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Tag: operatività

La metodologia didattica del debate

Regole ed esempi pratici per proporlo in classe

COS’È IL DEBATE

Il dibattito regolamentato, comunemente chiamato Debate, è una metodologia didattica innovativa e inclusiva che da un lato aiuta a sviluppare capacità di argomentazione e comunicazione, dall’altro sviluppa la personalità dei dibattenti.

Il dibattito è un’attività divertente e un gioco con regole precise, in cui due squadre contrapposte si alternano, esprimendosi a favore o contro un tema dato.

Con dovuti accorgimenti, è possibile dibattere ad ogni età e in ogni ordine di scuola.

ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI DIBATTERE?

Se consideriamo l’attività che regolarmente viene svolta nelle scuole italiane, ci troviamo di fronte ad una situazione che è, in un certo senso paradossale. Essa si concentra prevalentemente sull’acquisizione di conoscenze e contenuti, soprattutto nell’ambito matematico/scientifico e nelle tecniche di scrittura. Possiamo dire che nell’idea di scuola oggi assume una preminenza il compito di “alfabetizzazione culturale”, un’alfabetizzazione misurabile in base alle quantità di conoscenze e abilità specifiche acquisite sia al termine di tappe intermedie sia alla fine dell’anno scolastico.

In realtà oggi le insegnanti e gli insegnanti sanno bene che alla scuola spettano anche altri compiti, i quali sono invece formativi, nel senso che riguardano lo sviluppo e il consolidamento degli aspetti fondamentali della personalità di bambine e bambini e in particolare di certi atteggiamenti di base e di certe capacità generali che sono rilevanti sia sul piano dell’attività cognitiva sia su quello dei rapporti affettivi e sociali.

L’educazione, sottolinea Delors[1], deve:

– mettere in grado di capire se stessi e capire gli altri attraverso una migliore comprensione del mondo;

– favorire il superamento di tendenze egocentriche a favore di una comprensione degli altri basata sul rispetto per la diversità.

Dove attingere i parametri di riferimento, psicologici e concettuali per costruire un percorso didattico capace di perseguire questi obiettivi?

In un panorama ancora variegato e non riconducibile a una teoria o un modello unitario, quasi tutti “gli esperti” concordano su un punto: linguaggio e pensiero hanno una stretta e continua relazione.

Da questo punto di vista quindi, l’attività dibattimentale mostra tutte le sue potenzialità. Vediamone alcune:

1. Sviluppo del pensiero logico: mentre si organizzano le proprie idee e si spiegano ad altri, si guadagna inevitabilmente maggior confidenza e chiarezza di pensiero.

2. Sviluppo del pensiero critico: rispondere alle domande, valutare le risposte ricevute, aiuta ad avere una mente aperta, a riflettere sui propri pregiudizi, ad effettuare le scelte migliori.

3. Abilità nel parlare: comunicare in modo efficace utilizzando diversi canali come quello verbale e paraverbale.

4. Efficacia nella ricerca e organizzazione di informazioni: ricercare informazioni attraverso fonti cartacee o elettroniche; valutare il materiale ed organizzarlo nella maniera più ottimale.

5. Ascolto attivo: il dibattito migliora le capacità di ascolto critico, poiché per riuscire a confutare eventuali idee bisogna comprendere quello che viene detto e valutarlo attentamente.

6. Abilità nello scrivere e prendere appunti: la capacità di scrittura viene potenziata nel momento in cui, conclusa la ricerca, si tratterà di strutturare un discorso argomentativo, una scaletta che aiuti a capire o a spiegare il proprio punto di vista.

7. Lavoro di squadra: si deve necessariamente  lavorare come un gruppo se si vuole avere successo, condividendo informazioni e sviluppando strategie. Appena si sviluppano le abilità nel parlare, si sviluppano anche le competenze relazionali e quindi si è in grado di lavorare con gli altri in modo più costruttivo.

Il dibattito regolamentato quindi è in grado di fornire strumenti utili per analizzare la realtà, sviluppare un pensiero logico, esporre le proprie ragioni e valutare quelle di altri interlocutori. Soprattutto riesce a colmare quella incongruenza che caratterizza la scuola italiana la quale privilegia la competenza del “leggere, scrivere e far di conto” ma poca attenzione riserva allo sviluppo della competenza orale.

 

GIOCHI DI PERSUASIONE

Da dove cominciare quindi per sviluppare un naturale interesse verso il Debate? Soprattutto, a quale età sarebbe opportuno proporre attività di dibattito?

Anche se il bambino fino agli11-12 anni vive in uno stadio operatorio concreto[2], le sue capacità logiche progrediscono grazie all’introduzione di nuove operazioni mentali: il bambino è ancora legato ad esperienze concrete, ma è in grado di raccontarle in modo meno egocentrico e seguendo connessioni logiche corrette. Se a questo aggiungiamo la possibilità di un’interazione dinamica con l’ambiente circostante, ovvero lavorare in piccolo gruppo con i compagni di classe, è addirittura possibile accelerare il processo evolutivo del pensiero logico verso una maggior astrattezza[3].

Questo vuol dire che attività di Debate o di propedeutica possono essere svolte addirittura a partire dalla scuola primaria. Naturalmente si partirà con temi e attività legati al vissuto dei giovani alunni e poi si proporranno via via argomenti di discussione sempre più ampi e allargati al mondo circostante.

A mio avviso, per avviare alunne e alunni alla pratica del Debate, bisognerebbe porsi un problema di motivazione.

Il problema della motivazione e dell’interesse a svolgere una certa attività è sicuramente importante ad ogni età e in ogni ordine di scuola. Tale problema però assume un’importanza determinante nella scuola del Primo ciclo e nello stesso tempo solleva difficoltà maggiori di quelle che possono essere presenti ai successivi livelli.

Possiamo parlare di motivazione in quei casi in cui nello studente è presente una forza, un desiderio che lo induce a svolgere una certa attività o  ad impegnarsi in un compito. Se un insegnante risolve bene questo problema di fondo, si può ben dire che egli è a metà della sua opera.

Sicuramente il Debate, in quanto gioco tra squadre ha in sé una forte leva motivazionale: riesce a suscitare interesse e a coinvolgere studenti a tutte le età. Il rischio maggiore però è quello di pianificare attività non adatte all’età dei propri studenti, attività troppo complesse con l’inevitabile conseguenza di far crollare sia la motivazione sia l’interesse.

Un’ottima strategia è quella di proporre attività ludiche di propedeutica al debate. Queste attività sono adatte sia agli studenti di Scuola Primaria ma anche come primo approccio al debate agli studenti della Scuola Secondaria di primo grado: giochi di comunicazione persuasiva.

 

ALCUNI ESEMPI

  1. Parole significative

Durata: 10/20 minuti

Obiettivo: argomentare le proprie idee e negoziare con quelle degli altri, accettando le idee degli altri quando le loro argomentazioni sono convincenti. Abitua a esporre le proprie idee in modo convincente.

Svolgimento: si decide un argomento, ad esempio 8 parole significative sulla pace (o sulla libertà, sull’amicizia…ma anche su un autore studiato) e in un minuto tutti gli studenti devono scrivere l’elenco delle parole attinenti all’argomento prescelto che ritengono più importanti. Poi si formano delle coppie, ognuna delle quali deve trovare in due minuti un accordo sulla scelta delle 8 parole. A questo punto, unendo due coppie, si formano dei quartetti: ogni quartetto ha 3 minuti per decidere le 8 parole comuni. Si continua (aumentando il tempo al crescere dei gruppi) finché i partecipanti sono divisi in due squadre: a questo punto si deve cercare un accordo globale per ottenere le 8 parole valide per tutti.

Note: devono essere parole, non frasi.

 

  1. Punti d’interesse

Durata: variabile, fino a 40-50 minuti

Obiettivo: esprimere giudizi, giustificare le proprie scelte, ascolto reciproco e valutazione dei giudizi degli altri.

Svolgimento: si decide un argomento, ad esempio lo sport, (oppure l’amicizia, ma anche un tema sviluppato in classe: cibi geneticamente modificati, ecc…). Su questo argomento si preparano 6-7 affermazioni di giudizio, ad esempio “Le competizioni sportive sono dannose”, “Lo sport più salutare è il nuoto”, “E’ meglio guardare una gara sportiva invece di svolgerla”… Ogni affermazione viene scritta su un foglio diverso e ciascun foglio attaccato in punti tra loro distanti, nell’aula. Gli studenti, in gruppetti di 3, si posizionano vicino ad uno dei fogli appesi ed esprimono il loro giudizio sull’affermazione. Possono essere d’accordo oppure no, l’importante è spiegare il perché. Dopo 6/8 minuti di discussione si cambia postazione e quindi si cambia contenuto dei discorsi.

Note: gli studenti non devono trovarsi necessariamente d’accordo, ma è importante che ciascuno esprima i propri giudizi.

 

  1. Vendita al buio

Durata: variabile, fino a 40-50 minuti

Obiettivo: argomentare ed esporre le proprie idee con efficacia. Sviluppare abilità di public speaking

Svolgimento: si dividono gli studenti in coppie di lavoro. Ciascuna coppia sceglie un oggetto da vendere al resto della classe e organizza un discorso persuasivo per convincere la classe a comprare il proprio oggetto. Nel discorso non si deve menzionare il nome dell’oggetto, ma si deve spiegare perché è utile, i vantaggi che offre, e dare tutte le motivazioni possibili affinché venga acquistato.  Solo al termine delle trattative ogni studente scopre l’oggetto che ha comprato sulla base del discorso persuasivo.

Note: il gioco è particolarmente divertente se vengono venduti oggetti bizzarri.

 

ALCUNE REGOLE FONDAMENTALI

Non dimentichiamo che il dibattito è un’attività regolamentata, questo vuol dire che anche nello svolgimento dei giochi e delle attività ludiche dobbiamo fare in modo che siano osservate alcune regole fondamentali.

Vediamone due in particolare:

  • lo schema argomentativo (regola osservata dagli studenti)
  • la mozione “giusta” (regola osservata dal docente)
  1. Lo schema argomentativo

Fin da subito, anche con gli studenti più giovani, il docente deve aver cura di presentare lo schema argomentativo. Fatto di pochi ma chiari passaggi:

un’introduzione che spiega i termini del problema (nel caso di “Le competizioni sportive sono dannose” andrebbe spiegato cosa s’intende per competizioni sportive e cosa s’intende col termine dannose…)

la tesi da sostenere, ovvero se si condivide oppure no l’affermazione

gli argomenti che motivano la scelta servono e spiegare il perché delle proprie opinioni

la conclusione, ovvero una sintesi efficace di quello che è stato sviluppato nel discorso.

Un espediente utile, per guidare i nostri studenti a strutturare un discorso persuasivo, potrebbe essere quello di preparare una carta del discorso, una specie di tabella in cui “annotare” i concetti principali di ciascuna sezione. La carta del discorso svolgerebbe la stessa funzione di una scaletta utilizzata per la pianificazione di un testo scritto.

 

  1. La mozione “giusta”

La mozione è l’argomento di discussione. È un’affermazione nei confronti della quale il giovane oratore deve decidere se essere d’accordo oppure no. Anche se non è formulata esplicitamente con un punto di domanda, la mozione nasconde al suo interno un quesito a cui si risponde con un oppure con un no. L’obbiettivo è indurre gli studenti a spiegare “sì, perché…” oppure “no, perché…” e quindi a motivare e giustificare le proprie idee.

È bene che il docente sia in grado di formulare mozioni in modo corretto, per evitare che il dibattito sia sbilanciato o insostenibile da una delle due parti.

Generalmente le mozioni vengono classificate secondo tre generi: sui fatti, sui valori e sulle azioni[4]. In realtà la loro distinzione è solo concettuale e non vanno considerate a compartimenti stagni. Ad ogni modo, le mozioni sui fatti consentono di discutere su ciò che accade, è accaduto oppure accadrà; le mozioni sui valori inducono ad esprimere giudizi su persone, eventi, oggetti o situazioni; le mozioni sulle azioni sono relative a piani di azione adottati o proposti.

Per garantire un ulteriore chiarimento si forniscono esempi di mozioni relative al tema dello sport:

  • La bicicletta è un mezzo di trasporto diffuso dappertutto (mozione sui fatti)
  • Il ciclismo è lo sport più salutare (mozione sui valori)
  • Tutti gli studenti dovrebbero andare a scuola in bicicletta (mozione sulle azioni)

Già da queste mozioni esemplificative appare chiara l’interconnessione tra i diversi tipi di mozioni: non si può parlare di valori senza far riferimento a fatti, così come non si può parlare di azioni senza discutere dei valori che guidano le azioni o le decisioni in merito al problema analizzato.

In conclusione, saper riconoscere la tipologia di mozione o formularla correttamente è determinante per comprendere come guidare i nostri alunni alla costruzione di un discorso efficace e quindi orientare la discussione in modo costruttivo.

 

[1] J. Delors, op. cit, pp. 15-18.

[2] J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, 1972

[3] L. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, 1934

[4] De Conti, Giangrande, Debate: pratica, teoria e pedagogia, pp. 37-43.

 

Rosa Carnevale

Docente di Storia e Filosofia, svolge regolare attività di coach e giudice in gare regionali e nazionali di Debate. Componente attivo della Società Nazionale Debate Italia, promuove la diffusione del Debate attraverso un’intensa attività di formazione nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo e secondo grado. È coautrice del Mooc Introduzione al Debate del Politecnico di Milano. Da diversi anni lavora all’applicazione del dibattito nelle attività disciplinari e curricolari scolastiche.

 

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La classe inclusiva: comunità di relazione e apprendimento

Fare gruppo + metodologia della TA.CO.CA

 

Fare gruppo

La priorità educativa di una scuola inclusiva è quella di promuovere le condizioni affinchè in sezione e in classe i bambini possano vivere una reale dimensione comunitaria.

Il gruppo, infatti, svolge una funzione di rispecchiamento e restituisce l’immagine che il soggetto ha di se stesso, in un gioco continuo fra costruzione/ricostruzione, autonomia/dipendenza, individualità/collettività.

L’essenza del gruppo è l’interdipendenza tra i suoi componenti. Per questa ragione è necessario:

  1. favorire il senso dei “Noi” in modo da superare personalismi e identità autocentrate;
  2. promuovere legami di appartenenza: ogni alunno deve sentirsi parte di un cammino che egli stesso contribuisce a determinare;
  3. educare alla reciprocità, cioè a vivere in modo strutturale la dimensione dell’aiuto sia nelle relazioni interpersonali che nelle esperienze di apprendimento.

Per quanto concerne il piano educativo-didattico, i/le docenti devono farsi carico di due dimensioni della classe, intesa come gruppo:

  • l’orientamento alle relazioni affettive e, quindi, al benessere psicologico degli alunni;
  • la cura degli apprendimenti: il rapporto che gli allievi devono instaurare con le attività di studio, nei campi di esperienza e nelle conoscenze disciplinari.

La classe, pertanto, si riconosce come comunità quando le due strutture portanti del “fare gruppo” (orientamento alle relazioni e al compito) si integrano e raggiungono un’efficace forma di equilibrio.

Questa duplice centralità della didattica viene tratteggiata in modo sintetico nella figura 1.

 

 

FIG. 1 Il duplice livello relazionale della didattica

 Relazione educativa e relazione culturale sono le parole chiave di una scuola che si prende cura non soltanto degli alunni (di tutti, nessuno escluso), ma anche degli stessi insegnanti.

 

Il gioco del gomitolo

La cura delle relazioni si impone oggi all’attenzione dei/delle docenti non soltanto per essere un’istanza coessenziale all’educazione, ma anche perché, dopo la pandemia, si sono accentuati gli stati di ansia, incertezza e paura, che chiedono alla scuola un’azione “supplementare” nei confronti di bambine, bambini, ragazze e ragazzi.     

La relazione educativa, incentrata sull’ascolto e sul dialogo, si regge su una molteplicità di “tecniche” gestionali della classe, brainstorming, circle time, giochi di ruolo…, che ogni insegnante è tenuto a padroneggiare.

Una forma molto eclettica, poco conosciuta, finalizzata a creare un clima positivo tra i bambini della sezione e della classe è il gioco del gomitolo.

Il gioco è la manifestazione da cui i bambini traggono il maggior vantaggio perché risponde ai loro fondamentali bisogni: di relazione, movimento, esplorazione, appartenenza, sperimentazione di ruoli.

Nel gioco del gomitolo bambine e bambini si dispongono in cerchio (seduti una superficie morbida, sulle sedie, sul pavimento, ecc.) e, sotto la guida dell’insegnante, si lanciano e rilanciano un gomitolo di lana fino a trovarsi tutti irretiti in una sorta di ragnatela.

Il docente deve esercitare

          uno stile educativo di tipo autorevole, basato sul sostegno emotivo ma anche su regole precise  che facilitino una socialità positiva. Uno stile che favorisca l’acquisizione della cosiddetta “disciplina sensibile”, atteggiamento volto a promuovere comportamenti adeguati al contesto. (Di Chio, 2022) 

Un bambino o una bambina del cerchio inizia a parlare di sé e, quando ha terminato la presentazione, lancia il gomitolo ad un coetaneo, dopo essersi legato un filo al polso.

Il gioco continua fino al punto in cui tutti i membri del cerchio si trovano coinvolti nella medesima tela.

Come si evince dall’immagine, questa attività crea una naturale forma di benessere che può evolvere in un rapporto di amicizia, aiuto reciproco e vicinanza emotiva.

Per la sua versatilità, questa strategia educativa può essere proposta con una certa frequenza: all’inizio dell’anno scolastico per conoscersi o rinsaldare vecchie conoscenze, nell’accoglienza di un nuovo compagno, in momenti in cui si avverte il bisogno di canalizzare situazioni di disagio che qualche alunna/o sta vivendo. 

L’esperienza del gioco può essere rappresentata su un cartellone (FIG. 3) e trasformarsi nella “ragnatela dell’amicizia” in cui i bambini possono evidenziare particolari legami con compagni di sezione o di classe.

FIG. 3 La ragnatela dell’amicizia

Il gioco del gomitolo presenta molte affinità con il circle time, metodologia educativa che si svolge anch’essa con la disposizione a cerchio degli alunni.

Entrambe le tecniche favoriscono l’inclusione, in quanto eliminano qualsiasi forma di disparità e promuovono un senso di appartenenza e di mutuo aiuto.

 

Il compito inclusivo: la metodologia della TA.CO.CA.

 La presenza di un alunno con disabilità in classe rappresenta una preziosa opportunità di allargamento degli orizzonti di apprendimento per tutti i compagni e per gli stessi insegnanti.

Maria Famiglietti, esperta dell’IRRSAE dell’Emilia-Romagna, negli anni Novanta del secolo scorso, ha messo a punto e diffuso in molte scuole italiane e straniere una serie di metodologie didattiche incentrate sulla natura strutturalmente inclusiva del compito assegnato ai bambini e alle bambine.

 Si tratta di strategie finalizzate a valorizzare pienamente il protagonismo di tutti gli allievi nei processi di costruzione della conoscenza attraverso un’efficace mediazione didattica: la classe si trasforma in una comunità di apprendimento, centrata sui “discorsi” degli alunni e delle alunne stesse.

Lei stessa ha definito la tecnica più frequentemente utilizzata TA.CO.CA. (TAbella di COnfronto su risposta CAmpione): una modalità di gestione della classe che coinvolge i bambini in una problematica non affrontata in classe.

Tale metodologia è finalizzata a mettere a fuoco, nella fase inziale, le conoscenze preesistenti che ogni alunno e alunna ha maturato autonomamente su un determinato tema. Le conoscenze del Livello di Partenza (LP) costituiranno la base per costruire, attraverso il confronto dei diversi punti di vista dei ragazzi, il Livello di Uscita (LU), affidato generalmente all’elaborazione di un testo collettivo della classe. 

Le caratteristiche di fondo della TA.CO.CA. sono le seguenti:                                                   

  • azzeramento iniziale delle difficoltà di contenuto;
  • piena libertà di risposta dell’alunno;
  • elaborazione della risposta con una frase semplice, breve ed esaustiva.

Come già sottolineato, questa tecnica è implicitamente inclusiva, in quanto centrata sulle reali capacità degli alunni e delle alunne che, indipendentemente dalla loro “preparazione”, partecipano attivamente al buon esito dell’unità di apprendimento. 

 

La TA.CO.CA. in azione

Nella figura 4 viene illustrata la prima fase di una unità di apprendimento (con la modalità TA.CO.CA.) in cui studenti e studentesse di una classe terza della scuola primaria hanno dovuto cimentarsi con la domanda: “Chi è per te il dinosauro”?

 

FIG. 4 La prima fase della TA.CO.CA

 

Alla risposta “campione” di Antonio (“Il dinosauro è un animale vissuto prima dell’uomo”), scelta dagli alunni stessi, allievi e allieve sono stati chiamati a inserire la propria frase nella colonna delle risposte ritenute simili o dissimili.

 Al termine di questo lavoro di confronto, un gruppo redazionale ha sintetizzato il percorso svolto elaborando un testo collettivo che rappresenta il Livello d’Uscita delle conoscenze dell’intero gruppo classe. In questo iniziale momento dell’attività gli alunni esercitano una molteplicità di comportamenti civici. In particolare, nello schema di cui alla FIG.4 vengono evidenziate due competenze di cittadinanza descritte nel decreto ministeriale 139/2007: l’interpretazione e la partecipazione.

        Completata questa fase di ricognizione nella quale vengono valorizzate le conoscenze preesistenti dei singoli alunni e attuato un confronto sui vari costrutti mentali, l’insegnante avvia un successivo momento più impegnativo finalizzato a dare sistematicità e solidità all’argomento di studio. Gli alunni, infatti, dovranno confrontare il testo della classe con un secondo elaborato dall’insegnante, più ampio e completo. (FIG. 5) (Rondanini, 2020)

 Nello specifico, alla classe, organizzata in coppia o in piccolo gruppo, viene richiesto di evidenziare analogie e differenze tra i due testi.

FIG. 5 il confronto fra testi

 

A questo punto, la classe dispone degli strumenti essenziali in grado di portare gli alunni a predisporre un vero e proprio dossier sugli aspetti più significativi della vita di questi rettili (specie, alimentazione, grandezza, riproduzione, estinzione, …) vissuti milioni di anni fa.

La TA.CO.CA., come tutte le strategie didattiche a sfondo cooperativo, oltre a permettere ad ogni bambino di valorizzare le proprie potenzialità cognitive, favorisce anche la costruzione di un clima positivo che rafforza il piano motivazionale ed affettivo, indispensabile per formare gruppi realmente inclusivi.

Questa strategia didattica risponde pienamente a quanto sottolineato nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 in cui si invitano gli insegnanti a “dedicare particolare cura alla formazione della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti indotti dalla socializzazione”.

Infine, la TA.CO.CA. è una strategia di facile praticabilità i cui tempi di realizzazione, con l’impiego della LIM, possono essere “velocizzati” rispetto alla pur apprezzabile tradizionale modalità “carta e penna”.

Luciano Rondanini

 

 

Bibliografia
Di Chio C. (2022), Emozioni in relazione, Erickson, Trento

Rondanini L. (2020), Psicologia e didattica in classe, Homeless Book, Faenza (RA)

      

 

Progettazione partecipata del Piano educativo individualizzato

Strumenti e strategie

Il modello bio-psico-sociale dell’ICF

Il decreto legislativo 66/2017, in attuazione della legge 107/2015, ha previsto che, dopo l’accertamento della condizione di disabilità, venga redatto il Profilo di funzionamento secondo i criteri del modello bio-psico-sociale dell’ICF (International Classification Functioning dell’OMS, 2001). Il Profilo rappresenta l’ineludibile riferimento della progettazione del Progetto individuale e del Piano educativo individualizzato (vedi FIG. 1).

FIG. 1 Dal Profilo di funzionamento al Progetto individuale e al PEI

Il modello ICF afferma una concezione unitaria della persona con disabilità, concentrandosi sugli aspetti che “funzionano” piuttosto che su statici parametri clinici.

La scelta di adottare il modello ICF nei processi di inclusione delle persone con disabilità accresce il principio della corresponsabilità degli insegnanti, in quanto si rafforza una prospettiva educativa e non specialistica di natura medica.

La scuola, infatti, alla luce dell’ICF, deve superare il momento sanitario certificativo per effettuareuna descrizione dei  bisogni degli alunni che tenga conto del contesto culturale e ambientale in cui essi vivono. (Canevaro-Ianes, 2019)

Non è un caso che le parole chiave dell’ICF non siano deficit, menomazione, minorazione, ma attività, partecipazione e qualità dei contesti.

Lo strumento dell’autointervista

In questo contributo è stato presentato un modello di progettazione partecipata del PEI, che riproponiamo nello schema sotto riprodotto (FIG. 2)

 

FIG. 2 L’osservazione partecipata da parte del team e del consiglio di classe

Queste quattro dimensioni, in forma diversa, sono richiamate anche nelle Linee guida allegate al decreto interministeriale 182 del dicembre 2020, che la Sentenza del Consiglio di Stato dell’aprile 2022 ha rilegittimato, dopo l’annullamento del Tar Lazio del settembre 2021.

Nel modello nazionale di PEI riguardante ciascun grado scolastico, nelle osservazioni iniziali, finalizzate a progettare gli interventi di sostegno didattico, vengono indicate le seguenti aree:

  • dimensione della relazione, dell’interazione e della socializzazione;
  • dimensione della comunicazione e del linguaggio;
  • dimensione dell’autonomia e dell’orientamento;
  • dimensione cognitiva, neuropsicologica e dell’apprendimento.

Nello strumento di cui alla FIG. 2 tali dimensioni sono riferite ai docenti per il fatto che sono loro a determinare le condizioni di una classe inclusiva. Nel momento in cui gli insegnanti sono in grado di vivere nel loro agire quotidiano quanto previsto nello schema sopra richiamato, anche gli alunni saranno facilitati a raggiungere i traguardi indicati nei quattro campi descritti nelle Linee guida.

Una didattica inclusiva deve essere pensata, progettata e pianificata, sin da principio. Tale scelta permette di gettare solide basi di un’efficace valorizzazione delle diversità nella fase realizzativa e valutativa del progetto. 

Costruire legami

Nelle prime due colonne della figura 2 ogni docente deve esplicitare le caratteristiche delle relazioni nei confronti dei genitori degli alunni in situazione di handicap e verso l’allieva/o fragile. La componente relazionale è, infatti, uno dei fattori più importanti della qualità didattica, soprattutto nel momento attuale nel quale sono richieste aperture educative in senso dialogico.

Dovendo però predisporre in modo condiviso un progetto individualizzato/personalizzato, risulta essenziale che ogni docente espliciti punti di forza e di criticità.

Occorrono naturalmente molta sincerità e lealtà. Anche eventuali difficoltà non vanno sottaciute o nascoste. In un’ottica di team building, i problemi vissuti dal singolo devono diventare di tutti per poterli affrontare facendo leva sul reciproco sostegno.

Lo psicoanalista inglese Wilfred Bion, che ha studiato a lungo la psicologia di gruppo, distingue nelle relazioni gruppali due dimensioni:

  • razionale, orientata al compito (disposizione mentale, ruoli di ciascuno, regole di funzionamento … finalizzati al conseguimento di un esito atteso);
  • inconscio o degli assunti di base, orientata alle relazioni, in cui emergono le resistenze, la realtà latente, nascosta, delle fantasie. Questa dimensione è riconducibile ai meccanismi di difesa che inevitabilmente i membri del gruppo mettono in atto.

 

Le due dimensioni sono strettamente collegate e devono integrarsi dando vita ad equilibri e assunzione di responsabilità condivise.

Per facilitare il coordinatore del team o del consiglio di classe, nella composizione dei diversi atteggiamenti degli insegnanti, è possibile trasformare il protocollo di osservazione in un questionario inteso a velocizzare l’intera procedura da parte dei docenti della singola classe, ma soprattutto quando il medesimo strumento viene utilizzato in classi parallele.

Ad esempio, il punto di riflessione della prima colonna può essere ridefinito come rappresentato nella figura 3. La stessa modalità potrà essere utilizzata per tutti e quattro gli ambiti individuati.

FIG. 3 Possibile utilizzo del protocollo di osservazione

L’apprendimento, innanzi tutto

 Nella terza e quarta colonna della figura 2 si afferma la centralità della mediazione didattica che rappresenta il fondamentale requisito di un insegnamento orientato all’inclusione.

Trent’anni fa la legge 104/1992 ha affermato che il diritto all’apprendimento costituisce il perimetro educativo entro cui si gioca il futuro delle persone con disabilità.

     L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona  handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione (art. 12)

Ancora più esplicito risulta il testo dei Programmi della scuola elementare del 1985:

      l’obiettivo dell’apprendimento non può mai essere disatteso né tanto meno sostituito da una semplice socializzazione “in presenza”, perché il processo di socializzazione è in larga misura una questione di apprendimento.

La centralità dell’apprendimento nell’inclusione degli alunni con disabilità, come si evince dalle citazioni, è contestuale all’avvio di questa scelta politica fin dagli anni Settanta. Continua però ad incontrare ancora ostacoli e resistenze.

E’ dunque essenziale che i presupposti di una progettualità inclusiva siano chiari sin dall’inizio. La didattica inclusiva si prefigura come uno “stile” di insegnamento innovativo, corale e flessibile in grado di facilitare il successo formativo di tutti gli allievi.

Riproponendo lo schema di cui alla figura 3, l’ultima colonna del secondo riquadro (mediazione didattica e organizzazione inclusiva della classe) può essere affidata alle seguenti domande (FIG. 4).

 

FIG. 4 Domande del docente per una classe inclusiva

 

In questo quadro,

       il sostegno deve evolversi in un servizio, che comprenda anche i cambiamenti dei colleghi: si eviteranno così il “fai da te” e una storia di anonimato che, in qualche caso, tende ad occultare l’insegnante specializzato. (Rondanini, 2019)

     Progettare in modo inclusivo significa pensare a forme di insegnamento personalizzato, perché ogni allievo affronta le esperienze di apprendimento in modi differenti. La classe “ideale” non esiste (non è mai esistita). Per gli insegnanti, la progettazione del PEI (ma anche del PDP) è una preziosa opportunità di rafforzare il senso di comunità, che consentirà di evitare un inutile spreco di tempo e soluzioni di emergenza. 

 

 

Bibliografia

Canevaro A.-Ianes D. (2019) (a cura di), Un altro sostegno è possibile, Erickson, Trento

Rondanini L. (2019), L’ICF e la progettazione partecipata del PEI. Per una scuola come comunità di sostegno, Tecnodid, Napoli

Baldacci M. (2003), Individualizzazione, da “Voci della Scuola”, a cura di Cerini G. e Spinosi M., Tecnodid, Napoli

Marasso O. e Mosca S. (2000), Autovalutazione dell’insegnamento, sta in Barzanò G-Mosca S.-Scheerens J., L’autovalutazione nella scuola, Bruno Mondadori, Milano

Cerini G. (2021), Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, Napoli

Il PEI e la centralità della valutazione

Chi fa da sé non fa per tre

Nel precedente contributo, Progettare il Piano Educativo Individualizzato, sono stati delineati gli aspetti che stanno alla base del progetto inclusivo d’istituto:

  • condivisione di una cornice pedagogica da parte di tutto il personale della scuola;
  • corresponsabilità del gruppo docente della sezione/classe;
  • centralità della valutazione degli apprendimenti degli alunni con disabilità.

Ho già avuto modo di sottolineare che la condivisione da parte delle e degli insegnanti di un comune orizzonte pedagogico deve essere incentrata sulla personalizzazione del PEI e del PDP, che mira a differenziare i percorsi a partire dalle caratteristiche dell’alunna/o, aiutando ogni studente a “sviluppare una propria forma di talento” (Baldacci, 2003).

Docenti, genitori, educatori ed educatrici, assistenti all’autonomia e alla comunicazione, collaboratori, devono però saper tradurre concretamente tale dimensione. Agli insegnanti e alle insegnanti, in particolare, viene richiesta un’elevata corresponsabilità educativa, in assenza della quale la personalizzazione del percorso rischia di finire in secondo piano.

In questo senso, la predisposizione di un progetto individualizzato coincide con la condivisione di uno spazio comune di ideazione, ricerca e azione.

Le persone con disabilità e/o con bisogni educativi speciali posseggono eccellenze il cui riconoscimento richiede scelte rientranti nel medesimo orizzonte culturale. Quando viene a mancare questo sguardo d’insieme, scatta inevitabilmente il meccanismo della delega. Per questa ragione, purtroppo, non di rado, la “stesura” del PEI ricade sull’insegnante di sostegno o su qualche altra figura di riferimento.

Al contrario, le buone pratiche inclusive ci dicono che l’educazione dei bambini e delle bambine fragili presuppone la presenza di adulti fortemente affiatati sul piano personale e coesi su quello professionale. Solo così si potrà realmente costruire il progetto inclusivo della classe, requisito essenziale di un buon PEI.

La corresponsabilità educativa è cosa diversa dalla contitolarità.

I docenti sono contitolari sul piano giuridico in relazione all’assegnazione formale alla classe, ma possono essere distanti per quanto concerne la visione “antropologica” che manifestano nei confronti degli alunni.

Una cosa è certa, la costruzione della classe come comunità di apprendimento richiede la presenza di un gruppo professionale capace di andare oltre la logica del mero adempimento. L’inclusione, infatti, riguarda tutti: la classe si trasforma in uno spazio di prossimità nel momento in cui ogni attore coinvolto ha imparato a “sostenersi” vicendevolmente.

Nella classe, infatti, si creano quei legami amicali e di mutuo aiuto indispensabili per un’autentica crescita di tutti (ragazzi, ragazze e adulti). Dunque, la corresponsabilità educativa del team (scuola dell’infanzia e primaria) e del consiglio di classe (secondaria di I e di II grado) rappresenta il requisito basilare della qualità di una scuola inclusiva.

 

Valutazione e inclusione

La necessità di lavorare come gruppo professionale è richiesta in vari momenti del lavoro dell’insegnante, in particolare nella valutazione didattica periodica e finale. Il rapporto, infatti, tra inclusione e valutazione degli apprendimenti è sostanziale. A questo proposito le Indicazioni nazionali – 2012 (infanzia e primo ciclo di istruzione) offrono un importante spunto di riflessione. Nella parte relativa all’Organizzazione del curricolo, si afferma che

           la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.

Nella citazione sono comprese le tre principali funzioni della valutazione:

  • diagnostico-iniziale (precede);
  • formativa o di processo (accompagna);
  • sommativa o di bilancio (segue).

Essa non si pone, dunque, solo come punto di arrivo di un percorso; al contrario, la fase dell’accertamento ha senso sono se vengono rispettate le due precedenti funzioni: diagnostica e formativa. La valutazione assume, pertanto, un’azione proattiva, di attribuzione di valore e di incoraggiamento ad imparare.

Infatti, come sottolineato nelle Indicazioni-2012, rimanda ad un atteggiamento in cui l’insegnante non si limita a quantificare, ma è desideroso di conoscere l’allievo: caratteristiche, potenzialità, punti di forza, criticità, propensioni.

Attribuire valore, infatti, significa avvertire il bisogno di sentirsi coinvolti e di promuovere la partecipazione attiva della persona valutata. In questo senso, la valutazione è per sua natura inclusiva.

Ma come tutte le funzioni complesse, presuppone il superamento di logiche individualistiche che tendono ad assolutizzare punti di vista, spesso errati.

La valutazione inclusiva è comprensiva dell’intero processo di apprendimento: oltre al profitto, si considerano anche l’atteggiamento verso l’apprendimento, la responsabilità, la costanza, i progressi maturati, l’impegno…  Agli insegnanti sono richieste, pertanto, doti personali, capacità di confronto, elevate competenze professionali.

Per queste ragioni, è bene partire con il piede giusto e valorizzare il più compiutamente possibile la fase della valutazione diagnostico-iniziale, che spesso disattesa.

Non a caso, nelle Linee guida, allegate al decreto interministeriale 182/2020, che ha introdotto il modello nazionale di PEI, recentemente “ripristinato” dal Consiglio di Stato nella sentenza del 26 aprile scorso, si afferma che

     l’osservazione dell’alunno è il punto di partenza dal quale organizzare gli interventi educativo-didattici.Si rammenta inoltre che, nella valutazione degli allievi con disabilità il principio guida è “il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali”.

La medesima prospettiva viene esplicitata nell’ordinanza ministeriale 172/2020 che ha introdotto, nella scuola primaria, il giudizio descrittivo al posto dei voti. L’ottica, si afferma nell’ordinanza, è la valutazione per l’apprendimento, che ha carattere formativo poiché le informazioni rilevate sono utilizzate anche per adattare l’insegnamento ai bisogni educativi concreti degli alunni e ai loro stili di apprendimento, modificando le attività in funzione di ciò che è stato osservato e a partire da ciò che può essere valorizzato.

Nella predisposizione del PEI, la valutazione diagnostico-iniziale è di fondamentale importanza; coincide, infatti, con uno sguardo prospettico sull’alunno fragile visto nelle trame relazionali dei vari contesti di riferimento: famiglia, sezione/classe, gruppo dei pari. Questo sguardo lungo richiede, da parte dei docenti, un lavoro ad elevato tasso di collegialità e partecipazione, come peraltro affermato nella normativa fin dagli anni Settanta del secolo scorso.

 

La progettazione partecipata

 Giancarlo Cerini ha scritto che

    una corretta cultura della valutazione si costruisce attraverso un processo partecipato, un lavoro di ricerca, una mirata formazione in servizio… La valutazione è una mossa riflessiva e ricorsiva e serve per: conoscere, riflettere, decidere, intervenire, regolare e controllare. Il valore formativo della valutazione (che parte sempre dalla conoscenza) si esplica lungo l’intero percorso (Cerini, 2021).

Osservazioni illuminanti! Come tradurre concretamente queste riflessioni, soprattutto nella fase della valutazione iniziale, determinante per una corretta progettualità in chiave inclusiva?

 Considerato che il punto di partenza è dato dalla valutazione diagnostica, nel Piano per l’inclusione ogni scuola deve prevedere l’utilizzo di strumenti che vincolino il comportamento di tutti i docenti del team e del consiglio di classe.

Come esplicitato nello schema sotto riprodotto, una buona valutazione iniziale consente di mettere a fuoco le coordinate di un’efficace progettualità personalizzata, che non è un momento a sé stante, ma si configura già come rappresentazione concreta del PEI.

Immagine1

Per fare tutto ciò, potranno essere utilizzati vari strumenti di osservazione. L’importante è che vengano rispettati alcuni essenziali requisiti. I dispositivi impiegati devono essere selettivi (rilevare solo gli aspetti generativi) e funzionali alle finalità che si intendono conseguire.

 

L’autointervista, strumento di costruzione del team

Esistono diversi modi di team building; un gruppo diventa tale quando i membri che lo compongono si conoscono, aumentano il livello di collaborazione, stima reciproca, ascolto, empatia, motivazione, … Si impara in tal modo a lavorare per obiettivi, valorizzando le potenzialità di ogni singola persona. Lo scopo finale è far sì che il gruppo si senta sempre più squadra, creando legami di interdipendenza, appartenenza e di mutuo aiuto.

Un dispositivo agile e particolarmente efficace ai fini della coesione del gruppo, può risultare l’autointervista, cioè una forma di interazione tra i docenti del team, sulla base di uno schema precedentemente elaborato e condiviso, che si configura come

     uno strumento con il quale i docenti possono analizzare la loro prassi didattica per migliorarne l’efficacia… Aiuta il singolo docente a riflettere sulle modalità del proprio insegnamento, ne   aumenta la consapevolezza e favorisce l’elaborazione di strategie di programmazione retroattiva e proattiva. (Marasso-Mosca, 2000)

Nel caso della progettazione del PEI, si tratta di mettere a fuoco alcuni essenziali aspetti che stanno alla base di un progetto individualizzato (personalizzato) cercando, attraverso una forma dialogica, di “mettere a terra” il modus operandi di ogni docente (punti di forza e di criticità).

Gli snodi sui quali focalizzare la progettazione partecipata del PEI (PDP) sono i seguenti:

  1. il rapporto che ogni docente del team o del consiglio di classe ha con i genitori degli alunni con disabilità, con disturbo specifico di apprendimento e con bisogni educativi speciali;
  2. la relazione di ogni insegnante con gli allievi fragili all’interno del gruppo classe;
  3. gli adattamenti disciplinari, gli strumenti compensativi, le misure dispensative e altri dispositivi, che ogni docente intende attivare nel proprio insegnamento;
  4. le forme della mediazione didattica: lezione frontale (come?), attività di gruppo, di coppia, peer tutoring, … che determinano la qualità di una classe inclusiva.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché sta alla base dell’organizzazione di una classe realmente inclusiva dove la “risorsa compagni” diventa il volano dell’integrazione stessa.

In questo contesto, l’autoriflessione dell’insegnante costituisce la chiave di volta per gettare le basi di una prima progettualità sulla quale verrà definito il progetto educativo individualizzato.

Nel prossimo approfondimento vedremo come concretamente può essere impiegato dai docenti questo particolare strumento di lavoro in coerenza con i quattro punti sopra richiamati. (continua)

Luciano Rondanini

 

 

Bibliografia

Baldacci M. (2003), Individualizzazione, da “Voci della Scuola”, a cura di Cerini G. e Spinosi M., Tecnodid, NapoliMarasso O. e Mosca S. (2000), Autovalutazione dell’insegnamento, sta in Barzanò G-Mosca S.-Scheerens J., L’autovalutazione nella scuola, Bruno Mondadori, Milano  Cerini G. (2021), Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, Napoli

Progettare il Piano Educativo Individualizzato

Chi ben comincia…

Settembre, tempo di futuro!
L’inizio di un nuovo anno comincia all’insegna dell’attuazione degli interventi previsti nel Piano triennale dell’offerta formativa che ogni scuola intende realizzare.

Tra i documenti progettuali più importanti che i docenti devono predisporre ci sono il Piano educativo individualizzato (PEI) per gli alunni con disabilità e il Piano didattico personalizzato (PDP) per gli allievi con disturbo specifico di apprendimento e con bisogni educativi speciali.

Si tratta dei dispositivi ampiamente rappresentativi della qualità dei processi inclusivi per i soggetti più esposti ai rischi di vulnerabilità personale, culturale e sociale.

PEI e PDP rappresentano gli strumenti chiave del processo di crescita di queste fasce di “utenti” e devono essere inquadrati nel più generale Piano per l’inclusione che le scuole sono tenute a preordinare, come indicato nel decreto legislativo 66/2017. In assenza di uno sforzo congiunto tra la progettualità dell’istituzione scolastica e le azioni concrete che gli insegnanti mettono in atto, giorno dopo giorno, verrebbe meno il principio stesso dell’inclusione.

Che cosa è avvenuto negli ultimi tempi e in particolare nell’anno che si è appena concluso?

Per quanto concerne gli alunni con DSA non sono intervenuti cambiamenti di particolare rilevanza. Infatti, gli insegnanti della classe continuano a programmare le attività previste nel Piano didattico personalizzato sulla scorta di quanto previsto nelle Linee guida (DM 5696 del 12 luglio 2011), approvate dopo l’emanazione della legge 170/2010. Nell’ambito della discrezionalità di cui godono le istituzioni scolastiche in virtù dell’autonomia, ogni istituto ha elaborato in quest’ultimo decennio un proprio modello di PDP, la cui progettualità, pertanto, non ha conosciuto variazioni particolari.  

Vanno segnalate, invece, importanti novità sul versante dell’inclusione degli alunni con disabilità certificata ai sensi dell’art.3 della legge 104/1992.

Riportiamo sinteticamente i fatti relativi agli ultimi due anni.

Nel decreto legislativo 66/2017 e in quello successivo, d.lgs. 96/2019, entrambi attuativi della legge 107/2015, è stata prevista da parte del Ministero dell’Istruzione l’adozione di un modello nazionale di PEI, secondo l’approccio bio-psico-sociale dell’ICF (Organizzazione mondiale della sanità, 2001). Tale esigenza risultava indifferibile in quanto, dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi, ogni istituzione scolastica ha agito in assoluta libertà determinando una pletora di modelli difficilmente comparabili tra loro, con conseguente difformità tra una scuola e l’altra. L’attribuzione dell’autonomia, avvenuta tra il 1997 (legge 59) e il 1999 (Regolamento attuativo – DPR 275), ha accentuato anziché alleggerito tale disparità.

Così il 29 dicembre 2020 il Ministero dell’Istruzione e il MEF hanno ottemperato a quanto previsto dalla normativa, emanando il decreto interministeriale 182, con allegate le Linee guida e il modello nazionale di PEI per ognuno dei quattro gradi scolastici (dalla scuola dell’infanzia all’istruzione superiore).

Quando tutto sembrava andare per il meglio, primo colpo di scena: il 14 settembre 2021, ad anno scolastico avviato, il TAR del Lazio, con sentenza n. 9795, ha annullato il decreto 182, allegati e modelli compresi, riportando le lancette dell’orologio all’a.s. 2019-2020.

Le eccezioni sollevate dai giudici del Tribunale amministrativo hanno riguardato in particolare la composizione e le funzioni del Gruppo operativo di lavoro (GLO), al quale compete la definizione del PEI. Al fine di garantire la necessaria continuità al processo di inclusione scolastica, il Ministero dell’Istruzione, con un’apposita nota (n. 2044 del 17 settembre), ha fornito alle scuole chiarimenti e indicazioni in modo da assicurare il diritto allo studio, costituzionalmente garantito, agli alunni con disabilità e ha confermato che l’adozione del PEI avvenisse entro il 30 ottobre, come indicato nei decreti legislativi 66/2017 e 96/2019.

Nei mesi successivi però lo stesso Ministero ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensione della Sentenza del TAR del Lazio.

Si è così arrivati, nella scorsa primavera, al secondo colpo di scena. Infatti, non senza qualche sorpresa, il Consiglio di Stato con la Sentenza 26 aprile 2022, n. 3196, ha accolto il ricorso del Ministero dell’Istruzione e del MEF, precisando che il Decreto interministeriale 182/2020 non lede interessi concreti, sancendone di conseguenza la piena legittimità. Così, il Decreto 182 è ritornato a produrre effetti nel nostro ordinamento con tutto il suo originario contenuto.

Che fare?

Senza voler entrare nei dettagli di questa controversia, per molti aspetti paradossale, si vogliono fornire agli insegnanti alcuni essenziali elementi di riflessione anche e soprattutto in chiave operativa.

Va precisato che i molti docenti che dal mese di gennaio 2021 si sono resi disponibili a partecipare ad una serie di incontri formativi on line (si era in piena pandemia), organizzati dal Ministero dell’Istruzione, hanno sollevato non poche perplessità circa il modello nazionale di PEI, ritenendolo fortemente ordinativo e quasi esclusivamente esercitativo: una sorta di “libretto delle istruzioni” con scarsissimi elementi di flessibilità sia per gli insegnanti che per le istituzioni scolastiche.

A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, nell’a.s. 2022-2023, le scuole adotteranno il modello nazionale, senza confliggere, in ogni caso, con le eccezioni sollevate dal TAR del Lazio nel settembre 2021. Il GLO, pertanto, composto dai docenti della classe, dai genitori dell’alunno con disabilità, compresi professionisti indicati dalla famiglia, dovrà procedere, pur con le dovute cautele, ad utilizzare il modello nazionale nel frattempo “ripristinato”.

Come e quali sono le condizioni che determinano la definizione di un PEI efficace, inteso come effettivo strumento di una scuola inclusiva?

La progettazione del piano educativo individualizzato presuppone la condivisione, da parte dei docenti, di almeno tre centralità:

  1. l’adesione ad una comune cornice pedagogica;
  2. la corresponsabilità del team (infanzia e primaria) e del consiglio di classe (secondaria di primo e secondo grado);
  3. la qualità delle procedure riguardanti la valutazione didattica, tenuto conto che il PEI e il PDP sono il riferimento essenziale della valutazione degli apprendimenti degli allievi con disabilità, con DSA e con BES.

Si tratta di requisiti strettamente correlati tra loro, che presuppongono una gestione unitaria da parte dell’istituzione scolastica chiamata ad orientare in modo chiaro ed esplicito il comportamento degli insegnanti (e anche dei genitori).

Queste condizioni, a mio avviso, costituiscono il filo rosso di un efficace Piano per l’inclusione che le scuole devono predisporre come parte integrante del PTOF.

Il sistema di coerenze della scuola

Relativamente al punto 1), la predisposizione di un “buon” piano educativo individualizzato (personalizzato) presuppone che ogni istituzione scolastica, in particolare la leadership del dirigente e lo staff di gestione, definiscano un essenziale Piano per l’inclusione che vincoli (in parte) il comportamento degli/delle insegnanti. L’inclusione, infatti, è un processo pragmatico che deve orientare in modo mirato alcune fondamentali azioni che tutto il personale educativo (e non) della scuola è tenuto a rispettare. È ampiamente dimostrato che i modelli “fai da te” non producono effetti positivi, anzi portano spesso a forme di conflittualità (palese o latente), a scarsa collegialità e partecipazione.

Sul piano, dunque, della costruzione di una cultura pedagogica inclusiva, agli insegnanti deve essere richiesto, come prevede la normativa, di condividere il punto-chiave posto alla base dell’integrazione, cioè l’adesione convinta al principio della personalizzazione educativa.

Personalizzare un percorso significa agire in modo che la fragilità di ogni alunno venga riconosciuta attraverso la valorizzazione delle sue potenzialità e facendo sì che ognuno possa dare il meglio di sé.

Costruire concretamente scuole inclusive significa abbandonare “la prigionia dello stereotipo”, lasciarsi interpellare dalla fragilità e superare modelli standardizzati di insegnamento che tutt’al più soddisfano livelli medi di apprendimento, tagliando fuori sia gli alunni che faticano a raggiungere standard essenziali, sia i più talentuosi ad alto potenziale intellettivo (gifted children).

Non stiamo parlando di un esercizio accademico, ma delle fondamenta su cui costruire la casa, con unico obiettivo: il desiderio di camminare insieme!

Con questo primo contributo diamo l’avvio ad una rubrica che si occuperà di accompagnare i docenti e le docenti nella progettazione di un piano educativo personalizzato efficace, che sia concretamente inclusivo. Nei prossimi articoli affronteremo nello specifico i punti 2) e 3).

Luciano Rondanini

La filosofia nella Scuola dell’Infanzia

Costruisci la filosofia della tua sezione con le favole di Esopo e Fedro.

Tratto dalla Guida Draghetto Vol. 2 per la Scuola dell’Infanzia

Il desiderio di conoscere fa parte della natura umana e infatti i bambini pongono tantissime domande, sono “filosofia” allo stato puro. I bambini chiedono, vogliono sapere.

La filosofia è parte del nostro bagaglio culturale e morale da sempre, eppure lo studio specifico della disciplina è riferito agli ultimi anni del percorso scolastico, al liceo e all’università.

Invece, sin da bambini ci poniamo quelle do­mande dell’esistere che hanno caratterizzato il pensiero dei grandi filosofi.

E allora perché non proporre “l’amore per la sapienza” sin dai primi anni di scuola?

Ragionare con i bambini e con le bambine, anche così piccoli, risponde al bisogno di conoscere e ha come obiettivo il porsi delle domande, ma anche il saper rispondere ipotizzando cause, con­seguenze e possibili soluzioni. Tutto questo significa fare filosofia.

LE FAVOLE DI ESOPO E FEDRO

Per rendere la filosofia alla portata dei bambini, una strada percorribile è certamente quella legata alla narrazione, all’ascolto di brani e alle conversazioni di carattere filosofico che ne possono derivare.

Da questo punto di vista, risultano eccellenti le favole, in particolare di Esopo e Fedro, che già di per sé consentono di lavorare sulla simbologia, data dagli animali e dalle rispettive caratteristiche, sugli archetipi (il pigro, il saggio, il laborioso, ecc.), e sulla morale, che è l’insegnamento di ciascuna storia.

Da qui l’idea di lavorare sulle favole di Esopo e Fe­dro e organizzare un percorso laboratoriale per svi­luppare il pensiero critico e il problem solving.

Le favole, inoltre, proprio percché brevi e simboliche, sono già di per sé “filosofia” in quanto il bambino deve riuscire a contrapporre il comportamento degli animali alle rispettive caratteristiche nonché ai “vizi e alle virtù” degli uomini, come direbbe Boccaccio.

Il lavoro sulle favole è dunque un meta-appren­dimento, e sviluppa l’attività di storytelling, partendo da una storia nota, per narrare il proprio vissuto personale.

FIABA O FAVOLA? LA MORALE DELLA STORIA

L’attenzione che si deve porre fin da subito è al linguaggio. Nel proporre un percorso a carattere filosofico ai bambini della Scuola dell’Infanzia, la scelta è caduta su alcune favole di Esopo e di Fedro che potessero far ragionare i bambini sul vivere insieme, sull’ami­cizia, sul senso del dovere e del rispetto.

Per selezionare ulteriormente le tematiche da trattare, sono stati utili i libri I quattro accordi e Il quinto accordo di Miguel Ruiz, un maestro tolteca molto noto in Occidente, che identifica in quattro accordi, quattro capisaldi, la filosofia dell’essere.

Nella rielaborazione proposta ai bambini, si è voluto focalizzare l’attenzione sul provare a riconoscere la propria unicità.

In questa proposta progettuale, l’ascolto attivo consente di imparare ad ascoltare, ponendo l’attenzione a ciò che si dice e non a chi lo dice, e nel provare a suggerire ipotesi e soluzioni.

Inoltre, si impara a darsi la parola reciprocamente, a moderare gli interventi, a valutare e a soppe­sare le parole, dando sin da subito il valore che ciascun termine possiede.

In questo modo, si sviluppa e potenzia lo storytelling, una modalità che ci permette di narrare rispet­tando le regole di una storia: chi è il protagonista, che cosa fa, chi è il suo avversario, che prova deve superare.

La lettura filosofica delle favole consente inoltre la costruzione di un pensiero elaborato e concordato insieme, che è dato dalla morale: un concetto, una definizione, che, se condivisa, diventa norma della comunità.

Del resto, in ogni famiglia esiste una filosofia, che è quella data dalle regole e dalle abitudini che si evolvono e modificano nel tempo, in seguito ai cambiamenti di vita e alle età dei componenti, a signi­ficare che non esiste un’unica verità, ma che anche la verità stessa è data dalla continua ricerca.

Quindi, la proposta degli accordi di Ruiz e delle favole di Esopo e Fedro ha anche come scopo quello di costruire una sorta di filosofia di sezione, le cui regole sono quelle condivise e accettate dai bam­bini componenti quel gruppo.

VUOI COSTRUIRE LA “FILOSOFIA” DELLA TUA SEZIONE?

Favole e Filosofia, allegato alla Guida Didattica Draghetto, propone ai bambini e alle bambine alcune favole di Esopo e Fedro da ascoltare e rielaborare a livello grafico, per avvicinare anche i pic­coli a riflessioni e insegnamenti, così da sviluppare le life skills e imparare a vivere in armonia con se stessi e gli altri.

Le favole proposte sono state riscritte da Sarah Pellizzari Rabolini e sono state oggetto di sviluppo approfondito con i bambini e le bambine di 5 anni nel Progetto “Favole e filosofia”.

Raffaello Formazione ti offre l’opportunità di seguire 5 incontri formativi gratuiti con tre relatori d’eccezione, per approfondire il punto di vista della filosofia, della pedagogia e della didattica nell’applicazione della favola ai bambini.

Clicca per scoprire gli incontri gratuiti di formazione sulle Favole e Filosofia >>

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Vuoi saperne di più sul progetto Draghetto per la Scuola dell’Infanzia?

Clicca di seguito >>

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Il valore dell’educazione in natura

10 attività secondo il Metodo Montessori

Del Metodo Montessori si parla molto, ma si dice poco del pensiero di Maria Montessori circa la natura.

Sapevate che già un secolo fa, sosteneva che i bambini trascorrevano troppo poco tempo a contatto con la natura?

Maria Montessori  aveva intuito il legame speciale che esiste tra infanzia e natura, evidenziandone le importanti potenzialità educative e sviluppandone l’applicazione fino al percorso educativo adolescenziale.

Nei suoi scritti, Maria Montessori si sofferma molto sul forte divario che separa la vita naturale e quella sociale dell’uomo civilizzato e soprattutto su quanto questo aspetto condizioni in modo rilevante lo sviluppo infantile e non solo.

Nel capitolo “La natura nell’educazione” contenuto ne “La scoperta del bambino”, scrive:

Nel nostro tempo e nell’ambiente civile della nostra società, i bambini… vivono molto lontani dalla natura ed hanno poche occasioni di entrare in intimo contatto con essa o di averne diretta esperienza”.

Invece, afferma la Montessori, bambine e bambini hanno bisogno di vivere naturalmente, di “vivere” la natura e non soltanto di conoscerla, studiandola o ammirandola.

E non basta introdurre l’igiene infantile, l’educazione fisica, una maggiore esposizione dei bambini e delle bambine all’aria libera, perché “Il fatto più importante risiede proprio nel liberare possibilmente il fanciullo dai legami che lo isolano nella vita artificiale creata dalla convivenza cittadina”.

Ci sono ancora troppi pregiudizi, su tale argomento, perché tutti ci siamo fatti volontariamente prigionieri, e abbiamo finito con l’amare la nostra prigione e trasmetterla ai nostri figlioli. La natura si è a poco a poco ristretta, nella nostra concezione, ai fiorellini che vegetano, e agli animali domestici utili per la nostra nutrizione, pei nostri lavori, o per la nostra difesa. Con ciò anche l’anima nostra si è rattrappita…”.

E prosegue: “La natura, in verità, fa paura alla maggior parte della gente. Si temono l’aria e il sole come nemici mortali. Si teme la brina notturna come un serpente nascosto tra la vegetazione. Si teme la pioggia quasi quanto l’incendio”.

Maria Montessori aveva avuto modo di osservare i bambini e le bambine giocare all’aperto nei giardini froebeliani. Immediatamente si era accorta del loro legame magico con la natura.

Nei giardini froebeliani (idea che poi la Montessori condividerà e porterà nelle sue Case dei bambini), potevano sperimentare in modo diretto il ciclo di vita delle piante, realizzando dei veri e propri orti e, quando possibile, allevando piccoli animali da cortile. Nelle strutture senza spazi adeguati ci si muniva di vasi.

Montessori spiega così che l’educazione nella scuola deve dare al bambino “motivi di attività, e insieme conoscenze che lo interessino” perché “il bambino, che è il più grande osservatore spontaneo della natura, ha indubbiamente bisogno di avere a sua disposizione un materiale su cui agire”.

Gli educatori e le educatrici devono prestare attenzione a non portare i pregiudizi degli adulti anche nelle attività da svolgere in mezzo alla natura. “Ci siamo fatti un’idea troppo simbolica dei fiori: e ci adoperiamo più ad adattare l’attività dei bambini alle nostre idee, che a seguire il bimbo per interpretare i suoi veri gusti e bisogni… Essi desiderano compiere grandi lavori, e mettere in diretto rapporto la loro attività con i prodotti della natura… I bambini sono profondamente contenti di agire, di conoscere, di esplorare, anche indipendentemente dalla bellezza esteriore”.

Parlando di educazione nell’adolescenza, la natura secondo Maria Montessori è fondamentale nel percorso di preparazione ad una vita adulta partecipata e responsabile. Qualsiasi progetto educativo dovrebbe, secondo la pedagogista, coinvolgere l’ambiente naturale in quanto elemento di crescita soprattutto per i valori che la natura trasmette.

Educazione ambientale non significa solo insegnare nozioni sulla natura e sulla salvaguardia dell’ambiente, ma suscitare l’interesse delle ragazze e dei ragazzi verso l’ambiente, fare cioè in modo che si sentano parte di un macrocosmo vivo e pulsante.

Introdurre la natura nell’educazione non deve servire quindi solo a studiarla: l’educazione deve far “vivere la natura” per alimentarne il “sentimento”, al fine di acquisire sin dall’infanzia una coscienza “cosmica” che porti poi, naturalmente, l’individuo adolescente a partecipare attivamente e fattivamente alla vita sociale. Così sarà in grado di contribuire da adulto, alla “elevazione” dell’intera società umana.

Prendersi cura degli animali e delle piante, secondo Maria Montessori, è fonte di grande soddisfazione: sapere che qualcuno ha bisogno di loro e che il loro lavoro produce la vita è un forte incentivo alla responsabilizzazione ma anche allo sviluppo emotivo, alla capacità di immaginare e controllare le emozioni.

L’educazione ambientale è una piccola parte di quella che sarà l’educazione cosmica teorizzata da Maria Montessori. Si può imparare molto dalla natura: la pazienza, la curiosità, i legami tra le cose.

Quali sono le attività più semplici e accattivanti da far svolgere in contesto naturale a bambini e bambine?

Le possibili attività da svolgere nell’ambiente naturale sono numerose e diversificate e possono rientrare all’interno della categoria delle attività di “vita pratica” suggerite dall’approccio montessoriano. 

Passeggiare nel bosco, creare con gli elementi della natura, servirsi di elementi naturali per studiarne le forme e i colori, costruire un terrarium, dipingere con piccoli rametti, arrampicarsi sugli alberi, sono solo alcune delle esperienze che bambine e bambini possono sperimentare in natura.

Di seguito abbiamo raccolto alcune delle attività, ispirate alla pedagogia montessoriana, per educare alla bellezza della natura e scoprirne la magia.

  1. LA MATEMATICA CHE PUOI VEDERE
    Imparare ad osservare la natura in numeri e forme è molto stimolante: si possono contare i petali dei fiori, il numero delle spirali di un girasole, il numero dei semi di una pigna, che potrà poi essere utilizzata per fare le sottrazioni o le addizioni; infine si può individuare la spirale logaritmica in natura (in una conchiglia, nella forma di un uragano e in quella delle galassie…) e scoprire che tutto è magicamente collegato.
  1. LA CACCIA DEI COLORI
    Dopo aver preparato una scheda con alcuni colori, consegnatela ai bambini e alle bambine con un compito speciale: andare a caccia di elementi naturali del colore corrispondente per una caccia al tesoro dedicata alle sfumature del mondo!
  1. IL NOSTRO ORTO
     Vita pratica? Tra le attività più puramente pratiche per raggiungere l’indipendenza il giardinaggio è tra quelle più affascinanti, divertenti ed educative. Creare un piccolo orto da coltivare e curare insieme è un’attività che permette di scoprire molto sui cicli della vita. Piantare semi, vederli germogliare e occuparsene è una grande emozione!
  1. SPERIMENTARE CON L’ACQUA
    Travasi, acqua che scorre, imbuti, cucchiai e bacinelle: i bimbi scoprono il mondo anche giocando con l’acqua, elemento base della vit.
  1. ARRAMPICARSI SUGLI ALBERI
    Ottima per lo sviluppo muscolare e stimolare l’equilibrio. Da fare: accantonare l’apprensione e favorire la fiducia, lasciando bambini e bambine libere di misurarsi con le proprie abilità e con i propri limiti.
  1. RAMOSCELLI PER DIPINGERE
    Si possono creare dei pennelli molto divertenti, con piccoli rami sottili o aghi di pino da legare bene intorno a rametti più rigidi. Quante tipologie di pennello! Quanti effetti diversi da creare! Spazio alla fantasia e all’intuizione.
  1. LA CACCIA AL TESORO CON LE PAROLE
    Niente di meglio di una passeggiata in natura per allenare il linguaggio, la capacità narrativa, il vocabolario e l’espressività: descrivete quello che si osserva, raccontate la storia degli alberi che incontrate, oppure una divertente caccia al tesoro di parole (provate a trovare un determinato fiore, una pianta, un sasso, una foglia…).
  1. IL MEMORY DELLA NATURA
    Munirsi di scatoline con coperchio e raccogliere coppie di piccoli elementi naturali uguali. Dopo aver osservato, si chiudono le scatoline e inizia il gioco! Vince chi accoppia più elementi uguali. Questo gioco aiuta i bambini a sviluppare la capacità di osservazione, di memoria e di riconoscimento.
  1. DISEGNARE CON LA NATURA
    Prima si parte in missione per raccogliere tanti elementi della natura, poi si utilizzano per creare persone, animali, volti o altre figure fantasiose, per favorire l’immaginazione e divertirsi a creare con ciò che la natura ci offre.
  1. LE BOTTIGLIE SENSORIALI
    La missione questa volta sarà raccogliere rametti di piante diverse e inserirli in bottiglie e riempite d’acqua insieme a glitter colorati. Questo lavoro insegna a riconoscere le diverse piante divertendosi poi a scuotere le bottiglie per vedere lo scintillio del glitter intorno ai rametti.

Montessori Day

Leggi l’approfondimento e scarica l’attività

“Quando la mano si perfeziona in un lavoro scelto spontaneamente, e nasce la volontà di riuscire, di superare un ostacolo, la coscienza si arricchisce di qualcosa di ben diverso da una semplice cognizione: è la coscienza del proprio valore.”

Maria Montessori

Il 31 agosto 1870 nasceva Maria Tecla Artemisia Montessori a Chiaravalle, grande pedagogista che divenne famosissima nel mondo grazie al famoso metodo educativo per bambine e bambini che prese il suo nome, ovvero il “Metodo Montessori”. Per festeggiare questo giorno speciale, per te un approfondimento dalla Guida Didattica per la Scuola dell’Infanzia “Educare Imparare Crescere” (2019). Inoltre, in fondo, un’attività speciale da scaricare e proporre alla tua sezione dopo il rientro a scuola.
Buona lettura!

Il metodo Montessori è uno dei metodi più famosi della pedagogia contemporanea, affonda le sue radici in un’Italia a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e deve la vita al lavoro instancabile e pieno di entusiasmo di una giovane e appassionata dottoressa.

Maria Montessori (1870-1952) iniziò la sua carriera da medico, lavorando a Roma nelle cliniche che si occupavano di educare e sostenere lo sviluppo di bambini ortofrenici, ossia bambini con disturbi di deficienza mentale congenita o acquisita, per poi approdare all’apertura di scuole chiamate “Case dei bambini”. Da quella prima esperienza molti furono gli aggiustamenti, le rivisitazioni, le innovazioni e i miglioramenti, ma i princìpi che Maria Montessori individuò inizialmente rimasero immutati e possono essere sintetizzati così:

  • i bambini sono guidati da periodi sensitivi, istinti guida che permettono loro, in situazione di libertà, di scegliere le attività, le esperienze e i materiali che hanno lo scopo di far acquisire al bambino le abilità psico-fisiche necessarie per accedere ai gradini evolutivi successivi;
  • per poter sperimentare in maniera efficace i periodi sensitivi è necessario che gli insegnanti preparino un setting educativo che sostenga e stimoli il bambino in autonomia e sicurezza;
  • l’ambiente gioca un ruolo centrale e deve essere studiato nei minimi dettagli, con estrema attenzione agli arredamenti, ai colori, ai materiali, alla proporzionalità degli strumenti, alla disposizione degli oggetti e al significato pedagogico che ciascuno riveste;
  • l’insegnante ha il ruolo di sostenere i bambini accompagnandoli nei singoli processi di maturazione. Maria Montessori vedeva l’insegnante come un angelo custode che protegge il bambino, che aiuta senza anticipare, che funge da ponte con il materiale presente, che accompagna con umiltà e rispetto.

Se tutti questi princìpi verranno attentamente corrisposti nella pratica educativa quotidiana, i benefici che i bambini ne otterranno saranno numerosi e stupefacenti. I bambini saranno rilassati, profondamente appagati perché in contatto profondo con i loro bisogni evolutivi, tolleranti perché abituati a muoversi e vivere all’interno di una comunità, autonomi perché affiancati nel processo di conquista della cura del sé e dell’ambiente circostante, liberi nel pensiero e nello spirito e in armonia con il mondo circostante fatto di relazioni e incontri.

E ora… dalla teoria alla pratica!
Scarica l’attività dedicata al Metodo Montessori (dalla Guida “Didattica per competenze” 2018).

Quattro attività da fare in giardino

Idee per un’Estate da spasso

Cosa fare con le bambine e i bambini della Scuola dell’Infanzia d’estate?
Per te quattro attività pratiche da fare tutti insieme in giardino!

“Dalla teoria alla pratica”: attività didattiche tratte dalla Guida Didattica “Momenti per Crescere” Vol.1.

1) SFONDO INTEGRATORE: Lo sfondo integratore può essere considerato un facilitatore dell’apprendimento attraverso la strutturazione di situazioni motivanti. È un contenitore di percorsi didattici finalizzati alla costruzione di un contesto condiviso da tutti i bambini, che ha la capacità di ampliare le risorse dell’azione educativa. Limita e precisa il percorso educativo; inoltre, dà senso di continuità alle attività didattiche, che altrimenti potrebbero sembrare sconnesse.

Attività: Proponiamo un nuovo incontro con il nostro personaggio-guida, il Signor Contadino: organizziamo un picnic durante il quale scopriamo il mondo dell’orto, assaggiamo i suoi prodotti e ci trasformiamo anche noi in piccoli contadini. Per concludere disegniamo ciò che il Signor Contadino ci ha fatto assaggiare: pomodorini e fragole. (AVVISO: far firmare ai genitori il consenso all’assaggio così da essere informati e prevenire eventuali rischi legati ad allergie.)

2) DIDATTICA LABORATORIALE: La didattica laboratoriale prevede una partecipazione attiva di tutti i bambini al processo di apprendimento, valorizzando le diverse abilità e competenze sociali. È una metodologia che favorisce l’inclusione. Prevede la costruzione di contesti efficaci dal punto di vista relazionale, poiché questi particolari contesti d’apprendimento – i laboratori – sono luoghi in cui il prodotto finale deve essere fortemente motivante e la situazione formativa deve essere operativa e partecipativa per tutti.

Attività: Proponiamo, in una giornata calda, di giocare con i colori e l’arte in maniera insolita. Creiamo in giardino un laboratorio di pittura, dove con acqua e tempere i bambini creano il loro colore, riempiono le pistole ad acqua e poi sparano il colore su fogli bianchi appesi a parete.

3) STREAM: Le STREAM rappresentano un approccio scientifico alla conoscenza del mondo esterno e, rispetto alle STEAM, includono anche la lettura tra le discipline da considerare, poiché questa è un elemento che sviluppa il senso critico, che concorre al pieno sviluppo di ogni bambino. Lettura e scrittura, anche attraverso l’ascolto nel caso dei più piccoli, sono fondamenti della comunicazione in qualsiasi contesto.

Attività: Portiamo in giardino una bacinella con acqua e alcuni girini per poterli osservare da un punto di vista scientifico, proponiamo di ridisegnarli e impariamo una filastrocca che metta in risalto le loro caratteristiche, da recitare mentre li osserviamo.

4) CODING: Il coding è una metodologia che sottende un processo logico-creativo con metodi e strategie specifiche della tecnologia volti alla soluzione di problemi complessi. È una metodologia didattica per educare al pensiero computazionale, che serve a risolvere situazioni e problemi complessi in maniera innovativa, e può essere utilizzato come approccio metodologico in modo trasversale, quindi in ogni progettazione educativa.

Attività: Realizziamo con materiale riciclato un’ape che guiderà i bambini in diversi percorsi. Giochiamo così in giardino a spostarci secondo le indicazioni della nostra amica (ad esempio: quattro passi a destra, tre passi in avanti, due passi indietro, cinque passi a sinistra, ecc.). Possiamo costruire anche un vero e proprio percorso con un arrivo. (Per i bambini che hanno difficoltà nella lateralizzazione e per i più piccolini, è opportuno legare un fiocco blu al polso destro e un fiocco rosso al polso sinistro.)

Laboratorio: poesia e primavera

Cominciamo con un gioco!

Il 21 marzo si festeggia la giornata della poesia: un connubio riuscito, un binomio fantastico, direbbe Rodari: poesia e primavera.

Proviamo a fare un gioco con i nostri alunni e alunne: un’associazione di idee, un brainstorming, un’attività lessicale. Chiediamo di collegare ai due termini le parole e le immagini che vengono loro in mente, registrandole sulla LIM o sul quaderno. 

POESIA: sensazioni, leggerezza, emozione, luce, bellezza, sogno, armonia…

PRIMAVERA: risveglio, emozione, rinascita, bellezza, luce, armonia, colori…

Ora guidiamoli a confrontare gli elenchi di parole: quante affinità!

Alla luce di queste affinità possiamo porre la domanda: che cos’è dunque la poesia?

Ecco un esempio di risposta: “La poesia è una primavera di parole”.
Sì, perché una cosa è certa: poesia e primavera sono foriere di emozioni.

La poesia è uno strumento per allenare le emozioni ed è quello che ci invita a fare il “termometro” che ho inserito nel Sussidiario dei Linguaggi Il Cerchio Dei Lettori.

Prendendo spunto dalle emozioni che i poeti ci trasmettono, possiamo guidare i nostri alunni a diventare poeti e poetesse della Primavera magari trasferendo le produzioni online, per imparare ad usare un bellissimo tool come Kizoa.

Ecco un esempio: https://www.youtube.com/watch?v=1WP6VhmXSWo&t=112s

Oppure possiamo proporre ai più piccoli collegamenti poetici con l’ortografia.
Se vi sembra impossibile, guardate questo video: https://www.youtube.com/watch?v=sBABwuSQNiE&t=33s

Dunque, buona Giornata della Poesia, buona Primavera insieme a un abbraccio… pieno di poesia!

Shoah: come parlarne con le classi della Scuola Primaria?

Materiali per affrontare l’argomento, dalla prima alla quinta

Nel corso dell’anno ci vengono proposte molte giornate speciali, che si dividono in giornate Nazionali, cioè decise dal nostro Stato, e giornate Internazionali, cioè stabilite dalle organizzazioni sovranazionali. Sono momenti di riflessione che ci invitano a ricordare qualcosa di bello che è successo in passato oppure a celebrare qualche importante accadimento della storia dell’umanità, oppure nascono con lo scopo di farci riflettere sull’importanza dei delle relazioni, dei diritti, degli affetti, oppure per metterci in guardia contro pericoli che possiamo correre, noi e il mondo che ci circonda.
Ce ne sono però alcune che ci invitano a ricordare degli eventi che preferiremmo non fossero mai accaduti. È il caso del Giorno della Memoria, che viene celebrato in tutto il mondo il 27 gennaio.
Il 27 gennaio è una data simbolica: proprio in quel giorno del 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, furono abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz in Polonia e tutto il mondo conobbe davvero quali orrende azioni aveva fatto in molti Paesi d’Europa il governo nazista, guidato da Adolf Hitler.
Progressivamente si scoprì che furono milioni le persone rinchiuse e uccise nei campi di concentramento nazisti. Questo sterminio viene definito Olocausto (una parola che significa “estremo sacrificio”). Sei milioni di queste vittime innocenti erano ebrei: il loro sterminio viene chiamato Shoah (cioè “distruzione” in ebraico).
 
PERCHÉ È IMPORTANTE PARLARE CON I NOSTRI ALUNNI DI UN EVENTO COSÌ DOLOROSO CHE HA SEGNATO L’UMANITÀ INTERA?
Perché parlare di Olocausto non vuol dire parlare solo di morte. Ma anche e soprattutto di speranza, di solidarietà e di supporto reciproco. Le storie che ci giungono attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, le vicende narrate dai libri o dai film che propongono storie vere o romanzate sono intrise di esempi eroici di generosità, di sacrificio della propria vita per la salvaguardia di quella degli altri, di calore umano, di condivisione e di amore.
È per questo che dobbiamo parlarne coi nostri alunni e alunne: perché sappiano che esiste sempre la possibilità di scegliere la via dell’amore e della solidarietà, perché crescano nella fiducia, sicuri che la speranza è una luce in grado di illuminare anche le notti più buie.
Naturalmente l’argomento, essendo potenzialmente molto doloroso, va affrontato con gradualità e delicatezza, adeguando i contenuti all’età degli alunni.
A seguire trovate il link ad alcune attività, suddivise per classi, che ho proposto nel corso degli anni per i miei alunni: video, film, libri, conversazioni…
 
 
Il 27 gennaio sarà anche il giorno in cui le classi potranno collegarsi in diretta live con la scrittrice Paola Valente, un incontro speciale per parlare della Shoah attraverso la testimonianza della parola scritta. Scopri l’iniziativa!
Ed è proprio con le parole di Liliana Segre che mi piace chiudere questa riflessione:
 
“Avevo scelto, quasi in modo automatico, bestiale, irrazionale, infantile – in fondo ero ancora una bambina – e nello stesso tempo in modo maturo, vecchio, ottuagenario – in fondo ormai tale ero diventata – avevo scelto di non essere lì, perché era la realtà intorno a me che era inaccettabile. Avendo scelto la vita – ho sempre scelto la vita e anche adesso che sono vecchia scelgo la vita. Non potevo accettare la morte intorno a me e quindi avevo scelto di non vedere. Avevo scelto di essere una stellina.”
 

 

La classe è la nostra casa (terza parte)

Pulizia e ordine degli spazi

Dopo la prima e la seconda parte , torna la rubrica a cura di Flavia Franco “La classe è la nostra casa”, un utile approfondimento per parlare dello spazio classe, luogo in cui il bambino deve sentirsi accolto con affetto e cura, un vero e proprio laboratorio nel quale sviluppare le proprie potenzialità e accrescere le competenze, sperimentando, collaborando, creando, divertendosi. Uno spazio che deve ispirare armonia e gentilezza.

In questo quadro, la pulizia e l’ordine dell’ambiente rivestono un ruolo molto importante!

Quaderni lasciati in disordine, sedie e banchi mal sistemati, cartelle lasciate a se stesse, oltre a diventare ostacoli per l’evacuazione della classe in caso di pericolo, si trasformano in occasioni di nervosismo e confusione.

Zigzagare tra gli spazi per recarsi in bagno, rischiando di inciampare, trascinare sedie che vanno continuamente rimesse a posto, spostarsi tra banchi in posizioni poco funzionali, complica la vita degli alunni diventando un buon motivo per perdere la concentrazione durante la lezione.

Da sotto banchi ingombri (laddove esistano) rischiano spesso di precipitare quaderni, libri, cartelline… e noi sappiamo bene quanto poco basti ai nostri alunni per distrarsi facendo perdere la pazienza anche al docente più serafico! Dunque, sarà utile che gli alunni si abituino a portare a scuola solo il materiale indispensabile, seguendo l’orario delle discipline.

Carte e cartacce lasciate sui banchi o cadute sul pavimento, magari dopo l’intervallo, insieme a matite o gomme perdute, trasformano l’ambiente in un luogo poco accogliente, ben lungi dagli obiettivi di educazione civica cui dovremmo condurre i nostri alunni.

Quali accorgimenti possiamo dunque utilizzare?

Innanzitutto, sarà indispensabile coinvolgere i bambini in prima persona, chiedendo loro di trasformarsi in custodi attivi della “casa” in cui trascorrono molte ore della giornata, diventando così dei “generatori di armonia”.

Potremo proporre loro, attraverso il “potere del cerchio” (non sai di cosa si tratta? Consulta la pagina “Il cerchio dei lettori” per scoprirlo!), di creare una rubrica di atteggiamenti virtuosi.

Ecco più o meno quella che hanno creato i miei alunni:

  1. risistemare la sedia sotto il banco ogni volta che si alzano (senza trascinarla, ovviamente);
  2. verificare periodicamente la posizione del banco, ad esempio dopo l’intervallo o dopo momenti di lavoro di gruppo;
  3. creare “squadre di riordinatori” che, a turno, si occupino di mantenere la classe in condizioni armoniose, raccogliendo le cartacce, sistemando le cartelle fuori posto, riorganizzando i libri posti sugli scaffali;
  4. diventare consapevoli del lavoro dei bidelli e della necessità di rispettarlo, manifestando loro gratitudine, magari con un biglietto o un disegno.

Una possibile strategia è quella di fotografare la classe prima e dopo, in modo che gli alunni, vedendo le immagini a confronto proiettate sulla LIM, possano rendersi conto dell’armonia che permane in un ambiente in cui le cose sono al loro posto. A volte basta davvero poco, che ne pensate?