Combattere la noia in classe
Le strategie per accendere la curiosità nell’apprendimento
La NOIA è grande nemica dell’apprendimento, uno studente che si annoia in classe potrebbe decidere di intrattenersi con azioni che esulano dall’attività didattica. L’origine della noia è spesso da individuare nell’inoperosità, pertanto, è indispensabile trasformare gli studenti da semplici spettatori in attori protagonisti, o meglio, da scolari addestrati in ricercatori!
Il Dizionario d’italiano on-line De Mauro sottolinea il ruolo attivo del ricercatore, definendo in questi termini la parola “ricerca”: “Attività intellettuale che mira a informarsi su un argomento o a estendere e ad approfondire la conoscenza in modo sistematico”. Il fare ricerca, dunque, implica uno sforzo cognitivo notevole, che verrà ricompensato con un apprendimento più efficace. Lo sforzo richiesto, invece, agli insegnanti è di avere fiducia nella capacità di apprendere dei propri allievi.
L’apatia che sovente si riscontra in classe è anche il frutto di anni di “addestramento” scolastico. Gli studenti sono stati abituati a non interrogarsi, a immagazzinare acriticamente il sapere trasmesso a scuola. L’insegnante che voglia riaccendere la fiamma della curiosità dovrà intraprendere un lungo e paziente lavoro di “riabilitazione”. Esso consiste, in particolare, nel fornire un sostegno minimo e di creare un ambiente collaborativo: così i discenti saranno motivati a far leva sulle proprie facoltà mentali e saranno più curiosi di imparare.
La promozione di un così gravoso lavoro di riabilitazione molto probabilmente incontrerà le resistenze di più apprendenti. In più, un tale approccio orientato alla scoperta richiederà tempo maggiore rispetto all’insegnamento trasmissivo. E maggiore sarà anche il tempo necessario per preparare le lezioni. In breve, le ragioni che potrebbero far desistere i docenti dall’intraprendere questo tipo di percorso possono essere molteplici.
A mio avviso, però, c’è un vantaggio, oltre a quelli già citati, che da solo surclassa tutti gli svantaggi appena menzionati. Le conoscenze nei vari settori diventano sempre più vaste: in classe non c’è il tempo per affrontare tutti gli argomenti, o perlomeno non in maniera approfondita. Inoltre, i cambiamenti e le nuove scoperte richiedono un aggiornamento continuo di tali conoscenze: sarebbe controproducente concentrarsi sulla mera memorizzazione di nozioni che fra qualche anno potrebbero risultare obsolete. Oltretutto, con l’avvento di Internet, il problema non è certo la penuria di informazioni: ciò di cui si ha bisogno è una riflessione su di esse. A partire da queste considerazioni, il compito degli insegnanti non può essere quello di insegnare il “cosa” (il sapere), ma di insegnare il “come” (il saper fare), attraverso il “cosa”.
Si tratta di mostrare come appropriarsi autonomamente di queste conoscenze, attraverso la selezione delle fonti e un’analisi dei dati. Se gli studenti impareranno a fare da sé, saranno in grado di affrontare problemi della società del futuro che oggi non riusciamo neanche a immaginare. È inoltre probabile che questo modo di concepire la didattica concorra ad accrescere la considerazione nei confronti dei docenti nella società: il ruolo di dispensatori del sapere è ormai sorpassato.
Per aiutare gli studenti a diventare ricercatori, un’attenzione particolare va rivolta al modo in cui rispondere alle domande. Quelle degli scolari addestrati hanno la caratteristica di essere generiche, poiché prive di una riflessione a monte. La domanda tipica è: “È giusto?” Sono domande che hanno come obiettivo quello di impossessarsi della “verità assoluta”, della quale i docenti sarebbero depositari. Completamente diverso è l’atteggiamento degli studenti ricercatori. Non pensano al docente semplicemente come alla sezione delle soluzioni alla fine di un libro di testo. Il docente è uno dei vari strumenti di cui dispongono per completare autonomamente un compito. Perché gli scolari addestrati diventino progressivamente studenti ricercatori, il docente dovrà dunque spiegare che risponderà solo a domande mirate e precise.
Un’altra tendenza degli scolari addestrati è quella di chiedere tutto, o quasi. Per promuoverne il lavoro di ricerca, l’insegnante dovrà dunque limitare la propria disponibilità. Ci sono due modi per farlo, a seconda dei casi. Il primo è quello di non circolare tra i banchi: la vicinanza rende più agevole porre domande. Il secondo è quello di rispondere solo a un numero limitato di quesiti.
Il modo di dare le istruzioni è un altro elemento da considerare. Va usata la seconda persona del verbo, singolare o plurale, a seconda dei casi, e non la prima plurale. Per esempio, bisognerà dire “Svolgete l’attività”, e non “Svolgiamo l’attività”. In questo modo si sottolinea il fatto che la ricerca è compito esclusivo degli studenti.
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Francesco Diodato
Francesco Diodato, glottodidatta, è considerato il massimo esperto in Giappone di didattica dell’italiano come lingua straniera. È professore associato presso il Dipartimento di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo University. È inoltre coinvolto nella supervisione di progetti di ricerca e di collaborazione internazionale con atenei italiani e in percorsi di formazione glottodidattica. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente i fattori interni allo studente (la motivazione, le convinzioni, l’ansia, ecc.), lo sviluppo dell’autonomia dei discenti, la neurodidattica, la didattica dell’italiano a studenti universitari, l’apprendimento attivo, l’apprendimento collaborativo, il costruttivismo, la gestione della classe, il lavoro in coppia, l’acquisizione della seconda lingua, la formazione dei docenti.
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