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Tag: emozioni

Laboratorio: poesia e primavera

Cominciamo con un gioco!

Il 21 marzo si festeggia la giornata della poesia: un connubio riuscito, un binomio fantastico, direbbe Rodari: poesia e primavera.

Proviamo a fare un gioco con i nostri alunni e alunne: un’associazione di idee, un brainstorming, un’attività lessicale. Chiediamo di collegare ai due termini le parole e le immagini che vengono loro in mente, registrandole sulla LIM o sul quaderno. 

POESIA: sensazioni, leggerezza, emozione, luce, bellezza, sogno, armonia…

PRIMAVERA: risveglio, emozione, rinascita, bellezza, luce, armonia, colori…

Ora guidiamoli a confrontare gli elenchi di parole: quante affinità!

Alla luce di queste affinità possiamo porre la domanda: che cos’è dunque la poesia?

Ecco un esempio di risposta: “La poesia è una primavera di parole”.
Sì, perché una cosa è certa: poesia e primavera sono foriere di emozioni.

La poesia è uno strumento per allenare le emozioni ed è quello che ci invita a fare il “termometro” che ho inserito nel Sussidiario dei Linguaggi Il Cerchio Dei Lettori.

Prendendo spunto dalle emozioni che i poeti ci trasmettono, possiamo guidare i nostri alunni a diventare poeti e poetesse della Primavera magari trasferendo le produzioni online, per imparare ad usare un bellissimo tool come Kizoa.

Ecco un esempio: https://www.youtube.com/watch?v=1WP6VhmXSWo&t=112s

Oppure possiamo proporre ai più piccoli collegamenti poetici con l’ortografia.
Se vi sembra impossibile, guardate questo video: https://www.youtube.com/watch?v=sBABwuSQNiE&t=33s

Dunque, buona Giornata della Poesia, buona Primavera insieme a un abbraccio… pieno di poesia!

Festa del papà: cosa fare quando in classe ci sono bambine o bambini a cui manca un genitore?

Una riflessione sulla Festa del Papà

Le feste per i nostri alunne e alunni sono un’occasione di divertimento e creatività e per noi insegnanti un’opportunità per verificare abilità pratiche collegate agli obiettivi di tecnologia e alle competenze di tipo progettuale.

Ciascuno di noi, se volge lo sguardo al passato, ricorderà la trepidazione con cui, da piccino, portava a casa il lavoretto fatto a scuola e lo nascondeva sotto al piatto del genitore destinatario, aspettando l’attimo in cui, per caso naturalmente, l’avrebbe scoperto e avrebbe iniziato a magnificarne la bellezza.

Se invece siamo genitori possiamo guardare il gesto dall’altro lato della medaglia: la faccia luminosa della nostra bambina o del nostro bambino mentre ci consegna il prezioso oggetto o la letterina prodotta con impegno e, ovviamente, in bella scrittura.

E non importa se il lavoretto lascia a desiderare perché la colla ha generato un disastro o se le parole del classico ti voglio tanto bene “cadono” lungo la pagina e vanno in discesa…

Esprimiamo la nostra felicità collocando l’oggetto in una posizione di prestigio, in modo che possa essere ammirato da tutti (almeno per un paio di giorni…).

Quindi, viva i lavoretti!

In alcuni casi però può accadere che la scelta di far produrre un lavoretto non sia così immediata.

Può capitare che nella classe ci siano bambine o bambini cui manca un genitore, alunni che vivono in affido o una situazione di lontananza. Che fare in quel caso?

Molte colleghe e colleghi sostengono la necessità di produrre comunque il lavoretto o la lettera, perché il resto della classe, secondo loro, non deve essere privata del diritto di godere di quel momento. Ho letto commenti che raccontano di alunne e alunni orfani che portano la letterina sulla tomba del padre. È un’opzione che personalmente trovo faticosa anche solo da immaginare.

Se volete sapere il parere di Maestra Vecchia fa buon brodo (alias Flavia Franco), ebbene io personalmente evito. La mancanza è SEMPRE un dolore. Sia che si tratti di un’assenza definitiva, sia che si tratti di allontanamento o abbandono. Un trauma sempre presente, anche se apparentemente metabolizzato. Dunque, nel timore di alimentare un dolore, di essere la causa di una sofferenza, anche piccola, anche minuscola, preferisco soprassedere.

Le bambine e i bambini che hanno entrambi i genitori, per fortuna la maggioranza, hanno altri strumenti per dimostrare l’affetto, con la presenza, gli abbracci, i baci. Sono sicura che la mancanza del “lavoretto” non potrà trasformarsi per loro in un’esperienza così traumatica.

In questo caso, è importante condividere il motivo della scelta con la classe (non davanti al bambino naturalmente) lavorando sulla condivisione di emozioni solidali, sull’empatia. Si può sempre suggerire agli alunni di produrre il regalino o la lettera a casa, in autonomia, dando magari delle indicazioni.

Una soluzione che, per me, crea solidarietà, evita ferite e aiuta a salvare capra e cavoli.

L’abbraccio: un gesto unico con mille significati

Giornata Mondiale degli Abbracci

La Pandemia da Covid-19, l’esperienza più lacerante di questo tempo, arrivata in modo imprevisto a trasformare le nostre vite a livello personale e sociale, ha proposto l’abbraccio come simbolo capace di raffigurare dolore e gioia nel loro intrecciarsi e nel loro opporsi. Sofferenza, solitudine, isolamento, speranza, hanno trovato nell’abbraccio la rappresentazione dell’inquietudine, della disperazione e del coraggio. L’abbraccio come forma di tensione verso la vita mai sperimentata, prima della Pandemia, in modo tanto drammatico. Così abbiamo riscoperto il valore profondo di un gesto, immaginato naturale e spontaneo, reso, dalla Pandemia, “immagine” di una esperienza “impossibile”.

Abbiamo conosciuto l’abbraccio commovente nelle foto che hanno fatto il giro del mondo, diffuse dai social e dai mezzi di comunicazione, scattate per raccontare di vissuti toccanti, quando l’abbraccio era tra infermieri e pazienti, bambini, anziani, in situazioni di non contatto corporeo. Abbiamo ascoltato il desiderio dell’abbraccio comunicato attraverso le parole “a distanza”, la disperazione per un abbraccio negato e reso inattuabile dalla morte. Abbiamo imparato a misurare il tempo dell’attesa di un abbraccio reale e a riscoprirne l’importanza per la vita.

L’abbraccio come vicinanza, affetto, condivisione, solidarietà, è diventato ricorrenza con la Giornata Mondiale degli Abbracci, istituita negli Stati Uniti nel 1986, celebrata, ogni anno, il 21 gennaio. La ricorrenza è nata a Clio, paesino nel Michigan, per iniziativa del pastore della chiesa locale Kevin Zaborney. Una giornata che sancisce il valore umano, sociale, culturale dell’abbraccio, esperienza connotata di positività a livello emotivo.

L’ABBRACCIO NELLA LETTERATURA

Famoso l’abbraccio che ci presenta Dante Alighieri nella Divina Commedia quando incontra, nel canto II del Purgatorio, il suo amico Casella, musico e cantore. Questi si fa avanti verso di lui “con sì grande affetto” e Dante è mosso ricambiare, “a far lo somigliante”; tenta di abbracciarlo per ben tre volte ma inutilmente. Il suo amico è un’ombra e le mani di Dante avvinte per ben tre volte, si richiudono sempre sul suo petto vanamente, “e tante mi tornai con esse al petto”.

L’affetto di Dante, che vuole rivelarsi nell’abbraccio, viene deluso per aver dinanzi uno spirito, un’ombra inconsistente. A Dante non resta che ascoltare il canto dell’amico, per ricevere conforto e tentare di alleviare la fatica del viaggio.

L’abbraccio si rivela così gesto del corpo, profondamente umano e non contemplato in quello che è il regno delle anime.

David Grossman, sensibile scrittore contemporaneo, ha dedicato un gioiello letterario al tema proponendo il gesto, forse più antico dell’umanità, come espressione della solitudine e dell’amore. Nel libro intitolato “L’abbraccio” (2010) leggiamo di una mamma che dialoga con il figlio il quale scopre, tra le sue braccia, di non essere solo. La mamma sa rassicurare il bambino con parole dense di amore: “Per non essere più soli hanno inventato l’abbraccio”.

 

GLI ABBRACCI CI FANNO SENTIRE AMATI E MENO SOLI

Tutti hanno bisogno di essere abbracciati, la pandemia ha fatto capire quanto possa essere importante il contatto sociale e fisico per la salute e il benessere. Le ricerche in campo psicopedagogico hanno evidenziato la stretta correlazione tra emozioni trasmesse nell’atto di abbracciare e apprendimento.

Siamo sistemi complessi, dove le emozioni accompagnano le nostre funzioni. Non c’è un atto della vita psichica in cui le emozioni non restino presenti, coscientemente o sotto coscienza”.

Lo dice Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo dell’Università degli studi di Padova, intervenendo al XVI convegno nazionale dell’Istituto di Ortofonologia (2015). Questo significa che quando un bambino impara, mentre impara, se sente un’emozione negativa come la paura, tutte le volte che ripercorrerà quell’apprendimento, accanto all’apprendimento ripercorrerà anche la paura. “Quindi” – spiega la psicologa – “apprende a stabilizzare anche l’emozione che in un certo senso gli fa da antagonista”.

Chi lavora nell’ambito dell’educazione e nell’ambito della clinica deve capire che non c’è contraddizione nel dare un’unità didattica che aiuti l’apprendimento, insieme ad uno sguardo che rassicuri e incoraggi. L’uno non sostituisce l’altro. Lucangeli ribadisce: “Non possiamo sostituire con schede o con sistemi artificiosi e artificiali quello che è la capacità comunicativa e intersoggettiva nell’aiuto. Il principio di non contraddizione aiuta ma vale in una direzione come nell’altra. Come l’abbraccio non sostituisce la competenza, la competenza non sostituisce l’abbraccio”.

L’abbraccio si pone come dimensione di cura, modalità di aiuto nello sviluppo armonico della personalità, forma appagante di inclusione sociale e connessione relazionale significativa.

Nell’abbraccio tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati”.
(Roland Barthes)

L’arte ha sondato le potenzialità di un atto di per sé creativo, restituendoci immagini capaci di evocare la forza dell’abbraccio e di aprirci alla sua bellezza.

“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”
.

(Pablo Neruda)

Una spinta gentile per un mondo più accogliente

Giornata Mondiale della Gentilezza

Il 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza, che dal 1998 si festeggia in tutto il mondo come World Kindness Day. Questa data coincide con la giornata d’apertura della Conferenza del “World Kindness Movement” (Tokyo nel 1997) che si è chiusa con la firma della Dichiarazione della Gentilezza. Il movimento ha inteso promuovere il potere positivo della gentilezza attraverso la proposta di una ricorrenza finalizzata a ispirare gesti di generosità e di altruismo “per creare un mondo più gentile”.

Perché questa giornata è così importante? Come si può definire la gentilezza?
Molti possono affermare che la sensazione di aver incontrato una persona gentile si avverte in modo immediato; più difficile, invece, è riuscire a definire cosa sia “gentilezza”. Una parola preziosa, che sembra oscillare e mescolarsi ad altre: benevolenza, ascolto, cortesia, premura. Una parola che ha attraversato il tempo riuscendo a esprimere i tanti aspetti possibili di un comportamento “gentile”, fino alla formulazione più innovativa, che dobbiamo al premio Nobel per l’economia 2017, Richard Thaler, padre delle “Nudge”, la teoria che riguarda “una spinta gentile”, ovvero le strategie da utilizzare per decisioni migliori nei vari ambiti del comportamento.

LA GENTILEZZA NELLA LETTERATURA

“Biondo era e bello e di gentile aspetto”, scrive Dante Alighieri per narrare, nella Divina Commedia (III canto, Purgatorio), l’incontro con Manfredi, figlio di Federico II di Svevia. Un verso che esprime tutto il rispetto del poeta verso un personaggio che si pone in modo pacato, senza, tuttavia, rinunciare a chiedere a Dante di riferire alla figlia Costanza la sua situazione nell’antipurgatorio e la verità sulle sue vicende. Ecco, allora, una possibile definizione, di gentilezza: un aspetto che riguarda un comportamento equilibrato, un atteggiamento cordiale. La gentilezza di Manfredi possiede il tratto insito nel significato originario della parola “gentile”. “Gentilis”, dal latino, è chi appartiene alla gens, alla stirpe, quindi di buona stirpe, nobile di nascita, di origine. Così di Enea, nel canto XXIV dell’Inferno, è scritto “onde uscì de’ Romani il gentil seme”, vale a dire il capostipite della gente romana.

Ma la gentilezza può essere ritrovata in un sorriso, in una carezza, in un saluto: “potete sempre dar qualcosa, non foss’altro che gentilezza”, ha scritto Anna Frank. Nell’evoluzione del significato di gentilezza, infatti, al valore della stirpe, si sostituisce in modo sempre più evidente il valore delle doti spirituali, la nobiltà dei sentimenti, l’animo essenzialmente gentile. Ancora a Dante dobbiamo quell’ “Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”, verso famosissimo in cui il poeta canta l’amore di Paolo e Francesca.

Quale potere ha la gentilezza sulle persone e sul mondo? Quali energie suscita?
Ancora Dante può ispirarci attraverso Beatrice, la gentilissima: Beatrice è la donna per cui Dante abbandonò “la volgar schiera”, la donna alla quale ha dedicato il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

La gentilezza è una qualità così potente da suscitare un’ammirazione che lascia ammutoliti? Dante nel sonetto, sicuramente il più famoso in lode di Beatrice, coglie la personalità di Beatrice nel suo procedere e nel suo salutare, come modi che sanno esprimere dimensioni di attenzione profonda verso gli altri.

IL MOVIMENTO PICCOLA GENTILEZZA

Se per Dante la gentilezza è essenzialmente nobiltà d’animo, oggi, in un percorso di arricchimento del concetto stesso, riconosciamo nella gentilezza una qualità che esprime e rappresenta valori di umanità. La forza generatrice della gentilezza è quella che sentiva fortemente di voler diffondere Seiji Kaya, già presidente dell’Università di Tokyo, nel discorso di addio agli studenti il giorno della laurea: “Voglio che tutti voi siate coraggiosi nel praticare la ‘piccola gentilezza’, creando così un’ondata di gentilezza che un giorno investirà tutta la società giapponese”.

Furono proprio queste parole, pronunciate nel marzo 1963, diffuse sui vari media, a segnare l’inizio del Movimento Piccola Gentilezza. La convinzione che il mondo abbia bisogno di gentilezza si è imposta in modo tale che via via le adesioni delle Nazioni al movimento sono aumentate e, parallelamente, si sono create Reti di programmi. L’Italia è presente nel movimento dal 2000, partecipando ad iniziative su buone pratiche di condivisione e sviluppo sostenibile. La sede del movimento è a Parma. Oltre 100 i Comuni italiani che hanno aderito alla Rete Nazionale Assessori alla Gentilezza, valorizzando la collaborazione tra istituzioni e cittadini. “Il tempo della gentilezza” rappresenta una delle Campagne ideate per costruire legami di disponibilità fra le persone, per essere vicini a chi è in difficoltà.

Esiste anche una Rete Nazionale Insegnanti per la Gentilezza per coordinare progetti educativi incentrati sugli aspetti formativi della gentilezza. Molti Istituti hanno progettato percorsi educativi finalizzati al valore della gentilezza in tutti i suoi aspetti, calati nella specificità di tutti gli ordini di scuola. “Largo alla Gentilezza” può riferirsi al gioco, alla musica, al parlare, all’inventare storie, al muoversi. Ci sono scuole in cui la gentilezza è descritta lungo le scale dell’edificio che gli alunni salgono per entrare a scuola! Una descrizione operativa di un impegno quotidiano!
Importante è offrire nuove, spesso inedite, opportunità di affrontare positivamente i molteplici aspetti del nostro tempo, la complessità delle relazioni interpersonali, educando alla capacità di vivere costruttivamente insieme.

Un atto gentile scaturisce da un sentimento che diventa capacità di dare valore agli altri, di provare empatia, di comunicare generosità e solidarietà. È un comportamento che denota altruismo, benevolenza, desiderio di vicinanza. Non è debolezza.
Può essere una strategia? Può essere formalismo? La gentilezza vera non ammette falsificazioni, altrimenti non si trasformerà mai in quell’onda capace di trasformare il mondo e non sarà mai un piacere che si alimenta di reciprocità.

La gentilezza è una bomba pacifista. Per me è una qualità, un modo di approcciarsi agli altri che mi commuove e che porta con sé, sembra un controsenso, una carica potente.
Nel luogo comune contemporaneo il vincente è quello aggressivo e arrivista. Rivaluto la gentilezza che, come il sorriso, spiazza. La trovo in cose semplici, anche nel gesto di un cameriere, ma mi emoziona soprattutto quando viene da chi è più debole.

(Francesco Gabbani)

Quando la misura e la gentilezza si aggiungono alla forza, quest’ultima diventa irresistibile.
(Gandhi)

Sii gentile quando possibile. È sempre possibile.
(Dalai Lama)

L’estate in versi

Colori della natura, colori dell’anima

Ci sono ancora le stagioni?

Quante volte sentiamo dire “le stagioni di una volta non ci sono più!”.
Quelle familiari, consuete, ricorrenti stagioni che segnano le atmosfere di un luogo, le trasformazioni di un bosco, i colori di un giardino, le abitudini, le feste e i ritmi del vivere quotidiano. Non ci sono più, ovvero non si fanno riconoscere, quando una pioggia improvvisa o un gelido vento annullano ogni presagio di bella stagione oppure quando un cielo terzo e una temperatura mite sconfiggono l’uggia e il grigio di un periodo cosiddetto invernale.

 

Eppure, le stagioni ci sono, basta aprire un libro di scuola, un testo di studio che, nelle pagine dedicate alle scienze, invita i bambini a scoprire i frutti di stagione, il letargo di certi animali, il variare di alba e tramonto. Queste le stagioni astronomiche, le quattro puntuali primavera, estate, autunno, inverno, che possono in alcune parti della terra corrispondere alle stagioni meteorologiche, le quali, nelle regioni polari o nelle zone tropicali, possono essere due, considerando i mutamenti climatici e ambientali che intervengono. Uno sguardo che sappia tener conto di una molteplicità di fattori è sempre vincente per elaborare conoscenze mirate a costruire il sapere! Poi ci sono le stagioni della storia, le stagioni dei ricordi e quelle della vita. Ricorsività e cicli che accompagnano evoluzioni e involuzioni, criticità e progresso, successo e fallimenti.

 

Siamo adesso in estate, il tempo del riposo per alcuni, della luce più intensa, dei colori più accesi.

Tra i molti modi di godere di questa stagione, rispecchiando in essa la vita, sicuramente il più meditativo è riscoprirla nelle parole, e ritrovare la sua bellezza attraverso la poesia. Ci sono molti testi, ormai classici, dedicati, appunto, all’estate, o che attraverso l’estate sollecitano il pensiero.

 

Così quando Fernanda Pivano scrive “Piovve tutta la notte/ Sulle memorie dell’estate”, il verso interpella la memoria della stagione che passa e anche la riflessione del lettore che è disponibile a interrogarsi.

 

Estate è il titolo di questa poesia di Hermann Hesse:

“Improvvisamente fu piena estate.

I campi verdi di grano, cresciuti e

riempiti nelle lunghe settimane di piogge,

cominciavano a imbiancarsi,

in ogni campo il papavero lampeggiava

col suo rosso smagliante”.

 

 

Questa la descrizione unica di Vincenzo Cardarelli:

“Distesa estate,

stagione dei densi climi

dei grandi mattini

dell’albe senza rumore

ci si risveglia come in un acquario

dei giorni identici, astrali,

stagione la meno dolente

d’oscuramento e di crisi,

felicità degli spazi,

nessuna promessa terrena

può dare pace al mio cuore

quanto la certezza di sole

che dal tuo cielo trabocca,

stagione estrema, che cadi

prostrata in riposi enormi,

dai oro ai più vasti sogni,

stagione che porti luce

a distendere il tempo

di là dai confini del giorno,

e sembri mettere a volte

nell’ordine che procede

qualche cadenza dell’indugio eterno.”

(Vincenzo Cardarelli, Estiva, 1915)

 

L’Estate è anche nei versi di Pablo Neruda:

“Ardono i seminati,

scricchiola il grano,

insetti azzurri cercano ombra,

toccano il fresco.

E a sera

salgono mille stelle fresche

verso il cielo cupo.

Son lucciole vagabonde.

crepita senza bruciare

la notte dell’estate.”

 

 

La riflessione profonda di Anna Andreevna Achmatova:

Ed è caduta la parola di pietra

Sul mio petto ancor vivo.

Non è nulla, vi ero preparata,

Ne verrò a capo in qualche modo.

Ho molto da fare, oggi:

Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,

Bisogna che l’anima si pietrifichi,

Bisogna di nuovo imparare a vivere,

Se no… L’ardente stormire dell’estate,

Come una festa oltre la finestra.

Da tempo avevo presentito questo

Giorno radioso e la casa vuota.

(Anna Andreevna Achmatova, Sentenza, Estate 1939)

 

 

 

 

Estate è anche intimità:

“L’estate è finita

Sono più miti le mattine

e più scure diventano le noci

e le bacche hanno un viso più rotondo.

La rosa non è più nella città.

L’acero indossa una sciarpa più gaia.

La campagna una gonna scarlatta,

Ed anch’io, per non essere antiquata,

mi metterò un gioiello.”

(Emily Dickinson, Poesie, 1858-1859)

 

Estate è lasciarsi andare con Sensazione:

“Nelle azzurre sere d’estate, me n’andrò per i sentieri,

punzecchiato dal grano, calpestando l’erba fina:

sognando, ne sentirò ai miei piedi la freschezza.

Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Non parlerò, non penserò a nulla:

ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,

e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo,

per la Natura, – felice come con una donna.”

(Arthur Rimbaud, Sensazione, 1870)

 

 

Estate vuol dire anche Ferragosto, così nella filastrocca, tutta giocata tra scherzo e ironia, di Gianni Rodari:

“Filastrocca vola e va

dal bambino rimasto in città.

Chi va al mare ha vita serena

e fa i castelli con la rena,

chi va ai monti fa le scalate

e prende la doccia alle cascate…

E chi quattrini non ne ha?

Solo, solo resta in città:

si sdrai al sole sul marciapiede,

se non c’è un vigile che lo vede,

e i suoi battelli sottomarini

fanno vela nei tombini.

Quando divento Presidente

faccio un decreto a tutta la gente;

“Ordinanza numero uno:

in città non resta nessuno;

ordinanza che viene poi,

tutti al mare, paghiamo noi,

inoltre le Alpi e gli Appennini

sono donati a tutti i bambini.

Chi non rispetta il decretato

va in prigione difilato”.

(Ferragosto, da Filastrocche in Cielo e in Terra, Gianni Rodari, Einaudi Ragazzi, 1996)

 

 

Non dimentichiamoci del corpo dei bambini

Come aumentare la resilienza corporea in tempi di distanziamento fisico

Secondo il famoso dizionario della lingua inglese “Collins” delle 10 parole più utilizzate nel 2020 sia nella lingua parlata che scritta, ben sei sono correlate alla pandemia mondiale.

 

Vediamole insieme: lockdown, coronavirus, furlough (congedo non retribuito), key worker (lavoratore essenziale), self-isolate (auto-isolamento), social distancing (distanziamento sociale).

 

Guardo allora con curiosità le ultime quattro nella speranza di trovare qualcosa che abbia a che fare con “fiducia, ripresa, cura, benessere, resilienza”, ma trovo soltanto: BLM, acronimo del movimento USA contro la discriminazione razziale e le violenze, Megxit, termine usato per descrivere il “divorzio” di Harry e Meghan con la casa reale britannica, TikToker, utente della piattaforma TikTok e infine mukbang“, un neologismo creato in Corea del Sud che descrive chi posta video di sé stesso mentre ingurgita quantità esagerate di cibo.

Immagino allora di poter aggiungere almeno una parola in coda, che è stata per necessità trascurata in questi mesi, immobilizzata in quanto agente di contagio, declinata in termine di salute come assenza di malattia: il corpo.

 

Parlando di corpo e di conseguenza dell’importanza del benessere corporeo come precondizione dell’apprendimento e dell’esperienza di crescita, non possiamo dimenticare come già Damasio nel libro “L’errore di Cartesio” considera un grande errore filosofico aver separato il corpo e la sua fisicità dal ragionamento e dal giudizio morale della mente.

Gli effetti dell’enunciato “Cogito ergo sum”, sono purtroppo ancora oggi, a volte, riscontrabili nel modo di pensare sia:

 

  • nell’educazione, “continuo a ripetere a mio figlio la stessa cosa ma non mi ascolta, non ha imparato a rispettarmi”;
  • nell’insegnamento , “il mio alunno quando spiego non sta fermo quindi non è capace di mantenere l’attenzione”;
  • nella pratica medica, “non ci sono cause organiche per cui è sicuramente ansia”.

 

Ma parlando di benessere corporeo, quale “tempio” dell’esperienza di apprendimento, la prima immagine che ci salta agli occhi in questi mesi è la limitazione all’espressività corporea, al movimento, al contatto tra pari e al gioco non solo che ci siamo imposti, ma che abbiamo dovuto imporre ai bambini, a scuola, a casa e anche nelle attività ludiche e sportive.

 

Un corpo che si è dovuto limitare all’esposizione di una serie di “esperienze di base e di bisogni” indispensabili allo sviluppo positivo dell’identità tra i quali, pensando in particolare alla fascia 0-6 anni, ci limitiamo a ricordare:

 

  • Essere amati, rassicurati, calmati.
  • Ricevere stimoli e nutrimento.
  • Sentire fiducia, serenità e calore.
  • Essere tenuto e contenuto.
  • Sperimentare il contatto e la manipolazione.
  • Provare curiosità e il senso di esplorazione.
  • Agire il movimento, l’espressione, l’espansione.
  • ecc …

 

Quest bisogni si traducono nella vita quotidiana di un bambino in movimento del corpo (definite da Rispoli “esperienze di base del Sé”1) che, se vissute dal bambino, aumentano la resilienza corporea, ossia la capacità dell’organismo di autocalmarsi ed autoregolarsi per ritornare in uno stato omeostatico di equilibrio dei vari parametri psicofisici nel minor tempo possibile dopo uno stimolo negativo legato alla frustrazione.

 

Vediamo alcune delle tante esperienze di base presenti nello sviluppo psicoevolutivo di un bambino:

 

  • Essere presi e portati (la sensazione di affidarmi ad un adulto che mi prende per mano e mi accompagna ad esempio alla mia seggiola).
  • Essere contenuti (essere abbracciato finché la sensazione di agitazione che ho dentro di me non passa).
  •  Potersi abbandonare (sperimentare ad esempio un momento in cui ci lasciamo andare a terra l’uno vicino al respiro dell’altro).
  • Darei prenderei lanciare (scambiarsi oggetti, prendere dalle mani dell’altro, lanciarsi a vicenda una palla).
  • Perdere il controllo (iniziare ad esempio a girare velocemente su se stessi nella stanza perdendo temporaneamente l’equilibrio e iniziando a sbattere e a toccare gli altri).
  • Aggressività positiva (possibilità di andare verso l’altro, trattenerlo, spingerlo, afferrarlo, in alcuni casi cercare di morderlo).
  • Autonomia fisica (capacità di opporsi, respingere, confinare, e distanziarsi o distanziare con le mani qualcuno).
  • (possibilità di manifestarsi non le parole ma con il corpo: gioia, energia e slanci, giocare, correre, lanciarsi verso, lanciarsi contro.

 

Intuiamo allora facilmente come un corpo, se eccessivamente limitato per un periodo piuttosto lungo nei primi anni di vita nell’espressione di bisogni ed impulsi rischia un “denutrimento” o in alcuni casi inizia a rispondere in termini di disagio come ad esempio:

 

  • Comportamenti di attacco (il bambino si ribella e si oppone manifestando rabbia e frustrazione).
  • Agiti di fuga (il bambino si crea una falsa autonomia che lo spinge a farcela da solo ed impara ad aggrapparsi solo a se stesso).
  • Risposte di congelamento (il corpo del bambino si irrigidisce, il respiro si fa corto, muscolatura tesa).
  • Pianto non consolabile (il bambino da voce ai propri bisogni ritornando a sperimentare il pianto indifferenziato del neonato).

 

Non dimentichiamoci del corpo dei bambini, di quello stato di grazia naturale, di benessere spirituale e fisico che tendiamo a perdere nel corso della crescita quando il dovere diventa la parola d’ordine dell’educazione, quando dobbiamo conformarci alle aspettative esterne quando l’emergenza pandemica ci obbliga simbolicamente ad anestetizzare il corpo per non contattare il desiderio di contatto, di movimento,

di relazione di spontaneità.

 

Non dimentichiamoci come insegnanti genitori, educatori in questo periodo ancora così complicato dal distanziamento fisico, di rimettere tra le dieci parole più usate e praticate tutti i giorni, il corpo: affinché non si interrompa il compito fondamentale dell’educazione che ci ricorda G. Klein “il bambino ha il compito attraverso l’esperienza di scoprire il piacere del proprio funzionamento”.

 

1 Luciano Rispoli, Esperienze di base e sviluppo del sé, Franco Angeli

2 Pat Odgens, Psicoterapia Sensomotoria, Raffaello Cortina

L’importante è che qualcuno MI VEDA

Internet e bambini: riflessioni di una maestra

Ho atteso qualche giorno prima di esprimere quello che provo e penso in relazione alla tragedia di Antonella, la bambina di Palermo, per rispetto, per angoscia, perché avevo bisogno di un momento di silenzio interiore per riflettere.

Insegno da molti anni e conosco i bambini. Ormai è diventato una specie di sesto senso. Li fiuto, sento le loro emozioni, le assorbo, le percepisco in una specie di osmosi.

I bambini sereni sono morbidi, hanno occhi morbidi e sorrisi naturali, si muovono con calma, accettano di perdere al gioco, non sgomitano per la fila, conversano, si arrabbiano, se è il caso, ma poi ritornano a sorridere quasi subito, non richiedono l’attenzione continua della maestra, se sbagliano si dispiacciono ma poi si correggono e riprendono a lavorare. I bambini sereni, qualunque sia il loro carattere, timidi, intraprendenti, grossolani o delicati, hanno intorno una nuvola dolce, come se fossero avvolti nei marshmallow.

E poi ci sono gli altri. I bambini complicati. Quelli si portano dietro un alone di fatica. Un po’ come Pig Pen dei Peanuts, lo ricordate? Pig Pen camminava avvolto da una nuvola di polvere che lo seguiva ovunque. Ebbene, questi sono i bambini che non riescono a stare fermi, che provocano, che litigano durante i giochi, che non accettano le sconfitte, che piangono di rabbia o che mascherano il loro dolore con atteggiamenti sfidanti, che cercano di attirare l’attenzione in tutti i modi. Bambini il più delle volte sofferenti, che confondono perché spesso presentano agli insegnanti una facciata spavalda e, se non stai attento, puoi cascare nella loro trappola. Che alla fine è quello che vogliono, perché se tu li redarguisci, vuol dire che li hai visti. Se ti hanno fatto perdere le staffe, hanno raggiunto il loro scopo: dimostrare che sono cattivi, che alla fin fine è il loro modo di difendersi.

Lungo la mia strada di maestra ne ho incontrati tanti di bambini, per questo ho sviluppato nel tempo la capacità di connetterli immediatamente con la tipologia di genitore o di situazione dalla quale provengono. È come un filo che vedo subito, la corrispondenza.

Situazioni di trascuratezza, o di iperprotezione – che alla fine sono due facce della stessa medaglia nel senso che creano danni entrambe – situazioni di attenzioni apparenti, di immaturità genitoriale, di ambizioni trasferite, di conflitti tra coniugi, di abbandono, situazioni di relazioni serene tra genitori conviventi o separati, situazioni armoniose, in cui “si prepara il bambino per il viaggio e non il viaggio per il bambino”.

In mezzo a tutto questo quadro così umanamente variegato, ahimè, si è innestata la tecnologia. Di conseguenza, laddove le situazioni familiari risultano “armoniche”, l’utilizzo della tecnologia riesce in qualche modo ad essere regolamentato e supervisionato, seppure a fatica. In tutte le altre, sfugge di mano.

Internet è un pericolo, ma la stragrande maggioranza dei giovani genitori non ne è consapevole. E così il cellulare, il computer diventano per i bambini un passatempo qualunque, un modo per riempire la solitudine, per intrattenere rapporti con comunità virtuali vicine e lontane. Un mondo che la pandemia ha dilatato enormemente. Capita (o capitava) a tutti di vedere al ristorante, sul treno, per strada bambini persi nei cellulari, e genitori contenti, perché così “stanno tranquilli”. Bambini seduti su panchine dei giardinetti che si sfidano con un gioco virtuale. Comunità che sfuggono al controllo, giovani youtuber che diventano modelli di comportamento, di linguaggio, di trasgressione.

Se poi questi viaggi nella realtà parallela si svolgono nella solitudine di una cameretta, allora perdono ogni confine, vale tutto e il contrario di tutto, l’importante è far parte di una comunità, l’importante è che qualcuno mi veda.

Tre S mi vengono in mente: solitudine, superficialità, sottovalutazione. Unite alla mancanza di regole. Perché non è scritto da nessuna parte che un bambino di 8 anni debba possedere un cellulare. E nemmeno di 10 o 11. E, se proprio deve averlo, non è prescritto dal medico che necessariamente debba connettersi a Internet.

I genitori darebbero la loro automobile da guidare al proprio bambino? Nessuno lo farebbe, a meno che non fosse impazzito.

È un mondo complicato e pieno di stimoli il nostro, frettoloso, competitivo, ansiogeno e stressante, ma i bambini non possono farci nulla. Loro non chiedono di venire al mondo, ma, una volta che ci sono, hanno diritto al tempo, all’attenzione, alla cura, alla protezione degli adulti. Hanno diritto al gioco creativo, a cucinare i biscotti, ad ascoltare una fiaba, a giocare a palla o a nascondino con amici in carne e ossa, hanno il diritto all’ascolto. Hanno diritto a delle regole, attraverso le quali strutturare la loro forza futura.

Nel mio nuovo libro sui diritti dei bambini, La leggerezza delle nuvole, c’è un racconto sul diritto all’ascolto che si intitola: “Il diritto di Emily”. Che non è altro che il diritto di Antonella e di tutti gli altri bambini che meritano di avere intorno adulti degni di questo nome.

 

Parleremo del rapporto tra i bambini e la tecnologia nel percorso di lezioni in diretta raccontate in classe da Luca Pagliari, giornalista e storyteller con il quale collaborerò per gli sviluppi didattici, utili a collocarle nell’ambito dell’educazione civica.

Per maggiori informazioni clicca qui!

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Primi giorni di scuola: emozioni e attività manuali

Suggerimenti di Flavia Franco

In questo articolo vi propongo altri suggerimenti per affrontare al meglio le prime prime settimane di scuola.

Ho pensato di creare un elenco di attività pratiche da utilizzare in classe in questo periodo che sarà sicuramente complesso.

 

1. Le palette delle emozioni

Siccome il problema principale sarà l’impossibilità del contatto fisico, potremo creare delle palette “emozionali” che i bambini potranno utilizzare per comunicare le loro sensazioni, i loro bisogni affettivi o i loro desideri di amicizia.

 Paletta colorata 1Paletta colorata 2Paletta colorata 3

Palette doppie per abbracci, per stare in fila, per ballare….

Paletta colorata 4Paletta colorata 5

 

Basterà che dicano il nome del compagno cui il gesto è diretto e voilà…. il destinatario riceverà l’abbraccio, la stretta di mano, il saluto, pur restando seduto al banco
Lo stesso farà la maestra con i bambini.

E virtualmente si potrà continuare a far circolare il calore del volersi bene.

 

2. la scatolina per la tempera

L’intervallo rappresenterà sicuramente un momento difficile. Ecco alcune proposte, utili a gestire la situazione ricordandoci sempre della necessità di aerare bene e frequentemente il locale con l’apertura delle finestre.

1) far portare ai bambini un sacchettino nel quale inserire i “resti” della merenda

(contenitori di succo vuoti, cellophane delle merendine, bucce di frutta…) onde evitare che si assembrino intorno al cestino dei rifiuti

2) Far costruire una scatolina per temperare le matite:

temperamatite

 

Ecco un template da scaricare e far realizzare:

matita scatola bn

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3) Far costruire mascherine finte divertenti da utilizzare per costruire storie o manifestare emozioni (senza usarle, naturalmente!)

mascherina 1

mascherina 2

 

Ecco un template da scaricare e far realizzare:

mascherina bn

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Buon lavoro a tutti voi!

Attività e suggerimenti per l’accoglienza e i primi giorni di scuola

Stiliamo insieme il regolamento di classe

Inutile ripetere che quest’anno sarà complesso. Inutile ripetere che stiamo navigando a vista. Inutile farci prendere dall’ansia. Questa prova difficile ci tocca e vedremo di assolverla nel migliore dei modi, come sempre.
Ho pensato di creare un elenco di attività e suggerimenti pratici da utilizzare nei i primi giorni, che saranno sicuramente “tosti”.

1. Il sentimento dominante.
L’urgenza principale per i nostri alunni, e non solo per loro, sarà quella di parlare di emozioni.

Appena entrati in classe ci sarà un certo smarrimento.
Dopo i saluti di rito, ogni alunno sarà chiamato a narrare ( o a scrivere) le azioni che ha compiuto da quando è sveglio, affiancando ad ogni azione l’emozione provata in quel momento.
Esempi:

È suonata la sveglia e ho aperto gli occhi: AGITAZIONE

Ho mangiato colazione: STOMACO CHIUSO

Sono salita in macchina: FELICITA’

Ho visto un assembramento davanti alla scuola: PAURA

L’’insegnante raccoglierà in una tabella le emozioni provate dagli alunni, ogni emozione sarà accompagnata dalla CAUSA che l’ha generata.

Parlerà quindi delle proprie emozioni, le condividerà con loro spiegando che è normale nei momenti di difficoltà provare certe sensazioni che vanno accolte e che non devono spaventare.
Trasmettendo positività, rassicurerà gli alunni facendo percepire loro che è tutto sotto controllo.

 

2. Le regole
Conversazione:

Che cosa so del Covid?

L’INSEGNANTE registrerà sulla lavagna o sulla LIM le risposte degli alunni.
Al termine le riprenderà una per una, aiutando gli alunni a distinguere tra misconoscenze, ed informazioni reali, tra informazioni e opinioni.

Quali sono i comportamenti che devo osservare?

L’insegnante registrerà sulla lavagna o sulla LIM le risposte degli alunni, suddividendole in due finche:

FACILI DA RISPETTARE   – DIFFICILI DA RISPETTARE

Al termine gli alunni estrapoleranno le regole essenziali e creeranno.

– Quali sono le conseguenze per il mancato rispetto delle regole?

L’insegnante registrerà sulla lavagna o sulla LIM le risposte degli alunni, suddividendole in due finche:

CONSEGUENZE A SCUOLA   – CONSEGUENZE A CASA

 

Che cosa posso fare io? Che cosa possiamo fare noi?

Al termine dell’attività  verrà stilato il REGOLAMENTO DELLA CLASSE:

“Noi, alunni della …B, consapevoli della necessità di contribuire alla salvaguardia della salute di tutti, stabiliamo le seguenti regole:

…………….

……………..

……………….

E ci impegniamo a rispettarle

Il regolamento può essere tradotto in immagini. Ecco un esempio cui ispirarsi, che, se volete, potete scaricare di seguito.

7 regole per star bene a scuola

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3. I saluti

L’insegnante propone la seguente discussione:

“Visto che per il momento non possiamo salutarci come abbiamo sempre fatto, proviamo a inventare nuove modalità di saluto che siano idonee alla situazione che stiamo vivendo.

Ogni bambino immagina, propone, disegna un nuovo modo di salutarsi.
L’insegnante riassume alla lavagna o alla LIM le proposte.
Al termine viene proposto un riassunto visivo.

Ecco un esempio cui ispirarsi, che, se volete, potete scaricare di seguito.

saluti

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Un felice inizio a tutti!

Abbiamo bisogno di quegli occhi

La scuola è fatta di sguardi che si incrociano tra noi e loro.

Sono giorni strani questi.

Giorni in cui stiamo cercando di tornare ad una normalità che ci rassicuri, che ci faccia pensare che saremo quelli di prima, che faremo le cose che facevamo prima.

In realtà sappiamo tutti bene che non sarà così, che questo tempo strano, inaspettato ha destabilizzato le nostre certezze, ha reso tangibile la nostra fragilità e generato sofferenza.

Ma, siccome esiste sempre un rovescio della medaglia, la natura ha potuto godere di un periodo in cui, liberata della presenza dell’uomo, ha potuto rigenerarsi. Delfini e balenottere si sono riappropriati di mari e coste, cerbiatti, volpi, falchi sono tornati a popolare parchi e pianure, l’aria si è ripulita e i cieli si sono ripresi il blu.

All’interno di questo panorama complesso, la scuola ha subito una vera e propria rivoluzione. Ed è così che si è palesata la famosa DaD raggiungendo la pole position degli acronimi e sorpassando senza colpo ferire i famosissimi PEI e PDP, PON, RAV, PTOF, PAI, CLIL, UDA e compagnia

Di necessità virtù, direte voi. Certo, non si poteva fare altrimenti.

E così, mancando indicazioni precise, le insegnanti, come sempre, si sono date da fare dando vita alle esperienze più diverse.

Un fiorire di videolezioni, Powtoon, Screencast o’matic e Learning app come se non ci fosse un domani. E poi piattaforme su piattaforme e classi virtuali, in un continuo passarsi la palla tra il SINCRONO e l’ASINCRONO.

Uno sforzo enorme prodigato, soprattutto nella scuola primaria, di fronte a un insieme di piccoli riquadri in cui catturare gli occhi dei bambini diventa impossibile.

Lo schermo oppone resistenza. La luce degli occhi scompare lasciando spazio a sguardi virtuali nei quali è impossibile leggere l’interesse, la gioia, il desiderio di apprendere, la tristezza o la noia.

La scuola è fatta di sguardi che si incrociano tra noi e loro, sono lo specchio nel quale ci ritorna il bambino. Sono il filo, invisibile ma forte come quello da pesca, cui abbocca l’apprendimento.

La Dad ha aperto nuovi spazi e sicuramente ci ha fornito nuove risorse e strategie di cui faremo tesoro.

Ma noi abbiamo bisogno di quel filo, abbiamo bisogno di quegli occhi.

Speriamo che settembre ce li restituisca. Noi insegnanti non vediamo l’ora.

C’era un prima del coronavirus e c’è un dopo che è diventato un “durante”

Consigli per i genitori: come affrontare la paura dei bambini

 

 

Prima lo stare insieme era un fatto naturale, tutta la gamma tattile veniva esplorata senza problemi: abbracci, baci e coccole oppure semplicemente stringersi la mano, passarsi un oggetto, respirare uno accanto all’altro. La vicinanza fisica era un modo per esprimere affetto, per sentirsi parte di un gruppo. Dopo tutto è diventato difficile, impossibile quasi.

Durante questo periodo di emergenza, scoppiato quasi all’improvviso, è cambiato il mondo delle relazioni con sé stessi e con gli altri. Bisogna proteggere il proprio corpo, lavarsi spesso le mani, non toccarsi il volto, tossire nel gomito e, in pochissimo tempo, la percezione di sé è divenuta più intensa e collegata al pericolo. Bisogna proteggere sé stessi e gli altri indossando guanti e mascherina, evitare di toccare le persone, di respirare troppo vicini, di rivedere amici e parenti. È diventato difficile spostarsi, passeggiare, condividere.

 Un adulto, in qualche modo, si abitua più facilmente di un bambino a una rivoluzione simile, se ne fa una ragione e, non vivendo nell’immediato, ma esercitando la ragione, riesce ad adattarsi e a regolare in modo diverso la propria vita.

Per i bambini è tutto molto più difficile.

Il contatto fisico è fondamentale per loro. Bastava guardarli giocare durante il “prima”: ruzzavano gli uni con gli altri, rotolavano insieme su un prato, si abbracciavano o si strattonavano, mordevano lo stesso panino o si scambiavano le merende. Cercavano il corpo altrui, era un modo per conoscersi. Durante l’emergenza, tutto questo è venuto meno. Sono rimasti solo (e non sempre e non per tutti) gli abbracci dei genitori e, per chi ne ha, dei fratelli. Quasi sempre, nonni, zii, cugini, amici stanno distanti. La scuola e i maestri sono vissuti sugli schermi gelidi dei computer.

Per i bambini è una perdita di cui non riescono a farsi una ragione. Poiché non sanno esprimere le loro emozioni, il disagio si somatizza, si tramuta in mal di pancia, mal di testa, difficoltà a prendere sonno e incubi notturni.

Una crisi però, se da un lato rappresenta un dramma, dall’altro può essere un’opportunità.

Lo stile di vita è diventato meno frenetico, le attività sono rallentate, genitori possono trascorrere più tempo con i figli e attuare quelle strategie di gioco e di apprendimento che in precedenza erano demandate ad altre persone o istituzioni. In questo momento, mamma e papà sono, molto più di prima, il fulcro vitale dei bambini. Oltre che genitori, sono diventati maestri e amici dei propri figli, coloro che li aiutano ad affrontare le paure tipiche dell’infanzia, acuite dal sopraggiungere dell’epidemia.

La paura di perdere una persona cara, la paura dell’abbandono, la paura della malattia, così come si manifestano con sintomi fisici che altro non sono se non il simbolo del disagio quasi sempre inespresso, possono essere esorcizzate e tenute sotto controllo attraverso un’attività simbolica di narrazione e di gioco. Le metafore e i simboli agiscono nel profondo, così come la sapienza insita nelle fiabe classiche, perciò è opportuno affrontare la paura dei bambini per mezzo di racconti che non esplicitino il problema, ma lo espongano per segni e figure e, nello stesso modo, lo risolvano.

Il catalogo Raffaello, nella serie de “Il Mulino a Vento”, presenta dei libri di narrativa che si prestano allo scopo in modo efficace.

Scelti per i più piccoli

Per i più piccoli proponiamo tre libri da leggere insieme e dei giochi per accompagnare la lettura.

Il primo libro, scritto da Loredana Frescura, trasforma la paura del buio e delle creature notturne in una risata liberatoria.

Aiuta quindi i genitori a mettere a letto i bambini rassicurandoli e divertendoli.

il fantasma dispettoso copertina

I fantasmi non esistono, però… in un castello bianco bianco succedono tanti fatti strani. La vita tranquilla dei signori Grissinis, della zia Cornelia, della cuoca Teresa, del gatto Ovidio, del ragno Gianni sarà messa a dura prova e il castello bianco bianco diventerà rosso rosso.

A questo libro, possono essere abbinate delle attività giocose. Un fantasma, infatti, non è altro che un lenzuolo con cui si può giocare.

Basta procurarsi un vecchio lenzuolo bianco e chiedere ai bambini come possa trasformarsi. Un materiale non strutturato come un drappo bianco si presta moltissimo a stimolare la fantasia e a esplicitare le emozioni. I bambini sapranno tirarne fuori molte idee e molte cose e probabilmente i seguenti suggerimenti saranno superflui:

  • Un lenzuolo con due buchi diventa un fantasma:

lenzuolo fantasma

  • Un lenzuolo arrotolato è un enorme serpente:

lenzuolo serpente

  • Un lenzuolo appeso diventa un teatro delle ombre:

lenzuolo teatro

  • Un lenzuolo può diventare una tenda dove rifugiarsi:

lenzuolo tenda

  • Oppure, se si stende sopra a un tavolo, si trasforma in una casetta dove stare al sicuro:

lenzuolo casetta

  • E diventa perfino un’amaca:

lenzuolo amaca

  • Si può usare anche come tela per dipingere:

lenzuolo tela

Quali altri giochi con le lenzuola inventeranno i vostri bambini?

Il secondo libro consigliato per i più piccoli è stato scritto da Roberto Morgese:

supermami

A ciascun bambino capita di avere incubi e ciascun adulto si ricorda di averne avuti da piccolo. Supermami ricorda a tutti i bambini che esiste sempre un affetto stabile e sicuro nella loro vita su cui poter fare affidamento nei momenti in cui ci si sente disperati.

La mamma protegge i bambini anche quando dormono e, nei sogni, si trasforma in una Supereroina che sconfigge qualsiasi incubo. Anche la lettura di questo libro può essere abbinata a giochi e attività divertenti, magari fatti prima di andare a letto in modo da rinsaldare i legami famigliari e da rassicurare i bambini.

Il momento di andare a letto diventa un atto comune a bambini e animaletti. Con materiale povero si possono realizzare dei burattini da infilare sulle dita per drammatizzare i tempi più significativi di una giornata:

burattini dita

Una lucina notturna aiuta a superare la paura del buio e, se realizzata manualmente con materiali a disposizione, può diventare il supereroe o la supereroina che protegge il sonno:

lucina

Una tazza di camomilla, raccolta insieme nei campi (se possibile) o preparata e bevuta prima di dormire può diventare la bevanda magica che assicura sogni felici:

camomilla

Ci sono famiglie dove ci si prepara per la notte pregando insieme e raccomandando i bambini alla protezione degli angeli custodi.  Anche scrivere, illustrare e recitare una filastrocca per scacciare le cose paurose può essere un modo per rendere il momento del sonno più tranquillo. Questa è di Bruno Tognolini, ma sarebbe ancora meglio se i bambini ne inventassero una preghiera o una filastrocca tutta loro insieme ai genitori:

Drago vago, serpe di mago,
Figlio e nipote di pesce di lago.
Dura, scura, nera paura
Brutto fantasma di brutta figura.
Cose che strisciano e strillano e stridono,
Cose che gracchiano e graffiano e gridano,
Cose che tagliano e toccano e tirano,
Cose che pungono e piangono e ridono,
Cose malvagie, cose selvagge,
Tornate indietro nelle vostre spiagge

Cose malate, cose maligne
Tornate indietro nelle vostre vigne.
Non me ne importa che paure siete
Di buio, di mostro, di morte, di male;
Non me ne importa che nomi avete
Compagni, castighi, sgridate, ospedale;
Questo scongiuro che ora sentite
Suona le rime che vi vincerà
Non me ne importa da dove venite
Tornate là!

Per affrontare le paure, non c’è niente di meglio di una fiaba classica. Ecco la più famosa in una versione facilitata che anche i lettori alle prime armi possono intraprendere in autonomia:

cappuccetto rosso

 

Scelti per i più grandi

Un libro di Marco Tomatis, consigliato per i bambini più grandi, può  diventare uno spunto per trattare il tema dell’emergenza attuale trasponendolo nella fantasia:

il mistero della pietra nera

Giova e Jasmine vincono un premio con un tema sull’archeologia: soggiorno di un mese nel deserto dell’Arizona, negli Stati Uniti, per assistere a interessanti scavi alla ricerca di preziosi reperti.
Ma l’archeologia si trasforma ben presto in una ragnatela di fatti strani e pieni di mistero.
E i due giovani si trovano a vivere avventure inaspettate al centro delle quali c’è “la Cosa”, circondata dalla maledizione e causa di una terribile malattia.

 

Per i bambini più temerari, quelli che adorano avere paura restando al sicuro, ecco una storia che fa davvero venire i brividi specialmente se letta prima di dormire:

la maestra tiramisu

 

Infine, consigliamo di non dimenticare la lettura delle fiabe classiche che si prestano a far emergere e a combattere le paure dell’infanzia fin dalla note dei tempi:

le fiabe dei fratelli grimm

Ai fratelli Grimm si devono alcune tra le fiabe più care e più note ai bambini, animate da streghe, folletti, lupi e bambini alle prese con le prime sfide per diventare “grandi”.

Raperonzolo, Pelle d’orso, I musicanti di Brema, La saggia Ghita, Hänsel e Gretel, La Regina delle Api e tante altre fiabe ci trasporteranno in un mondo di coraggio, di amore, di allegria e di saggezza con una lettura fresca e piacevole per chi legge e per chi ascolta.

Un viaggio… tra quattro mura: le emozioni dei bambini

Un percorso che ha lo scopo di fornire ai bambini un’occasione per parlare delle emozioni da cui sono attraversati, di nominarle, di riconoscerle, di condividerle, di essere rassicurati.

 

Da molti giorni ormai siamo rintanati nelle nostre case. Le scuole sono chiuse dal 4 marzo, un tempo infinito.

Ormai è chiaro che di scuola se ne riparlerà a settembre e che ancora per un po’ di tempo i nostri alunni dovranno continuare con la Didattica a Distanza.

Questo è stato un periodo molto intenso e faticoso ed ha generato in ciascuno di noi una ridda di emozioni spesso contrastanti.

La paura del contagio, soprattutto per i genitori che hanno continuato a lavorare, la frustrazione del dover restare rinchiusi, l’ansia per la perdita del lavoro, la sofferenza per un caro ammalato, la gioia di poter restare di più con i bambini, la preoccupazione per l’organizzazione quotidiana della vita, ormai ridotta a visite al supermercato celati dietro una mascherina in mezzo a tante altre mascherine, ma a distanza di sicurezza.

A questo bagaglio emozionale le insegnanti hanno dovuto aggiungere preoccupazioni e tensioni legate ad un approccio quasi completamente nuovo, alla ricerca di strumenti idonei, all’ansia di doversi dimostrare all’altezza di un tipo di didattica fin qui poco praticata, alla stanchezza nel preparare lezioni efficaci e nel correggere elaborati nelle forme più disparate.

E i bambini? Come hanno vissuto questo periodo?

Dopo un iniziale momento di probabile gioia legata al fatto di non dover andare a scuola, come si saranno modificate le loro emozioni?

Che cosa è passato nel loro cuore mentre ascoltavano telegiornali sempre più apocalittici, bollettini di morti e ricoverati, fosche previsioni e discorsi preoccupati degli adulti? Che spiegazioni si saranno dati?

È probabile che molti genitori, pensando che i bambini fossero piccoli per capire o poco interessati o magari distratti dal gioco, non abbiano pensato di filtrare tutto questo.

E dunque, una situazione come questa quali tracce emotive avrà prodotto in loro? Saranno riusciti ad esternare quello che avevano in cuore, dando voce e parole a ciò che stavano provando? Avranno trovato qualcuno disposto ad ascoltarli e a rassicurarli?

Oppure avranno fatto finta di niente, per non preoccupare genitori che vedevano già provati da tanti pensieri?

Da queste considerazioni è scaturita l’idea di creare il “diario di un viaggio … tra quattro mura”.

Un percorso che ha lo scopo di fornire ai bambini un’occasione per parlare delle emozioni da cui sono stati attraversati o che ancora li attraversano, di nominarle, di riconoscerle, di condividerle, di essere rassicurati.

Stati d’animo sia negativi sia positivi, perché le EMOZIONI sono tutte importanti, belle o meno belle che siano. Tutte devono essere accolte, onorate e riconosciute, perché fanno parte di noi e ci aiutano a diventare grandi.

 

Scarica qui gratuitamente il pdf stampabile “diario di un viaggio … tra quattro mura”.

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