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Tag: strategie

Osservare il mondo

Come maestra, ho sempre creduto che l’educazione non si limiti ai confini della scuola. La vera comprensione del mondo si sviluppa attraverso l’esperienza diretta e l’osservazione. Questo principio diventa particolarmente rilevante durante le vacanze, quando siamo fuori dalla routine quotidiana e abbiamo l’opportunità di esplorare nuovi ambienti e culture.
Le vacanze rappresentano un’occasione unica per i bambini (e per gli adulti) di apprendere in modo informale, immergendosi in contesti diversi da quelli abituali. Spesso, presi dall’euforia del viaggio e dalle numerose attività programmate, rischiamo di dimenticare quanto sia prezioso il semplice atto di osservare ciò che ci circonda.

L’osservazione attenta contribuisce a sviluppare la curiosità e il senso di meraviglia. Durante una passeggiata in un bosco, per esempio, un bambino può scoprire il ciclo vitale di un albero, osservare gli insetti nel loro habitat naturale o notare le diverse sfumature di verde nelle foglie. Ogni dettaglio osservato è una finestra su un nuovo mondo di conoscenze e comprensioni. In vacanza, ci può capitare di essere esposti a culture e tradizioni diverse dalle nostre. Un mercato locale, una festa tradizionale o un semplice pranzo in un ristorante tipico diventano occasioni per apprendere e apprezzare la diversità culturale. Questo tipo di apprendimento non solo amplia le conoscenze, ma sviluppa anche empatia e tolleranza.


OSSERVARE PER SVILUPPARE IL PENSIERO CRITICO
L’osservazione attenta concorre allo sviluppo di competenze cognitive fondamentali come l’attenzione, la memoria e il pensiero critico. Quando un bambino osserva un paesaggio, un’opera d’arte o un fenomeno naturale, è invitato a fare domande, formulare ipotesi e trovare collegamenti con ciò che ha già imparato. E questo aiuta a formare un pensiero critico e indipendente.
Osservare l’ambiente naturale durante le vacanze può anche sensibilizzare i bambini (e gli adulti) alla bellezza e alla fragilità del nostro pianeta. Notare i segni dell’inquinamento, l’impatto dell’uomo sulla natura o semplicemente apprezzare la bellezza di un paesaggio incontaminato, può ispirare un maggiore rispetto per l’ambiente e un impegno per la sua tutela.
Come maestra, incoraggio sempre i miei alunni e le loro famiglie a sfruttare le vacanze trasformandole in un’opportunità per osservare il mondo con occhi nuovi.
Perché l’osservazione non è solo uno strumento di apprendimento, ma anche un modo per arricchire la nostra vita, rendendoci più consapevoli e più connessi con il mondo che ci circonda. In un’epoca in cui siamo costantemente distratti da schermi e dispositivi, il semplice atto di fermarsi e osservare può diventare un potente antidoto alla superficialità e alla disattenzione.
Quindi, durante le prossime vacanze, ricordiamoci di aprire gli occhi: il mondo ha tanto da insegnarci, se solo siamo disposti a imparare.

Arrivano le vacanze… parliamo di compiti!

La scuola accoglie con grande sollievo l’arrivo del mese di Giugno.
I bambini e le bambine sono stanchi, il lavoro di apprendere è impegnativo e spesso non è l’unico che essi svolgono.
Corsi di danza, basket, nuoto, musica, calcio… ciascuno di loro è spesso impegnato in altre attività che, seppur utili o rilassanti, contribuiscono al carico della fatica e dello stress.
Anche per gli insegnanti la conclusione dell’anno scolastico rappresenta un momento molto faticoso, dopo un anno di intenso lavoro si tirano le fila, si effettuano riunioni e collegi docenti, si compilano documenti di valutazione e relazioni, si ultima la compilazione dei registri elettronici, si espletano gli adempimenti burocratici che richiedono attenzione e generano altro stress.
Tutte operazioni che si svolgono in gran parte quando i bambini sono ormai in vacanza poiché, com’è noto, le insegnanti e gli insegnanti non terminano certo il loro lavoro con la chiusura delle lezioni!

La conclusione dell’anno scolastico porta con sé anche l’assegnazione dei cosiddetti “compiti delle vacanze”, spesso così poco amati in modo particolare dalle famiglie. Dal mio punto di vista credo che possano risultare molto utili, ovviamente se assegnati in misura ragionevole (anche i bambini e le bambine hanno diritto al riposo!).
Esistono in commercio moltissimi opuscoli divertenti che permettono ai nostri alunni di ripassare quanto fatto in classe durante l’anno, in modo ludico e piacevole.
La loro estate è comunque lunga così come il tempo del riposo; perciò, è importante mantenere la “macchina” funzionante. A tutte e tutti noi insegnanti è capitato di dover aspettare a volte fino a fine ottobre per dar tempo ai bambini di recuperare le conoscenze e le competenze con cui li avevamo lasciati l’anno precedente e poter iniziare gli argomenti nuovi.

Il compito estivo rappresenta inoltre un esercizio all’impegno.
Ovviamente molto dipende dall’approccio con il quale si affrontano questi piccoli obblighi.
In questo aspetto sono molto importanti i genitori: se adottano un approccio polemico, il bambino o la bambina sarà autorizzato a lamentarsi, a protestare, a fare le cose in fretta e male.
Se in casa si darà la giusta importanza al “mantenersi” in esercizio con qualche piccola attività, anche per i bambini e le bambine diventerà cosa di utile da svolgersi a puntate, magari organizzando il tempo senza pensare di completare il libro già a Giugno (cosa assolutamente inutile) oppure rimandando il tutto a settembre, con la fatica che ne conseguirà.

Abituare i bambini ad affrontare piccoli impegni, anche se a volte magari un po’ gravosi, aiuta a diventare grandi e a prepararsi a quello che, da adulti, sarà il rispetto delle regole e del lavoro.

Per rendere le attività più accattivanti, le maestre e i maestri potranno aggiungere qualcosa di piacevole come

  • fare liberamente alcuni giorni di diario dei momenti scelti dai bambini perché da loro considerati più belli o densi di esperienze nuove
  • creare una scheda dei posti speciali frequentati
  • cucinare con la nonna e scrivere una ricetta
  • fare una raccolta di oggetti che hanno lasciato un segno

Ovviamente senza pretendere l’obbligo o la perfezione.
Infine, ultimo ma non ultimo, il consiglio di leggere almeno (e dico almeno) due libri, scelti tra un elenco fornito dall’insegnante oppure liberamente in biblioteca o acquistati in libreria, a fumetti o scientifici, di avventura o di paura…
Diventeranno un bel patrimonio di parole, da raccontare agli amici al rientro a scuola!

Cosa consigliare ai tuoi alunne e alunni per le vacanze estive?

Inclusione, sviluppo, salute

Inclusione. Chi include chi?

È questa la domanda che ha aperto la tavola rotonda che ha visto professionalità differenti riflettere e confrontarsi su una tematica importante, l’inclusione.

Quando si affronta questo tema sono molteplici le domande che in differenti ambiti e contesti animano analisi teoriche e operative, ad esempio: quali azioni e interventi? Come porsi? Cosa osservare, quali gli aspetti a cui dare attenzione?

Durante la tavola rotonda i relatori e le relatrici hanno portato il loro prezioso contributo (che è possibile visualizzare al seguente link: Tavola rotonda) approfondendo una tematica che ha un grande impatto sul benessere individuale e sociale.

La domanda “Chi include chi?” stimola l’importante riflessione sulla necessità di promuovere un approccio olistico e inclusivo che abbia cura e attenzione di tutti gli attori del contesto educativo, scolastico e sociale.
La scuola non è solo un luogo fisico ma un luogo psichico abitato da alunni e alunne ma anche da docenti, personale ausiliario, personale amministrativo, cuochi e cuoche, coordinatori/trici, dirigenti, genitori etc.

Cosa rappresenta dunque la scuola? Quanto sono importanti le ore, i giorni, gli anni, trascorsi a scuola per la crescita e lo sviluppo di ogni persona?

Emerge la necessità di promuovere, di far sì che la scuola sia un’ambiente in cui apprendere e crescere in benessere. Possiamo osservare e chiederci quanto inclusione, sviluppo e salute, siano profondamente interconnesse e in relazione tra loro.  Perché parlare anche di salute? Perché sappiamo che la salute non è semplicemente assenza di malattia ma la salute è definita come «uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale» (Who, 1948).

Citando quanto indicato nella Carta di Ottawa, sottoscritta dagli Stati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, «La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama» (Who, 1986).

Gli ambienti educativi e scolastici rappresentano importanti ambienti di vita e di sviluppo, ovvero sono ambienti in cui si vivono esperienze non solo a livello cognitivo, ma anche a livello emotivo e relazionale; rappresentano ambienti in cui si vivono esperienze che hanno un’influenza sull’idee che ciascuno sviluppa rispetto a sé e rispetto a come interagire e vivere la socialità.

Diviene centrale sviluppare conoscenze, competenze e buone pratiche che consentano di individuare e intervenire sui fattori che favoriscono e sui fattori che ostacolano il vivere in benessere il contesto educativo e scolastico.

Per individuare i fattori da considerare possiamo dunque adottare un approccio olistico e inclusivo che permetta di vedere la persona nella sua interezza e nella sua unicità.

A tal fine può essere utile considerare e analizzare nei contesti educativi e scolastici:

  • le dimensioni connesse agli aspetti cognitivi ed emotivi legati agli apprendimenti in modo da valorizzare le modalità di ciascuno di apprendere;
  • le dimensioni emotive connesse all’ambito socio-relazionale;
  • le dimensioni connesse ai bisogni, le esigenze e le potenzialità di ciascuno tenendo conto della traiettoria di sviluppo individuale;
  • le dimensioni connesse all’ambiente di apprendimento fisico e sociale.

Offrire inoltre opportunità, attraverso una partecipazione attiva:

  • di accogliere e di essere accolti
  • di ascoltare e di essere ascoltati,
  • di raccontare e di ri-raccontarsi,
  • di chiedere e confrontarsi,
  • di esprimere le proprie idee e di sviluppare un pensiero critico.

Ritornando alla domanda della tavola rotonda “Chi include chi?” si apre dunque l’occasione di riflettere sull’importanza di una circolarità e una reciprocità inclusiva. Da dove partire? Dalla propria quotidianità. Ciascuno può contribuire a creare, coltivare e promuovere un ambiente inclusivo in cui crescere in benessere.

Laura Mattera
Psicologa e Psicoterapeuta

“Stare bene”

L’idea di inclusione come benessere

Quando mi si chiede di provare a fornire una definizione del concetto di inclusione, propongo sempre di ragionare su un possibile sinonimo, che ritengo possa essere piuttosto rappresentativo: quello di benessere. Costruire contesti inclusivi, infatti, significa lavorare alla realizzazione di ambienti fisici, relazionali, sociali ed emotivi nei quali ciascuno possa sentirsi il benvenuto e, dunque, sentire di “stare bene”.

Da tale punto di vista, la prospettiva offerta dalla studiosa Carol Ryff, rispetto alla definizione di benessere, appare perfettamente sovrapponibile alle azioni che caratterizzano il processo inclusivo. Senza limitarci a riduzioni di tipo medico o biologico, infatti, possiamo intendere in benessere come costrutto multidimensionale, composto da una serie di fattori che rimandano all’idea di una “buona vita”, ovviamente non limitati a sole esperienze di felicità o a emozioni positive.

Le sei dimensioni del benessere

Secondo la Ryff, il benessere si articola in sei dimensioni, la cui lettura può restituire, con estrema facilità e sintesi, il senso profondo dell’inclusione.

La prima dimensione è quella dell’autoaccettazione: sviluppare un atteggiamento positivo verso se stessi è il primo passo per ri-conoscersi e leggere, oltre ai bisogni, anche le sicurezze e i propri punti di debolezza, in modo tale da consentirci di portare lo sguardo “oltre” e “attorno” ai nostri sé. Non possiamo accettare pienamente l’altro se non accettiamo prima di tutto noi stessi!

Avere relazioni positive con gli altri è la seconda dimensione. Si tratta, in questo caso, di dare senso al contesto sociale, di costruire rapporti basati sulla fiducia, l’empatia, l’autenticità al fine di intessere una rete virtuosa di relazioni umane.

La terza dimensione è quella dell’autonomia di pensiero di azione, che in chiave pedagogica preferisco definire autodeterminazione, ovvero essere in grado di «agire come l’agente causale primario nella propria vita e fare scelte e prendere decisioni riguardanti la propria qualità di vita libera da indebite influenze esterne o interferenze» (Wehmeyer,1996, p.24).

Troviamo poi la dimensione della padronanza ambientale, che ci restituisce in modo evidente l’importanza del contesto: in relazione al benessere e, dunque, anche all’inclusione, è indispensabile riuscire ad utilizzare efficacemente le opportunità circostanti, così come adattare o creare le condizioni più funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi. Tale aspetto è particolarmente rilevante se collegato alla dimensione successiva, quella della crescita personale. “Stare bene”, infatti, vuol dire anche esprimere al massimo il proprio potenziale. Riconoscerlo, innanzitutto, per potersi poi immaginare in una evoluzione continua, in una possibilità di cambiamento sempre connessa alle dimensioni dell’autostima e dell’autoefficacia.

Infine, non certo per importanza, avere uno scopo nella vita è la sesta dimensione del benessere (e, nella mia proposta, anche dell’inclusione). Identificare la propria mission, dare un significato al proprio stare al mondo e sentire che ciò che stiamo facendo sia in linea con i principi e i valori in cui crediamo è decisivo per consentirci davvero di “stare bene” con noi stessi e con gli altri.

La multidimensionalità espressa dalla studiosa americana nella identificazione del benessere è molto efficace, a mio parere, anche per delineare le “componenti essenziali” del processo inclusivo. Ed è proprio la ricchezza che ne deriva a restituirci un dato preziosissimo: né il benessere, né tantomeno l’inclusione possono contemplare categorizzazioni. Si tratta di dimensioni universali, che prescindono dai nostri diversi funzionamenti, nella sola direzione di consentire a tutti e a ciascuno una vita piena, ricca, piacevole, armoniosa.

Ecco allora una possibile direzione da seguire: quando pensiamo ad un contesto inclusivo, pensiamo a come far sì che quell’ambiente consenta a tutti coloro che lo abitano di stare bene, di sentirsi a proprio agio e di sentirsi amati. La strada è lunga e complessa ma è quella giusta. E non si può tornare indietro!

L’inclusione è un viaggio. I care.

“I care”, mi prendo cura di te, ti ho a cuore, ho a cuore le tue emozioni. Creo una relazione con te come persona e con il tuo sentire. È da questa relazione “di cura” che scaturisce l’apprendimento.

Care colleghe, questo è il messaggio con cui voglio iniziare questa riflessione. Arriva dalla scuola di Barbiana, la scuola di Don Milani, arriva fino ai giorni nostri, forte e chiaro, potente e moderno: la cultura rende eguali e dà dignità all’uomo. 

Il piacere di sapere rende liberi.

Il messaggio di Don Milani, sviluppato e sperimentato a metà del secolo scorso, ci inchioda a una domanda: in che cosa consiste l’INCLUSIONE nella scuola di oggi? 
È un argomento di cui si parla moltissimo. Infatti, molti sono i progetti che la mettono al centro. Ma, se riflettiamo sul fatto che includere significa consentire a ciascuna bambina o bambino, ragazza o ragazzo, una partecipazione attiva alla vita di classe, rispettando le esigenze di tutti, organizzando l’apprendimento, in modo da dare la possibilità a ciascuno di realizzare il meglio di sé, viene da chiederci: “È davvero così nelle nostre scuole, oberate di burocrazia?

Oggi gli alunni svantaggiati socialmente e culturalmente vengono collocati nella categoria dei BES (Bisogni Educativi Speciali) quando non chiamati direttamente “i BES”, con un termine umiliante oltre che ghettizzante.

Se però allarghiamo lo sguardo ci rendiamo conto che ogni alunna e ogni alunno è portatore di un bisogno educativo specifico poiché ciascuno di essi necessita di attenzione, stimoli e, a volte, di supporto individualizzato. Dunque, è indispensabile che come educatori, siamo formati per comprendere e rispettare le differenze, siano esse di natura culturale, linguistica, di abilità, di sensibilità, di emozioni.

È indispensabile altresì che operiamo le scelte didattiche giuste, efficaci per bambine e bambini e il più possibile semplici nell’attuazione.

Dalla mia esperienza didattica, la metodologia principe per praticare l’inclusione è il lavoro di gruppo, sia strutturato in cooperative learning, sia libero o realizzato in forma di peer to peer. È nel gruppo infatti che ci sia aiuta, è nel gruppo che si diventa “PARI”, è nel gruppo che si gettano i semi delle life skills, garanzia di una convivenza armoniosa.

Un’altra strategia, non meno importante, è la creazione di proposte didattiche flessibili, materiali e strumenti, supporti tecnologici in grado di essere rimodulati ed adattati alle esigenze e alle caratteristiche di alunni e alunne “portatori e portatrici di storie” tutte diverse tra loro.

Legato al tema imprescindibile delle emozioni, che condiziona tutto l’apprendimento, è indispensabile la creazione di “ponti” tra docenti e genitori. Nella mia esperienza una comunicazione aperta e continua permette di individuare tempestivamente eventuali difficoltà o necessità specifiche degli studenti. In questo modo, la scuola diventa un luogo in cui la comunità educativa lavora insieme per il benessere di tutte le bambini e tutti i bambini.

Creare un ambiente inclusivo non solo migliora l’esperienza di apprendimento degli studenti, ma contribuisce anche a costruire una società più aperta, più rispettosa, più giusta. 

Su queste basi si fonda il sussidiario dei linguaggi “PAROLE SEGRETE”, attraverso un filo affettivo che lega tutte le proposte: si chiama PRENDERSI CURA, INCLUDERE. Un viaggio didattico per offrire alle colleghe e ai colleghi uno strumento che, partendo dalle emozioni, possa contribuire alla realizzazione di un percorso completamente inclusivo.

Concludo con la riflessione di un altro mentore dell’inclusione: Mario Lodi

Io penso che per gli educatori autentici niente è impossibile: se noi offriamo ai bambini una scuola capace di trasformare le diversità in valori positivi, può avvenire il cambiamento della società al suo interno. Soltanto così i bambini d’oggi, che la società ha formato a sua immagine secondo le regole attuali fondate sul consumismo e la competizione, possono diventare cittadini responsabili, motivati, educati.”

Dunque… avanti tutta! 

I care.

Celebrare il Natale a Scuola

Un’importante occasione di Condivisione e Apprendimento

Il periodo natalizio è un momento magico che porta gioia e calore nelle nostre vite. A scuola, parlare del Natale con bambine e bambini rappresenta un’opportunità educativa significativa poiché offre loro una preziosa finestra sulle diverse culture e tradizioni che circondano questa festività. Attraverso storie, canzoni, ricette, leggende possono imparare a conoscere le pratiche natalizie in tutto il mondo, promuovendo la comprensione e l’apertura mentale.

Il Natale è celebrato in modi diversi da persone di varie culture e religioni. Questa diversità offre un’opportunità unica per insegnare a bambine e bambini l’importanza del rispetto e della comprensione interculturale promuovendo il dialogo e abbattendo le barriere culturali.

Il Natale è spesso associato a valori fondamentali come la generosità, la compassione e la solidarietà. A scuola si possono esplorare questi valori attraverso attività che incoraggiano la condivisione, la gentilezza e la partecipazione a iniziative benefiche come la preparazione di doni per i genitori o la costruzione di oggetti da vendere ai mercatini. Queste esperienze contribuiscono a formare cittadini con le orecchie aperte ai bisogni degli altri, allontanando, almeno per un po’, la prigione del consumismo.

Le attività legate al Natale offrono un terreno fertile per lo sviluppo della creatività, della manipolazione, dell’espressione individuale. Bambine e bambini possono essere coinvolti in progetti artistici, possono recitare in rappresentazioni teatrali, imparare canzoni, scrivere storie o occuparsi di ricette.

Inoltre, lavorare “intorno” al Natale promuove un senso di comunità e appartenenza: attraverso decorazioni condivise di corridoi, aule, finestre si crea un ambiente che favorisce la coesione e il senso di “scuola come casa comune”.

In conclusione non dimentichiamo che bambine e bambini (e non solo loro) amano il Natale ed è giusto che lo vivano appieno anche a scuola.

Per le insegnanti e gli insegnanti rappresenta un’occasione intorno alla quale si può creare un’unità di apprendimento interdisciplinare che sviluppa obiettivi e competenze e li trasforma in compiti di realtà.

Se affrontato con il dovuto rispetto, risulterà un percorso di lavoro coinvolgente anche per le bambine e i bambini non italofoni, i quali, di fatto, sono già immersi nella realtà e nell’atmosfera natalizia, che avvolge i nostri paesi e le nostre città.

L’ascolto: una competenza irrinunciabile, un valore prezioso

L’ascolto è una competenza fondamentale: nella Scuola Primaria, insegnare ai bambini e alle bambine ad ascoltare attentamente ha un impatto significativo sull’apprendimento e sullo sviluppo sociale ed emotivo.

Quando i bambini iniziano a imparare a leggere e scrivere, un buon ascolto è essenziale per comprendere le istruzioni degli insegnanti e le lezioni. Imparare ad ascoltare attentamente è il primo passo per sviluppare abilità di comprensione, che sono essenziali in tutte le discipline.

L’ascolto è una componente chiave della comunicazione: nella Scuola Primaria, le nostre bambine e i nostri bambini imparano a esprimere idee e sentimenti. Ma per farlo in modo significativo, devono essere in grado di interagire con gli altri e dunque di ascoltarli. Ciò favorisce relazioni positive e migliora il clima della classe permettendo di sviluppare empatia e comprensione.

Un ascolto “attivo” aiuta a sviluppare l’attenzione e la concentrazione. Queste abilità sono fondamentali per l’apprendimento e il successo scolastico. Attraverso l’ascolto di storie lette ad alta voce, i bambini imparano a mantenere l’attenzione su un compito specifico.

L’ascolto è un elemento critico nella risoluzione dei problemi. In classe, i bambini devono ascoltare istruzioni e comprenderle per affrontare le sfide che incontrano nel loro percorso scolastico.

Ascoltare significa anche incrementare la crescita culturale e linguistica, attraverso la narrativa, la poesia e la musica, stimolando la curiosità e l’apprezzamento della diversità.

Per questo nel sussidiario dei linguaggi PAROLE SEGRETE ci sono molte proposte di ascolto e letture teatrali online, per dare una veste diversa alle parole scritte, trasformandole in bellissimi suoni.

Perché è importante parlare di Stagioni nella Scuola Primaria

Parlare di stagioni, con le nostre alunne e i nostri alunni può sembrare un argomento “antico” o, per alcuni, superato. In realtà, l’argomento “STAGIONI” offre numerosissimi spunti didattici, trasversali a tutte le discipline e rappresenta un’opportunità unica per esplorare il mondo naturale che ci circonda.

Per questo, nel sussidiario dei linguaggi PAROLE SEGRETE ho voluto riservare loro uno spazio speciale.

Affrontando il ciclo delle stagioni si crea una connessione immediata con il mondo naturale attraverso un approccio “storico” al succedersi degli eventi, visto nella prospettiva del tempo ciclico. Osservare la natura nel suo modificarsi continuo crea una connessione che aiuta a sviluppare consapevolezza e senso di responsabilità verso l’ambiente.

Parlare di stagioni rappresenta un’opportunità ideale per introdurre concetti scientifici fondamentali. Si può imparare come la posizione della Terra rispetto al sole influisca sul clima e sulle stagioni, scoprendo il funzionamento di fenomeni come l’equinozio e il solstizio, verificando come le stagioni influenzino la flora e la fauna, compreso il comportamento di animali e piante.

Le stagioni forniscono all’insegnante l’opportunità per attivare l’osservazione diretta. Le bambine e i bambini possono tenere un diario delle stagioni, registrando i cambiamenti che notano nel loro ambiente durante tutto l’anno. Questa attività incoraggia a essere attenti e curiosi e sviluppa abilità di osservazione fondamentali.

I brani musicali dedicati, permettono di allenare l’ascolto, mentre la fruizione di dipinti a tema stagionale offre l’opportunità di avvicinare i nostri alunni e le nostre alunne all’arte.

Dal punto di vista delle emozioni, le stagioni sono il terreno ideale per suscitare sensazioni: l’autunno può accendere immagini poetiche di foglie cadenti e tavolozze di colori mentre la primavera può portare la gioia della rinascita. Queste connessioni emotive possono fornire lo spunto per produzioni scritte narrative, descrittive o poetiche.

In conclusione, l’insegnamento del ciclo delle stagioni non solo offre opportunità di apprendimento ricche e significative, ma promuove anche l’educazione ambientale. È attraverso una maggiore comprensione e apprezzamento del mondo naturale che i bambini e le bambine imparano ad amare e rispettare la natura, a prendersene cura, diventando cittadini consapevoli e responsabili della salvaguardia del nostro pianeta.

Alla scoperta della conoscenza

Giornata della filosofia

Siamo tutti interessati a conoscere come si svolgono i fatti, a leggere le ultime notizie sugli eventi che si svolgono vicino e lontano, a essere informati sulle novità di cui sentiamo parlare… eppure non ci interroghiamo mai su una questione di fondo:

Come conosciamo? Che cosa significa conoscere?
Che cosa avviene nella nostra mente quando viene colpita da un messaggio, dall’immagine di un oggetto, da una parola che proviene dall’esterno? Che tipo di processo viene attivato quando riflettiamo sui nostri sentimenti, sulle nostre emozioni?

Non dal punto di vista neurologico, ma assumendo uno sguardo più profondo e rivolto al nostro modo di conoscere e agli strumenti grazie ai quali si realizza ciò che si definisce ‘conoscenza’. Se ci si disponesse in questa prospettiva, le domande potrebbero essere altre:

  • Che cosa guida il nostro conoscere?
  • Quanto ci lasciamo condizionare dai sensi e che valore diamo a essi?
  • È lo sguardo a prima vista che sostiene i nostri giudizi oppure siamo disposti a intraprendere un percorso riflessivo?
  • Quanto la sintonia o la dissonanza che superficialmente proviamo nei confronti di una persona ci condiziona?
  • Siamo disponibili ad aspettare e a ponderare, prima di affrettare un giudizio, a confrontare i traguardi di conoscenza che riteniamo di aver raggiunto con il nostro vissuto, le esperienze pregresse… e ancora, in che misura analizziamo ciò che consideriamo ‘verità’ e ne valutiamo la ragionevolezza, la sensatezza logica e ne teniamo conto prima di agire?

John Locke nell’introdurre il suo “Saggio sull’intelletto umano” sottolinea l’importanza di un’attenta indagine sugli strumenti della conoscenza utilizzando una metafora: per capire se la nostra visione delle cose sia corretta, occorre prima fare un passo indietro e indagare lo strumento che ci permette di vedere, il nostro apparato visivo e il suo funzionamento. Ugualmente, prima di affermare: “questo è vero” o “questo è falso”, sarebbe opportuno soffermarci a considerare il modo in cui siamo giunti a tale conclusione. Sembrerebbe questione per “addetti ai lavori” (scienziati, psicologi…) e invece è argomento che ci riguarda più di quanto possiamo immaginare.

Cerca di ragionarci su e vedrai che riuscirai a risolvere il problema’. Quante volte si risponde in questo modo di fronte ad una richiesta di aiuto per la comprensione di una questione? Pensare è un’attività familiare, che ci accompagna sempre; eppure, non è immediato tradurre il pensare in un ragionare che guidi le nostre azioni e le nostre scelte, in particolare, quando dobbiamo prendere decisioni immediate, continue, riguardanti il lavoro e il nostro vivere quotidiano: il rapporto con i figli, con il partner, i colleghi, gli amici.

  • Che cosa significa davvero conoscere allora?
  • Quali sono i mezzi con cui si conosce?
  • La ragione non sbaglia mai?
  • Quando e in che misura emozioni e sentimenti possono aiutare a prendere una decisione?

Conoscere è qualcosa di complesso, processo che implica l’interazione di più elementi: sensi, ragione, emozione, fantasia.
Riflettere su tale complessità rende possibile guadagnare una maggiore conoscenza di sé e una più consapevole capacità di orientarsi nel mondo, è importante scoprire questa complessità e considerarla una ricchezza, perché – come in una ricetta – ogni ingrediente concorre al buon risultato finale.

In occasione della Giornata Mondiale della Filosofia, ci sembrava significativo partire da qui, dal ‘come conosciamo ed invitare, nell’era della fretta e del ‘tutto e subito’, a prendersi un po’ di tempo per riflettere, e aiutare i più giovani a fare altrettanto, su ciò che precede ogni nostro giudizio, ogni nostra azione. Perché pensare è esercizio che fa bene all’anima, non solo al nostro intelletto.

Autrici:
Francesca Barigelli
Grazia Gugliormella

8 consigli per il #BacktoSchool

Rientro dalle vacanze, chi ben comincia…

Care maestre e maestri della scuola primaria,
mentre le vacanze estive giungono al termine, è tempo di prepararsi per un nuovo anno scolastico ricco di opportunità e sfide. Il rientro a scuola rappresenta un momento cruciale per stabilire le basi di un ambiente di apprendimento positivo e coinvolgente.

E allora, ecco alcuni suggerimenti per rendere questo processo il più agevole possibile:

1. Benvenuti calorosi: accogliete le vostre alunne e i vostri alunni con un sorriso caloroso e un atteggiamento positivo. Creare un’atmosfera accogliente può contribuire a ridurre l’ansia dei bambini e dei genitori nel momento del rientro a scuola.

2. Create delle routine: i bambini e le bambine si sentono al sicuro nell’ambito di una routine ben strutturata. Assicuratevi di stabilire orari fissi per le attività, le pause, le lezioni e condivideteli o, meglio, costruiteli con loro. Questo li aiuterà a sentirsi sicuri e a sapere cosa aspettarsi.

3. Attività di condivisione: dedicate del tempo ai momenti di condivisione, concorrerà alla costruzione del senso di comunità. Attività come “Mostra e Racconta”, in cui i bambini, partendo da un oggetto significativo, non necessariamente legato ad una vacanza, ( un sasso, un biglietto di un museo o l’incarto di un gelato…) ne narrano la storia, C’era una volta un biglietto d’ingresso al museo che dormiva in una biglietteria… può diventare un modo divertente per rientrare nel mood.

4. Sviluppare norme di classe: coinvolgeteli nella creazione delle norme di classe. Questo li farà sentire parte attiva nel processo decisionale e promuoverà il senso di responsabilità.

5. Pianificare attività coinvolgenti: preparate attività coinvolgenti e stimolanti per i primi giorni di scuola. Attività artistiche, giochi interattivi e attività di risoluzione dei problemi possono aiutare a catturare l’attenzione dei bambini, incoraggiandoli alla collaborazione. E non dimenticate che i bambini e le bambine, dalla prima alla quinta, adorano disegnare, dunque lasciate spazio al disegno libero! Ne saranno felici.

6. Comunicazione con i genitori: mantenete un canale aperto di comunicazione con i genitori fin dall’inizio dell’anno. Condividete le aspettative della classe, l’organizzazione e le modalità di comunicazione, mettendo ben in chiaro, fin da subito, qual è il loro ruolo e come possono svolgerlo in modo proficuo senza danneggiare i loro bambini. Questo contribuirà a costruire un rapporto di fiducia.

7. Flessibilità e pazienza: sappiamo bene che ogni alunna, ogni alunno, è un individuo unico; dunque, è necessario mostrare fin da subito flessibilità nell’affrontare le diverse esigenze e i diversi stili di apprendimento. La pazienza e l’empatia sono le chiavi per costruire un rapporto positivo!

8. Promuovere il benessere: assicuratevi che gli studenti si sentano al sicuro e supportati dagli adulti che li circondano. Il benessere emotivo è fondamentale per il successo scolastico. Perciò offrite fin da subito spazi per esprimere le emozioni e accogliete in modo empatico le preoccupazioni dei bambini.

In conclusione, il rientro a scuola dopo le vacanze estive è un’opportunità per creare una base solida per un anno di apprendimento positivo, significativo e, perché no, divertente.

Dunque, avanti tutta. E che sia un meraviglioso e gratificante anno scolastico per tutti!

 

La Body Percussion

La tecnica applicata in ambito scolastico e i suoi benefici

Da qualche anno, sempre più spesso, sentiamo parlare di Body Percussion, non solo con eco intrinsecamente musicale o con riferimenti al mondo della danza e dell’arte in genere, ma anche relativamente a contesti scolastici. Come mai?

Procediamo con ordine!

Cosa si intende per Body Percussion?

La Body Percussion (o percussione corporea) è una tecnica che consiste nell’utilizzare il proprio corpo come uno strumento a percussione.

Il modo di suonare prevede di percuotere con movimenti specifici, detti gesti sonori, determinate parti del corpo (gambe, mani, petto, ecc.) con la finalità di produrre una vibrazione e di conseguenza un suono.

I gesti sonori, in base al punto in cui percuotiamo il nostro corpo e al variare di caratteristiche come l’intensità, la velocità e il ritmo riescono non solo a produrre suoni differenti, ma anche a veicolare emozioni differenti: pensiamo, ad esempio, a tutti quei gesti non controllati, come il battersi la mano sulla fronte quando ci siamo dimenticati qualcosa, l’applauso dopo aver goduto di uno spettacolo, lo schioccare le dita quando ci è venuta una idea ecc. Bene, in ognuno di questi esempi abbiamo espresso una emozione percuotendo il nostro corpo.

Il suono è il risultato del gesto (che per questo viene detto sonoro).

Ecco perché quando parliamo di Body Percussion ci troviamo contemporaneamente sia in ambito musicale che in ambito motorio.

Per aumentare la gamma o l’intensità delle emozioni che si vogliono trasmettere spesso al gesto sonoro viene associata anche la voce o il canto.

Quanti gesti sonori esistono?

Il numero non è calcolabile perché qualsiasi movimento fatto percuotendo il nostro corpo per ottenere un suono distinto, riconoscibile e ripetibile è un gesto sonoro.

Sebbene alcuni gesti siano facilmente intuibili (battere insieme le mani, percuotersi il petto con il palmo della mano, battere i piedi a terra ecc.) è la fantasia che ne determina il numero: gesti sonori, infatti, sono anche percuotere la parte posteriore del collo (o i glutei) con il palmo della mano, schioccare le dita, così come schioccare in vari modi la lingua sul palato.

Come e quando è nata la Body Percussion?

Tracce di questa tecnica si riscontrano in Indonesia già nel XV° e XVI° secolo, per quanto sembra che i prodromi della Body Percussion abbiano avuto origine dagli schiavi deportati nelle Americhe dall’Africa occidentale, i quali, avendo il divieto di utilizzare i loro tamburi e qualsiasi altro strumento musicale, accompagnavano i loro canti e danze con i suoni del corpo.

Quel che è certo è che la genesi di quella che oggi chiamiamo Body Percussion inizia alla fine agli anni ‘70 del secolo scorso grazie al lavoro di Keith Terry, educatore, ballerino e percussionista statunitense, che iniziò a sperimentare sul proprio corpo ciò che aveva appreso suonando la batteria. Fu Mr Terry a coniare il termine Body Music

Perché la Body Percussion viene usata a scopo riabilitativo?

il Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento dell’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, nel parlare di pazienti affetti da danni cerebrali (oppure di bambini con ADHD), sottolinea come la Body Percussion, specialmente se associata al canto, stimoli la corteccia prefrontale e il lobo parietale (aree cerebrali deputate anche al controllo motorio): questo può favorire il recupero di alcune funzionalità motorie di base. Inoltre, poiché l’esecuzione dei gesti sonori coinvolge anche il lobo frontale, distretto del cervello deputato alla pianificazione del movimento, la Body Percussion si rivela una attività efficace anche all’interno di un training atto a mantenere alta l’attenzione, la concentrazione e, soprattutto, a ricevere e tradurre in maniera esatta gli stimoli ambientali riguardanti la postura corretta da mantenere e le azioni da eseguire per compiere un determinato movimento.

— > Approfondisci di più:
https://www.dmsi.unich.it/sites/st08/files/musica_e_arte_attraverso_il_movimento.pdf

Perchè usare la Body Percussion anche in ambito scolastico?

Sono molte le ragioni che rendono la Body Percussion una tecnica adatta al contesto scolastico.

  • È una attività economica: non bisogna acquistare strumenti.
  • Aiuta la concentrazione
  • Migliora l’attenzione e la memoria.
  • Educa ad un corretto movimento e ad una corretta postura.
  • Facilita i processi di sviluppo della propriocezione e della lateralizzazione.
  • È una attività di gruppo non competitiva e, in quanto tale, educa alla cooperazione e alla socializzazione in un contesto del tutto NON prestazionale. Declinata in questo modo la Body Percussion è in grado di aiutare molti bambini che hanno difficoltà a relazionarsi col proprio corpo, facendo loro sperimentare la propria fisicità in maniera più positiva e creativa.
  • Proprio perché NON prestazionale la Body Percussion è una attività inclusiva: può (e deve) partecipare tutto il gruppo classe, ognuno in base alla propria indole e capacità, anche i bambini con eventuali difficoltà cognitive o disturbi di altro genere. L’essere praticata dall’intero gruppo-classe rende la Body Percussion un ottimo strumento di integrazione, capace di educare alla diversità e di promuovere l’unicità della persona: il gesto sonoro, infatti, non è solo movimento e suono, ma anche un insieme elaborato di emozioni e sensazioni, caratteristiche che hanno tutti i bambini, ognuno in maniera unica e particolare. Il gesto sonoro di ogni bambino sarà perciò unico e particolare come lui.
  • È una attività che prevede il movimento, perciò permette ai bambini di dar sfogo all’energia propria della loro età. Tutto questo instaura nel gruppo-classe un clima gioioso e giocoso: i bambini si divertono!

Infine, poiché le immagini spiegano meglio di mille parole, in questo video un po’ di Body Percussion in ambito scolastico.

 



Tempo al Tempo
è una guida Teorico-Pratica per la Scuola Primaria, scritta da Renzo Canafoglia, che guida alunne, alunni e insegnanti a suonare, usando il proprio corpo come uno strumento a percussione, con attività cooperative e inclusive motivanti. La metodologia permette di agire allo stesso tempo sia in ambito musicale sia in ambito motorio. 

Sfoglia i testi cliccando sull’immagine qui sotto.

“Camminare” nell’arte e nella filosofia

I super poteri del cammino

Nell’ambiente circostante, inteso in tutta la sua complessità, ci si può orientare “camminando”, per superare fattori di stress, recuperando il piacere di una passeggiata tranquilla, in modo organizzato o libero, velocemente oppure lentamente, ripiegati sui pensieri più intimi o protesi verso la natura e lo spazio con il desiderio di cogliere quanto di sorprendente offrono.

Nel camminare andiamo sempre incontro al nuovo e all’imprevisto, all’impatto con un mezzo altro da noi, rappresentato da una molteplicità di fattori e, al tempo stesso, ci misuriamo con la resistenza di quell’insieme psicobiologico che è dato dal nostro corpo, dal nostro vissuto di idee, emozioni e sensazioni. Soprattutto l’essere soli o insieme ad altri può cambiare la prospettiva del camminare e la direzione del procedere.

Mi piacerebbe camminare con te lì per scoprire se guardiamo le cose allo stesso modo” (Vincent Van Gogh)

Van Gogh amava camminare. A Londra impiegava tre quarti d’ora per andare al lavoro. Passeggiava per esplorare la città e la campagna alla ricerca di soggetti da dipingere. Dal Belgio camminò per una settimana fino a Courrières, nel nord della Francia per cercare le tracce di Jules Breton e di altri artisti.

Ha scritto Ippocrate, medico greco considerato il padre della medicina occidentale, che “il camminare è la migliore medicina”. Aristotele insegnava camminando, tanto che i suoi allievi erano i peripatetici o colonnati dal termine greco di riferimento, poiché il Peripato era la parte del giardino del Liceo di Atene in cui Aristotele teneva solitamente le sue lezioni.

Socrate dialogava e discuteva mentre camminava e di Kant sappiamo che gli abitanti di Königsberg, la sua città, regolavano gli orologi al passaggio del professor Kant, all’andata o al ritorno dalla sua passeggiata quotidiana.

Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”. (Friedrich Nietzsche)

Sicuramente il camminare è l’attività fisica più naturale e spontanea per ogni individuo che possa spostarsi rispondendo al bisogno primario di raggiungere uno stato di benessere fisico, mentale ed emotivo.

“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” (Italo Calvino)

Camminare permette di ritrovare una nuova armonia, di incontrare con leggerezza la propria interiorità, trasformando conflitti e inquietudini, ma è anche un’opportunità di abitare in modo nuovo il mondo, di stare con altri individui, insieme ai quali si è scelto di condividere il percorso.

Assumere il camminare come paradigma di resilienza significa osservare e analizzare le forme possibili del miglioramento del benessere individuale. Superare traumi, eventi stressanti, situazioni di disagio, significa intraprendere un cammino che possa rendere più forti le capacità di essere “resilienti”, per diventare consapevoli delle proprie vulnerabilità, motivati ad essere attivi e creativi nel risolverle. Ritorna l’idea del cammino come terapia e come cura, da considerare sia a livello simbolico sia a livello operativo e funzionale.

“Camminare è, ad ogni passo, un incontro con noi stessi”(R. Tagore)

Se una definizione di resilienza prevede la capacità di non soccombere di fronte alla difficoltà che si possono incontrare durante il percorso di vita, intesa in tutte le poliedriche esperienze di studio, di lavoro, di socialità, ecco che la qualità del cammino può fare la differenza.

Un cammino di qualità è così un andare creativo, aperto alle possibilità che la strada lascia intravedere. A livello di formazione si tratta di sviluppare capacità di attingere costantemente a nuove risorse, di trovare soluzioni a nuovi problemi. Il termine resilienza indica appunto la capacità di reagire “tornare a saltare” dal latino resilio, che nel linguaggio fisico significa la resistenza che i metalli oppongono agli urti.

“Viandante, il sentiero non è altro che le orme dei tuoi passi. Viandante, non c’è sentiero, il sentiero si apre camminando”. (Antonio Machado)