immobilizzata in quanto agente di contagio, declinata in termine di salute come assenza di malattia: il corpo.

 

Parlando di corpo e di conseguenza dell’importanza del benessere corporeo come precondizione dell’apprendimento e dell’esperienza di crescita, non possiamo dimenticare come già Damasio nel libro “L’errore di Cartesio” considera un grande errore filosofico aver separato il corpo e la sua fisicità dal ragionamento e dal giudizio morale della mente.

Gli effetti dell’enunciato “Cogito ergo sum”, sono purtroppo ancora oggi, a volte, riscontrabili nel modo di pensare sia:

 

  • nell’educazione, “continuo a ripetere a mio figlio la stessa cosa ma non mi ascolta, non ha imparato a rispettarmi”;
  • nell’insegnamento , “il mio alunno quando spiego non sta fermo quindi non è capace di mantenere l’attenzione”;
  • nella pratica medica, “non ci sono cause organiche per cui è sicuramente ansia”.

 

Ma parlando di benessere corporeo, quale “tempio” dell’esperienza di apprendimento, la prima immagine che ci salta agli occhi in questi mesi è la limitazione all’espressività corporea, al movimento, al contatto tra pari e al gioco non solo che ci siamo imposti, ma che abbiamo dovuto imporre ai bambini, a scuola, a casa e anche nelle attività ludiche e sportive.

 

Un corpo che si è dovuto limitare all’esposizione di una serie di “esperienze di base e di bisogni” indispensabili allo sviluppo positivo dell’identità tra i quali, pensando in particolare alla fascia 0-6 anni, ci limitiamo a ricordare:

 

  • Essere amati, rassicurati, calmati.
  • Ricevere stimoli e nutrimento.
  • Sentire fiducia, serenità e calore.
  • Essere tenuto e contenuto.
  • Sperimentare il contatto e la manipolazione.
  • Provare curiosità e il senso di esplorazione.
  • Agire il movimento, l’espressione, l’espansione.
  • ecc …

 

Quest bisogni si traducono nella vita quotidiana di un bambino in movimento del corpo (definite da Rispoli “esperienze di base del Sé”1) che, se vissute dal bambino, aumentano la resilienza corporea, ossia la capacità dell’organismo di autocalmarsi ed autoregolarsi per ritornare in uno stato omeostatico di equilibrio dei vari parametri psicofisici nel minor tempo possibile dopo uno stimolo negativo legato alla frustrazione.

 

Vediamo alcune delle tante esperienze di base presenti nello sviluppo psicoevolutivo di un bambino:

 

  • Essere presi e portati (la sensazione di affidarmi ad un adulto che mi prende per mano e mi accompagna ad esempio alla mia seggiola).
  • Essere contenuti (essere abbracciato finché la sensazione di agitazione che ho dentro di me non passa).
  •  Potersi abbandonare (sperimentare ad esempio un momento in cui ci lasciamo andare a terra l’uno vicino al respiro dell’altro).
  • Darei prenderei lanciare (scambiarsi oggetti, prendere dalle mani dell’altro, lanciarsi a vicenda una palla).
  • Perdere il controllo (iniziare ad esempio a girare velocemente su se stessi nella stanza perdendo temporaneamente l’equilibrio e iniziando a sbattere e a toccare gli altri).
  • Aggressività positiva (possibilità di andare verso l’altro, trattenerlo, spingerlo, afferrarlo, in alcuni casi cercare di morderlo).
  • Autonomia fisica (capacità di opporsi, respingere, confinare, e distanziarsi o distanziare con le mani qualcuno).
  • (possibilità di manifestarsi non le parole ma con il corpo: gioia, energia e slanci, giocare, correre, lanciarsi verso, lanciarsi contro.

 

Intuiamo allora facilmente come un corpo, se eccessivamente limitato per un periodo piuttosto lungo nei primi anni di vita nell’espressione di bisogni ed impulsi rischia un “denutrimento” o in alcuni casi inizia a rispondere in termini di disagio come ad esempio:

 

  • Comportamenti di attacco (il bambino si ribella e si oppone manifestando rabbia e frustrazione).
  • Agiti di fuga (il bambino si crea una falsa autonomia che lo spinge a farcela da solo ed impara ad aggrapparsi solo a se stesso).
  • Risposte di congelamento (il corpo del bambino si irrigidisce, il respiro si fa corto, muscolatura tesa).
  • Pianto non consolabile (il bambino da voce ai propri bisogni ritornando a sperimentare il pianto indifferenziato del neonato).

 

Non dimentichiamoci del corpo dei bambini, di quello stato di grazia naturale, di benessere spirituale e fisico che tendiamo a perdere nel corso della crescita quando il dovere diventa la parola d’ordine dell’educazione, quando dobbiamo conformarci alle aspettative esterne quando l’emergenza pandemica ci obbliga simbolicamente ad anestetizzare il corpo per non contattare il desiderio di contatto, di movimento,

di relazione di spontaneità.

 

Non dimentichiamoci come insegnanti genitori, educatori in questo periodo ancora così complicato dal distanziamento fisico, di rimettere tra le dieci parole più usate e praticate tutti i giorni, il corpo: affinché non si interrompa il compito fondamentale dell’educazione che ci ricorda G. Klein “il bambino ha il compito attraverso l’esperienza di scoprire il piacere del proprio funzionamento”.

 

1 Luciano Rispoli, Esperienze di base e sviluppo del sé, Franco Angeli

2 Pat Odgens, Psicoterapia Sensomotoria, Raffaello Cortina

Ulisse: l’eroe del folle volo

Il viaggio di Ulisse come allegoria dell’esistenza

La Commedia è la narrazione del viaggio di Dante e, in modo allegorico, del cammino dell’umanità verso il Bene e la Perfezione. All’interno del grande affresco spicca, in modo straordinario, il viaggio di Ulisse, l’eroe del “folle volo”.

Ulisse è il personaggio leggendario che Dante incontra nel XXVI Canto dell’Inferno. Parla della sua Itaca, dell’amore per Penelope, per il suo vecchio padre e per il figlio Telemaco. Ma soprattutto racconta del desiderio di ripartire dalla sua terra natale per affrontare il mare e tentare nuove esperienze in territori mai attraversati.   

vincer potero dentro a me l’ardore 
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, 
e de li vizi umani e del valore.
(Inf., XXVI, 97-99)

Dante lo ammira per la sua tenacia e il suo ardore ascoltando l’esortazione rivolta ai marinai timorosi di fronte al pericolo.

 «Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguire virtute e canoscenza».  (Inf., XXVI, 118-120)

ULISSE: L’EROE DELLA CONOSCENZA

Il personaggio che incontriamo nell’Inferno dantesco non è più il protagonista dell’Odissea, l’Ulisse che torna a Itaca, e ai suoi affetti, ma l’uomo che da Itaca vuole ripartire per tentare nuove scoperte. È affascinante la modernità e l’attualità di Dante che proietta in questo viaggio, oltre le colonne d’Ercole, il valore della conoscenza. Dante non giudica l’eroe greco temerario, gli affida il messaggio di una vita che vale se spesa per il sapere, la verità, il coraggio.

Ulisse rappresenta il simbolo dell’amore per la conoscenza, l’eroe che per il desiderio di sapere non ha esitato a spingersi oltre i limiti che nessun uomo aveva mai tentato di superare. Il suo viaggio terminerà tragicamente perché lui e i suoi compagni moriranno in fondo al mare a causa della tempesta. Dante scrive di un “folle volo” perché Ulisse, superando lo Stretto di Gibilterra, ha varcato il limite posto da Dio alle conoscenze umane ed è stato giustamente punito. Resta la memoria di un’impresa mai tentata prima in nome della volontà di scoperta, con l’animo pieno di audacia. Così le parole di Ulisse manifestano il sentimento di Dante che riconosce il valore della grande missione di Ulisse e proietta la sua impresa nell’orizzonte della sua vita.

IL VIAGGIO COME ALLEGORIA

Il viaggio è quindi allegoria dell’esistenza, ma anche dell’esilio, e rappresenta la condizione dell’uomo politico lontano dalla sua città. Immagine universale dell’uomo lontano dalla sua vera patria e lontano dalla Felicità del Bene ultimo. Il viaggio nei tre Regni dell’oltretomba è la rappresentazione dell’arduo cammino per trovare la “diritta via” la quale, smarrita nella “selva oscura”, può essere raggiunta attraverso la ragione e la fede. Una rigenerazione che, simbolicamente, non riguarda solo l’uomo Dante, ma l’umanità intera. Il poeta è il protagonista e il testimone di un destino di riscatto che la Commedia rivela possibile e sublime.

 

Scopri tutte le iniziative della Casa Editrice in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante: tante letture interessanti e approfondimenti ti aspettano!

Parole a 360° – I territori della comunicazione: “scrivere” un sorriso

Storia e curiosità sul significato delle emoji

C’è un nuovo territorio della comunicazione, disseminato di immagini e simboli, arricchito di icone familiari largamente utilizzate grazie allo sviluppo dell’informatica e delle sue applicazioni.

Oggi anche chi non appartiene alla generazione dei nativi digitali utilizza le famose “faccine” per inviare, tramite i vari device messaggi veloci e personalizzati. Un sorriso, impossibile da comunicare on line, diventa possibile usando la punteggiatura di un qualsiasi programma di videoscrittura e si può sorridere inviando uno smile. La volontà di arricchire la comunicazione virtuale con aspetti propri della comunicazione non verbale: gesti, sguardi, tono della voce, scaturisce dal bisogno di recuperare un’interazione sociale “faccia a faccia” connotata dal punto di vista emotivo. La comunicazione è relazione e uno smile può esprimere il calore, la gioia, la simpatia di uno scambio autenticamente umano.

Questa esigenza ha preso forma nel 1982 con le emoticon (emotion e icon) grazie all’informatico Scott Fahlman, ricercatore della Carnegie Mellon University di Pittsburg (USA), il quale propose di usare : – ) e : – ( per distinguere le battute dalle affermazioni. Sono nate da questo accostamento le icone per esprimere emozioni.

Le emoji sono arrivate più tardi, tra il 1998 e il 1999, create da una società di comunicazione giapponese tra il 1998 e il 1999 da Shigetaka Kurita. Sono vere e proprie immagini utilizzate per esprime significati specifici e utilizzate al posto delle parole che rappresentano.

Il termine emoji deriva dall’unione di “e” (immagine) + “mo” (scrittura) + “ji” (carattere). La traduzione di emoji è pittogramma (parola immagine).

Pur con le differenze legate alla loro ideazione, è difficile distinguere nettamente emoticon e emoji. Segni e faccine si modificano continuamente; resta la differenza per cui le emoji, che si contano ormai a migliaia, necessitano di un programma che ne permetta la lettura e la visualizzazione.

Anche chi possiede livelli minimi di competenza digitale può utilizzare le emoji grazie agli automatismi di scrittura di molti tipi di smartphone e facilmente le ritrova in una infinità di prodotti: oggetti di decoro, gadget, illustrazioni pubblicitarie, processi e gradimento di iniziative.

La consistenza del loro valore relazionale è indiscutibile e questo spiega la scelta dell’Oxford Dictionary che nel 2015 ha portato l’emoji che piange di gioia “The face with tears of joy” ad essere parola dell’anno!

tears of joy

 

Le icone capaci di esprimere emozioni rappresentano un cambiamento e una trasformazione delle modalità comunicativa, legate alle innovazioni prodotte dalle tecnologie digitali. Tale cambiamento realizzerà un ponte capace di avvicinare culture diverse e individui portatori di storie ed esperienze differenti? Quale influenza legherà le nuove abitudini ai contesti d’uso?

Certamente siamo di fronte ad un nuovo linguaggio: un nuovo sistema di simboli che sempre più spesso adoperiamo in sostituzione alle parole o insieme ad esse per comunicare affetto, indignazione, rabbia, entusiasmo. Oltre la sfera personale, il nuovo linguaggio riguarda anche i messaggi di lavoro che, attraverso le emoji, diventano più immediati e incisivi.

Una curiosità davvero particolare? A Londra una società ha pubblicato perfino un annuncio di lavoro per un “traduttore di emoji”. 

Una nota azienda produttrice di acqua ha iniziato la diffusione nel mercato di bottigliette da mezzo litro per offrire al consumatore la possibilità di scegliere la bottiglia che meglio rappresenta un proprio stato d’animo o quella in grado di trasmettere un messaggio emozionale ad un amico o a un familiare.

Un esempio, anche questo, del successo delle emoji off-line!

emoji offline

A proposito…

Lo sapevi che il 17 luglio è stata istituita la Giornata Mondiale delle Emoji? Un giorno speciale tutto dedicato alle faccine e delle immagini che accompagnano quotidianamente i nostri messaggi di testo.

Ma quali sono le faccine più utilizzate?

I vari report confermano che l’emoji più usata è la faccina che ride con le lacrime di gioia, mentre il cuore (❤) è al secondo posto della classifica e la faccina che soffia un bacio al terzo.

bacio cuore

 

Curiosità: conosci i significati di queste emoji?

1)

confusione

Questa faccina viene spesso usata per indicare noia o delusione.
In realtà il significato che vuole trasmettere è quello della confusione. È perplesso per una certa situazione. In alcune piattaforme compaiono le sopracciglia che accentuano il sentimento di confusione. È in uso dal 2012.

2)

bacio innocente

Questa emoji ha una doppia interpretazione. 
Il significato più conosciuto è quello della faccina che manda un bacio. Ma può essere anche una faccina che sta fischiando. Secondo questa seconda versione, il messaggio che manda è “sono innocente, fingo di non aver combinato nulla”. 
È in uso dal 2012.

 
3)

bolla di sonno

Questa faccina non indica uno stato influenzale né uno starnuto.
La bolla che esce dal naso è la “bolla di sonno”. Va usata per esprimere noia, poco interesse per ciò che succede, per indicare che si è annoiati. È usato nei manga giapponesi per indicare un personaggio che dorme. È in uso dal 2010.

4)

pregare

Nella cultura giapponese, le due mani congiunte indicano “per favore” o “grazie”. Altri modi per cui viene usato questo simbolo, ma in maniera errata, è per una richiesta disperata, una preghiera o due mani che si battono il cinque. 

L’importante è che qualcuno MI VEDA

Internet e bambini: riflessioni di una maestra

Ho atteso qualche giorno prima di esprimere quello che provo e penso in relazione alla tragedia di Antonella, la bambina di Palermo, per rispetto, per angoscia, perché avevo bisogno di un momento di silenzio interiore per riflettere.

Insegno da molti anni e conosco i bambini. Ormai è diventato una specie di sesto senso. Li fiuto, sento le loro emozioni, le assorbo, le percepisco in una specie di osmosi.

I bambini sereni sono morbidi, hanno occhi morbidi e sorrisi naturali, si muovono con calma, accettano di perdere al gioco, non sgomitano per la fila, conversano, si arrabbiano, se è il caso, ma poi ritornano a sorridere quasi subito, non richiedono l’attenzione continua della maestra, se sbagliano si dispiacciono ma poi si correggono e riprendono a lavorare. I bambini sereni, qualunque sia il loro carattere, timidi, intraprendenti, grossolani o delicati, hanno intorno una nuvola dolce, come se fossero avvolti nei marshmallow.

E poi ci sono gli altri. I bambini complicati. Quelli si portano dietro un alone di fatica. Un po’ come Pig Pen dei Peanuts, lo ricordate? Pig Pen camminava avvolto da una nuvola di polvere che lo seguiva ovunque. Ebbene, questi sono i bambini che non riescono a stare fermi, che provocano, che litigano durante i giochi, che non accettano le sconfitte, che piangono di rabbia o che mascherano il loro dolore con atteggiamenti sfidanti, che cercano di attirare l’attenzione in tutti i modi. Bambini il più delle volte sofferenti, che confondono perché spesso presentano agli insegnanti una facciata spavalda e, se non stai attento, puoi cascare nella loro trappola. Che alla fine è quello che vogliono, perché se tu li redarguisci, vuol dire che li hai visti. Se ti hanno fatto perdere le staffe, hanno raggiunto il loro scopo: dimostrare che sono cattivi, che alla fin fine è il loro modo di difendersi.

Lungo la mia strada di maestra ne ho incontrati tanti di bambini, per questo ho sviluppato nel tempo la capacità di connetterli immediatamente con la tipologia di genitore o di situazione dalla quale provengono. È come un filo che vedo subito, la corrispondenza.

Situazioni di trascuratezza, o di iperprotezione – che alla fine sono due facce della stessa medaglia nel senso che creano danni entrambe – situazioni di attenzioni apparenti, di immaturità genitoriale, di ambizioni trasferite, di conflitti tra coniugi, di abbandono, situazioni di relazioni serene tra genitori conviventi o separati, situazioni armoniose, in cui “si prepara il bambino per il viaggio e non il viaggio per il bambino”.

In mezzo a tutto questo quadro così umanamente variegato, ahimè, si è innestata la tecnologia. Di conseguenza, laddove le situazioni familiari risultano “armoniche”, l’utilizzo della tecnologia riesce in qualche modo ad essere regolamentato e supervisionato, seppure a fatica. In tutte le altre, sfugge di mano.

Internet è un pericolo, ma la stragrande maggioranza dei giovani genitori non ne è consapevole. E così il cellulare, il computer diventano per i bambini un passatempo qualunque, un modo per riempire la solitudine, per intrattenere rapporti con comunità virtuali vicine e lontane. Un mondo che la pandemia ha dilatato enormemente. Capita (o capitava) a tutti di vedere al ristorante, sul treno, per strada bambini persi nei cellulari, e genitori contenti, perché così “stanno tranquilli”. Bambini seduti su panchine dei giardinetti che si sfidano con un gioco virtuale. Comunità che sfuggono al controllo, giovani youtuber che diventano modelli di comportamento, di linguaggio, di trasgressione.

Se poi questi viaggi nella realtà parallela si svolgono nella solitudine di una cameretta, allora perdono ogni confine, vale tutto e il contrario di tutto, l’importante è far parte di una comunità, l’importante è che qualcuno mi veda.

Tre S mi vengono in mente: solitudine, superficialità, sottovalutazione. Unite alla mancanza di regole. Perché non è scritto da nessuna parte che un bambino di 8 anni debba possedere un cellulare. E nemmeno di 10 o 11. E, se proprio deve averlo, non è prescritto dal medico che necessariamente debba connettersi a Internet.

I genitori darebbero la loro automobile da guidare al proprio bambino? Nessuno lo farebbe, a meno che non fosse impazzito.

È un mondo complicato e pieno di stimoli il nostro, frettoloso, competitivo, ansiogeno e stressante, ma i bambini non possono farci nulla. Loro non chiedono di venire al mondo, ma, una volta che ci sono, hanno diritto al tempo, all’attenzione, alla cura, alla protezione degli adulti. Hanno diritto al gioco creativo, a cucinare i biscotti, ad ascoltare una fiaba, a giocare a palla o a nascondino con amici in carne e ossa, hanno il diritto all’ascolto. Hanno diritto a delle regole, attraverso le quali strutturare la loro forza futura.

Nel mio nuovo libro sui diritti dei bambini, La leggerezza delle nuvole, c’è un racconto sul diritto all’ascolto che si intitola: “Il diritto di Emily”. Che non è altro che il diritto di Antonella e di tutti gli altri bambini che meritano di avere intorno adulti degni di questo nome.

 

Parleremo del rapporto tra i bambini e la tecnologia nel percorso di lezioni in diretta raccontate in classe da Luca Pagliari, giornalista e storyteller con il quale collaborerò per gli sviluppi didattici, utili a collocarle nell’ambito dell’educazione civica.

Per maggiori informazioni clicca qui!

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Un libro, tanti cuori – Come le parole si trasformano in immagini?

Oggi, per la rubrica “Un libro, tanti cuori” vi presento un illustratore bravissimo: Richolly Rosazza.

Sono molto emozionata perché Richolly è l’autore delle bellissime tavole che danno vita ai protagonisti de “La leggerezza delle nuvole”.

Dunque, non perdiamo tempo e sentiamo, a questo proposito, che cosa ci dice Richolly.

Caro Richolly, ci racconti brevemente come sei diventato illustratore?

Io in Perù ho studiato all’accademia d’arte come pittore. Dopo che sono arrivato in Italia, più di dieci anni fa, quando esponevo i miei quadri, alcune persone mi chiedevano se fossi un illustratore, per via dello stile dei mie lavori. È lì che è nata la mia curiosità per il mondo dell’illustrazione. Ho cominciato ad andare in libreria, a vedere gli albi illustrati, ad informarmi sulla storia dell’illustrazione e degli illustratori. Ho frequentato dei brevi corsi che mi hanno permesso di conoscere da vicino il mondo degli albi e ho cominciato a partecipare ad alcuni concorsi.

Che cosa ti piace in particolare del tuo lavoro?

Quando ero piccolo mia nonna mi narrava molte storie, io molto preso dai racconti, mentre l’ascoltavo, riuscivo ad immaginare ogni scena: personaggi, luoghi, particolari… come illustratore mi piace l’idea che i racconti, che una volta rimanevano solo nel mio immaginario, diventino immagini vere.

 busayna

Quando devi illustrare un libro, un racconto, una poesia, come agisci? Cioè, come immagini le situazioni?

Di solito dopo la prima lettura al testo che devo illustrare, immagino già alcune scene e personaggi in generale, poi inizio a comporre il disegno creando una composizione nello spazio riservato all’illustrazione. A volte cerco tra i miei schizzi delle immagini che mi possano aiutare.

Riesci subito a trovare “il personaggio” o fai diverse prove finché non risponde a quello che avevi in mente?

Dipende, a volte non c’è bisogno di fare tante prove, altre volte quando il personaggio è importante e deve apparire in quasi tutte le pagine faccio qualche prova. Soprattutto per far sì che vengano bene le varie posizioni che il personaggio dovrà assumere e per trovare i giusti colori.

Come fai interpretare il pensiero dell’autore del testo? 

Solitamente cerco di non farmi condizionare da quello che potrebbe pensare l’autore e lavoro il più possibile sulla mia interpretazione, dopo c’è sempre un confronto con l’autore o l’editore.

Non hai paura di creare qualcuno o qualcosa di diverso rispetto a quello che l’autore aveva in mente?

A volte sì, ma so che ci può sempre essere uno scambio di idee. Faccio prima un disegno a matita e lo faccio vedere all’autore o all’editore e se c’è qualcosa che non va… la matita fortunatamente si può sempre cancellare.

Quale posto hanno le emozioni nel dirigere la tua matita?

Molto, quando sono di cattivo umore non riesco a lavorare, quando disegno un racconto allegro mi viene da sorridere lavorando. Mi immedesimo sempre molto.

 

nico Ne LA LEGGEREZZA DELLE NUVOLE, quale racconto ti è piaciuto di più?

Il primo racconto: Il diritto di sognare.

Quali emozioni ti ha suscitato la lettura?

Disegnare un bambino che sogna di volare come un uccello mi ha fatto pensare che tutto è possibile usando l’immaginazione e questo mi ha fatto sentire sereno e libero.

Come hai “visualizzato” i protagonisti?

Sono partito dalle descrizioni dei racconti e poi ho immaginato alcune scene che ho visto, a volte i personaggi prendono le sembianze dei miei vecchi compagni di scuola o di bambini che conosco.

Quali tecniche hai utilizzato? Perchè?

Ho utilizzato la tecnica digitale che è quella che solitamente utilizzo per i libri scolastici.

Sei soddisfatto del risultato? Cioè, pensi di essere riuscito a “raccontare” per immagini quello che raccontano le parole?

 rafael

Spero di sì, l’editore era soddisfatto, diciamo che questa è la mia conferma, poi mi direte anche voi come vi sembra.

È successo qualche volta che un autore non si sia ritrovato nella tua narrazione per immagini?

Mi è successo di dover fare alcune modifiche ai miei lavori per avvicinarmi di più al pensiero dell’autore o dell’editore. Per questo libro non è avvenuto. L’autore era contento del risultato.

 

lindita

Grazie Richolly, per averci raccontato il tuo lavoro e le emozioni che hai provato illustrando LA LEGGEREZZA DELLE NUVOLE!

 

Scopri la leggerezza delle nuvole!

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Un libro, tanti cuori – Chi è e cosa fa il redattore di una casa editrice?

“Un libro, tanti cuori” è una rubrica di interviste che ci accompagna scoprire quali cuori battono dietro ai libri.

La puntata di oggi vede protagonista Emanuele Ramini, redattore del Gruppo Editoriale Raffaello

Ciao Emanuele, puoi raccontarci qual è il tuo ruolo nella vita di un libro?

Ciao a tutti! Direi che ogni volta che esce un libro mi sento un po’ papà. Come un bambino piccolo, un libro che nasce ha bisogno di cure continue: deve essere nutrito, vestito, curato… E se quello del papà è il compito più bello del mondo, anche il mio lavoro mi coinvolge da tutti i punti di vista, emotivamente e professionalmente.

Bella la metafora. Che cosa succede dal momento in cui un manoscritto arriva sulla tua scrivania?

In realtà quando un manoscritto arriva sulla mia scrivania siamo già un bel pezzo avanti. Il difficile viene prima, quando si deve scegliere il libro da pubblicare, una scelta che si fa in base alle direttive ministeriali e didattiche, alle tendenze del momento, ai gusti dei ragazzi, alle mode, alle vendite dei libri degli anni precedenti, alle intuizioni, alla selezione delle tante proposte che ci arrivano e ci incuriosiscono… Questo lavoro, che si svolge in stretto rapporto con le direttrici editoriali e in collaborazione con l’ufficio commerciale, dura spesso dei mesi. Individuato il tema, esso viene proposto a un autore che si ritiene idoneo e si aspetta di leggere la proposta.

Quando appunto arriva il manoscritto sulla scrivania (dopo alcuni mesi necessari per la scrittura), si passa alla lavorazione concreta del testo. Si parte dal menabò, o “timone”, che in ambito editoriale, rappresenta lo scheletro del libro: un foglio con tante caselle che rappresentano tutte le pagine del libro, ogni casella corrisponde a una pagina, alcune più importanti sono evidenziate con colori diversi. Per ottimizzare al meglio i tempi di lavoro, adottiamo dei moduli con previsioni di tempistiche da rispettare e annotazioni critiche sul prodotto.

In effetti ci hai fatto riflettere sul momento determinante della scelta dei testi da pubblicare. È vero, da fuori non si pensa mai a questa fase, la scelta non deve essere facile. Poi?

Generalmente il ciclo produttivo di un singolo testo di narrativa copre un periodo di 5/6 mesi; in questo semestre si verifica un continuo lavoro di scambio tra me e il laboratorio grafico. Dopo aver effettuato una prima lettura e revisione del testo, lo passo infatti al grafico di riferimento, il quale realizza una prima impaginazione o “bozza” del libro: lo arricchisce creativamente, aggiunge box colorati, cornici, titoli, il formato della pagina giusta, il numero di pagine esatte e… gli “ingombri” (gli spazi) per i disegni. Fatto questo, mi torna la prima bozza, apporto le necessarie correzioni e inserisco le descrizioni da inviare al disegnatore scelto per illustrare il testo. Questo scambio di bozze con i grafici continua fino a quando si ritiene che il prodotto sia pronto per essere stampato. Insomma, per semplificare: io e gli altri della redazione ci occupiamo del contenuto del libro, i miei colleghi grafici si occupano della sua piacevolezza e bellezza estetica. Voglio solo dire che per cura del contenuto non mi riferisco solo alla correzione degli errori ortografici, ai “refusi”, ma al linguaggio usato dall’autore a 360 gradi. Se troppo difficile si può intervenire alleggerendolo o inserendo dei box ai lati della pagina che spieghino i termini complessi o semplificandolo con termini familiari che non scoraggino il giovane lettore. Non è neanche giusta un’eccessiva semplificazione del testo, vanno invece presentati termini o espressioni “nuove” per il giovane lettore, così da rendere il linguaggio non sciatto e banale. In alcuni testi, quelli più rivolti al mondo della scuola, vengono inserite schede didattiche e approfondimenti, curati da esperti del settore. Lo scopo di queste pagine è quello di aiutare chi legge a interiorizzare il contenuto, abbinare il momento di svago e di piacere della lettura al potenziamento della sua personalità.

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Quante cose… Tempo fa abbiamo intervistato in questa rubrica una illustratrice. Tu cosa ci dici dei disegni?  

Durante la lavorazione del libro vengono via via inserite le matite, ovvero le illustrazioni, chiamate in questo modo perché sono ancora poco più che schizzi in bianco e nero. Se le matite sono pertinenti al testo si può procedere alla fase successiva, ovvero al colore. In un libro per bambini, la scelta dell’illustrazione è importante quasi quanto il contenuto. Anche per la scelta delle illustrazioni i punti di riferimento sono l’età dei lettori e il genere del libro. Esistono, nel panorama internazionale, tantissimi stili diversi: acquarelli, pastelli, tempere, collage… chi lavora al computer, chi lavora a mano. Inoltre, ogni illustratore ha un proprio stile: chi semplice, con toni caldi, morbidi e lineari, adatti di solito per le fiabe e per le prime letture; chi invece utilizza dei colori più vivaci e con forti marcature, abbastanza dettagliate, con stili vicini al fumetto, di solito preferibili per i ragazzi un po’ più grandi (dai 10-11 anni in poi). Ci sono inoltre disegnatori specializzati che si occupano delle collane a sfondo storico, in questo caso i disegni non sono frutto della fantasia del disegnatore, ma documentati nei dettagli (abbigliamento, copricapi, armature, abitazioni, capanne, villaggi, luoghi sacri, templi, chiese…). Un testo di avventura deve avere dei disegni colorati con tonalità intense, in modo da rimarcare l’atmosfera che aleggia nel libro. Se consideriamo invece un libro per bambini davvero piccoli (5/6 anni), si farà attenzione a rintracciare disegnatori con tratti morbidi, in genere tondeggianti, e dalle tonalità cromatiche leggere.

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Una curiosità, tutti i vostri libri sono scritti con lo stesso carattere del computer?

Per le prime letture, quindi fino ai 6 anni, il testo è maiuscolo e la dimensione del carattere è molto grande, tra 16 e 18 punti, in modo da essere ben leggibile e non mettere in difficoltà il bambino; stessa cosa vale per l’interlinea: una buona spaziatura facilita la lettura. Anche il colore del testo è importante: nel racconto domina il nero, ma non si escludono parole ed espressioni con colori e caratteri diversi usati di solito per le parole onomatopeiche o altre espressioni particolari, in modo da rendere la lettura più dinamica e vivace. Via via che si sale con l’età del lettore, via via si rimpiccolisce il carattere e l’interlinea usati

Non abbiamo parlato della copertina.

La copertina è fondamentale. Si dice che “l’abito non fa il monaco”, ma nel caso del libro, non potendo conoscere il contenuto, è una bella copertina che invita alla lettura o meno. In primis, il titolo: con pochissime parole, deve incuriosire e attirare l’attenzione del lettore. Spesso inseriamo un sottotitolo che riveli, con una frase, l’essenza del racconto. La scelta dell’illustrazione di copertina è importante quanto la scelta del titolo. Deve essere accattivante, rivelare qualcosa ma non troppo, in genere con personaggi che guardano il lettore, non di spalle. Fondamentale anche il retro del libro, la cosiddetta quarta di copertina. Nei libri per ragazzi, ma non solo, questa parte solitamente si compone di elementi fissi: un brevissimo riassunto (sinossi), in cui si accenna solamente, si crea suspense e curiosità; il messaggio che si vuole trasmettere ai giovani (metatesto): “Attraverso una storia divertente e coinvolgente scopriamo che…”. Qualche riga dedicata all’autore: aspetti insoliti e curiosi su chi ha scritto il libro.

È difficile il tuo lavoro? Quali sono i problemi maggiori che incontri?

Difficilissimo, ahahah. No, scherzo. Non so se quello del redattore sia un lavoro difficile, di sicuro è un lavoro molto molto bello, ogni giorno differente. Soprattutto ho la fortuna di parlare quotidianamente con i migliori scrittori per ragazzi a livello nazionale e questo è un sicuro arricchimento. Il dialogo e il confronto con gli autori è una sicura risorsa. 

Le difficoltà sono soprattutto quelle di dover innovare più possibile, sia nei contenuti, sia nella grafica, e non è molto facile visto che si tratta pur sempre di libri cartacei…

Scusaci ma qui non possiamo non chiederti un parere sui nuovi formati, i tablet, gli ebook ecc. Stanno penalizzando il prodotto libro cartaceo?

Direi di no. Più giusto dire che negli ultimi anni il “prodotto libro” sta cambiando veste: al prodotto cartaceo si aggiungono presentazioni video, audioletture per i bambini con difficoltà, brani musicali o giochi da inserire online per divertirsi con i protagonisti dei libri, brani in lingua per stranieri, siti appositi con ampliamenti del testo… Insomma, noi siamo dell’idea che il libro sia un prodotto oggi più completo di ieri, questo grazie alle nuove tecnologie.

E quale aspetto invece ti piace di più del tuo essere redattore?

A me piace molto lavorare sui testi classici. Mi piacciono tutti, italiani e stranieri, anche perché magari da anni non li avevo riletti. Dalle fiabe di Esopo, a Alice nel Paese delle Meraviglie, Peter Pan, I ragazzi della Via Paal, Il Libro Cuore, Moby Dick, Salgari ecc ecc. Ogni volta che devo lavorare a un classico mi sembra di tornare ai tempi della scuola e non mi pesa. Oltretutto sono convinto che le fiabe siano determinanti per una corretta crescita emotiva sin da piccolissimi.

Che cosa vorresti che i bambini dicessero o pensassero mentre sfogliano uno dei “tuoi” libri?

Innanzitutto, mi piacerebbe che i bambini si innamorassero della lettura, così da sviluppare la propria fantasia. Uno dei miei sogni è contribuire a far sì che i bambini, nostri lettori, diventino cittadini responsabili di domani. Per questo una tematica, per noi importantissima, è legata alla cittadinanza: l’educazione ambientale, stradale, le storie sulla nostra storia, sulla Costituzione, i nostri diritti e doveri, e così via. I romanzi da noi pubblicati di cui sono più orgoglioso sono quelli sugli eroi che hanno combattuto contro la mafia, sui grandi uomini e le grandi donne di tutti i tempi, sull’importanza della donazione di sangue, sulla lotta al bullismo e il dovere di rispettare le leggi. Gli studenti arrivano alle superiori completamente a digiuno su certi temi e a volte non sanno neppure comprendere che cosa significa democrazia, monarchia, dittatura, ovvero non conoscono le varie forme di governo. Nostro impegno è farli crescere anche come cittadini, grazie a delle letture non solo belle ma anche istruttive.

A che livello è la scrittura e la lettura oggi in Italia?

A giudicare dalle decine e decine di proposte di pubblicazioni che riceviamo a settimana, direi che in Italia tutti scrivono! Almeno, scrivono per bambini e ragazzi. Come detto sopra, non direi che gli apparecchi multimediali hanno penalizzato il settore: d’altra parte è scrittura pure quella dei messaggini telefonici e quella dei social. Logicamente l’arte letteraria è un’altra cosa e non tutti possiedono talento. I libri dello Scrittore con la S maiuscola non sono solo passatempi, che passano di moda, ma cambiano la vita di chi li legge. Noi facciamo al meglio il nostro lavoro se riusciamo a scovare, tra le proposte, i libri che appunto “resistono” nel tempo.

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Grazie mille Emanuele per le tante cose che ci hai detto.

Grazie a voi e… buona lettura a tutti!

Gestire l’intervallo

Idee e suggerimenti per le prime settimane di scuola

Accoglienza terza parte. Gestire l’intervallo

Una delle problematiche principali che dovremo affrontare in questo anno difficile sarà la gestione dell’intervallo. Ecco un elenco di attività e suggerimenti pratici da utilizzare per rendere gli intervalli un momento idoneo a scaricare la tensione e a divertirsi, rispettando le regole di in sicurezza che il momento ci impone. Tenendo sempre bene a mente la necessità di aerare bene e frequentemente il locale con l’apertura delle finestre.

Gestire l’intervallo: divertiamoci sul posto

Consiglio: far portare ai bambini un sacchettino nel quale inserire i “resti” della merenda (contenitori di succo vuoti, cellophane delle merendine, bucce di frutta…) onde evitare che si assembrino intorno al cestino dei rifiuti.

IL DIRETTORE D’ORCHESTRA

Dopo aver consumato la merenda e aver risposto in cartella il sacchettino dei rifiuti, i bambini si alzeranno in piedi, sistemeranno la sedia sotto il tavolino e si posizioneranno a desta del banco. Inizia la maestra proponendo una serie di gesti diversi che gli alunni dovranno imitare. I gesti potranno essere più statici ( movimenti di braccia, occhi, testa, mani, naso…) o più dinamici (saltelli sul posto, saltelli su un piede, battute di mani, battute di piedi, trotto, corsa sul posto…). La maestra lascerà quindi il posto ad un bambino e questi, a turno, chiamerà un altro compagno e così via. L’unica regola da seguire: si alterna una femmina con un maschio.

GIACOMINO ALL’INCONTRARIO

Dopo aver consumato la merenda e aver risposto in cartella il sacchettino dei rifiuti, i bambini si alzeranno in piedi, sistemeranno la sedia a desta del banco posizionandosi davanti. Inizia la maestra. I comandi devono essere eseguiti all’incontrario:

– Giacomino sale sulla sedia
– Giacomino scende dalla sedia
– Giacomino si siede
– Giacomino si alza
– Giacomino si mette a destra
– Ecc

Chi sbaglia si siede. La maestra lascerà quindi il posto ad un bambino e questi, a turno, chiamerà un altro compagno e così via. L’unica regola da seguire: si alterna una femmina con un maschio.

BALLANDO SI PUÒ

Dopo aver consumato la merenda e aver risposto in cartella il sacchettino dei rifiuti, i bambini si alzeranno in piedi, sistemeranno la sedia sotto il tavolino e si posizioneranno davanti al banco. La maestra mette alla LIM, laddove possibile, coreografie da copiare. Ecco alcuni link:

https://www.youtube.com/watch?v=0yBrWDS3N6M&t=76s

https://www.youtube.com/watch?v=aogNWORL_j0&t=5s

https://www.youtube.com/watch?v=BvbKOmlh2TA

LA STORIA DI TUTTI

Dopo aver consumato la merenda e aver risposto in cartella il sacchettino dei rifiuti, i bambini si alzeranno in piedi, sistemeranno la sedia sotto il tavolino e si posizionerano davanti al banco. Inizia la storia la maestra. “C’era una volta una bambina che camminava vicino a un lago…”

Mentre narra la maestra cammina, compie gesti, produce suoni e interpreta col viso sempre rimanendo sul posto. Chiama quindi un/una bambino/a, questi si volta verso i compagni e prosegue la storia, sempre accompagnandola con gesti, suoni e movimenti sul posto. Quando si interrompe, torna a voltarsi verso la maestra chiamando un nuovo compagno che a sua volta si volta verso i compagni e prosegue la storia, sempre accompagnandola con gesti, suoni e movimenti sul posto. L’ultimo bambino rimasto ha il compito di trovare un finale alla storia.

Primi giorni di scuola: emozioni e attività manuali

Suggerimenti di Flavia Franco

In questo articolo vi propongo altri suggerimenti per affrontare al meglio le prime prime settimane di scuola.

Ho pensato di creare un elenco di attività pratiche da utilizzare in classe in questo periodo che sarà sicuramente complesso.

 

1. Le palette delle emozioni

Siccome il problema principale sarà l’impossibilità del contatto fisico, potremo creare delle palette “emozionali” che i bambini potranno utilizzare per comunicare le loro sensazioni, i loro bisogni affettivi o i loro desideri di amicizia.

 Paletta colorata 1Paletta colorata 2Paletta colorata 3

Palette doppie per abbracci, per stare in fila, per ballare….

Paletta colorata 4Paletta colorata 5

 

Basterà che dicano il nome del compagno cui il gesto è diretto e voilà…. il destinatario riceverà l’abbraccio, la stretta di mano, il saluto, pur restando seduto al banco
Lo stesso farà la maestra con i bambini.

E virtualmente si potrà continuare a far circolare il calore del volersi bene.

 

2. la scatolina per la tempera

L’intervallo rappresenterà sicuramente un momento difficile. Ecco alcune proposte, utili a gestire la situazione ricordandoci sempre della necessità di aerare bene e frequentemente il locale con l’apertura delle finestre.

1) far portare ai bambini un sacchettino nel quale inserire i “resti” della merenda

(contenitori di succo vuoti, cellophane delle merendine, bucce di frutta…) onde evitare che si assembrino intorno al cestino dei rifiuti

2) Far costruire una scatolina per temperare le matite:

temperamatite

 

Ecco un template da scaricare e far realizzare:

matita scatola bn

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3) Far costruire mascherine finte divertenti da utilizzare per costruire storie o manifestare emozioni (senza usarle, naturalmente!)

mascherina 1

mascherina 2

 

Ecco un template da scaricare e far realizzare:

mascherina bn

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Buon lavoro a tutti voi!